strage di Bologna, la “pista palestinese” non regge e Raisi (Fli) accusa la Procura
di Sandro Padula
Ristretti Orizzonti, 16 aprile 2012
Attraverso delle dichiarazioni rilasciate al quotidiano Il Resto del Carlino dell’otto aprile (2012), l’onorevole Enzo Raisi (Futuro e Libertà) lancia numerose accuse rispetto alle modalità con cui la Procura di Bologna sta affrontando il fascicolo bis sulla strage del 2 agosto 1980.
Critica il procuratore capo Roberto Alfonso perché quest’ultimo si sarebbe limitato a chiedere una rogatoria alle autorità competenti per ascoltare Christa Margot Frohlich e Thomas Kram, i due cittadini tedeschi indagati in riferimento alla “pista palestinese”. A dispetto di ogni minima cognizione del diritto nazionale e internazionale, afferma che la Procura avrebbe dovuto spiccare dei “mandati di cattura” verso la Frohich e il Kram.
A differenza del procuratore capo di Bologna, pretende altresì che Carlos, detenuto in Francia, sia ascoltato. Finge così di non sapere che, in un interrogatorio del 2009 condotto dal pm Enrico Cieri, lo stesso Carlos ha già parlato di una pista alternativa a tutte quelle finora avanzate sulla strage del 2 agosto 1980 e, nello specifico, della possibile e diretta responsabilità di settori particolari dei servizi segreti degli Usa e di Israele, un po’ come successe con la strage compiuta dal finto anarchico Gianfranco Bertoli davanti alla Questura di Milano il 17 maggio 1973.
Raisi non accetta inoltre la verità secondo cui, in base a quanto riportato dagli stessi documenti forniti dalle autorità francesi e italiane, l’esplosivo utilizzato per la strage del 2 agosto non è compatibile con quello che sarebbe stato usato - per altro alcuni anni dopo - dal cosiddetto gruppo Carlos in Francia e con quello trovato in una valigia della Frohlich quando quest’ultima, nel 1982, fu tratta in arresto a Fiumicino.
Come se non bastasse, propone un ulteriore scenario: “Una delle vittime della bomba era un ragazzo di Autonomia operaia. Ho saputo da alcune testimonianze che il giorno dopo, nella sala autopsie, andarono due persone, un giovane mediorientale e una ragazza. Passarono in rassegna i corpi e, quando videro il ragazzo, si guardarono in faccia, si spaventarono e tirarono dritto.
Un maresciallo dei carabinieri vide tutto e li chiamò, ma loro uscirono di corsa e sparirono. Chi erano quei due? E perché il ragazzo di Autonomia operaia aveva in tasca un biglietto della metro di Parigi, città dove all’epoca viveva Carlos?”. (Il Resto del Carlino, 8 aprile 2012).
In realtà, nel 1980 Carlos non viveva in Francia, paese da cui era fuggito nel 1975 dopo una sparatoria conclusasi con la morte di due poliziotti, e le organizzazioni palestinesi - specie dopo la riunione a Venezia del Consiglio europeo che il 13 giugno elaborò una dichiarazione a favore dell’autodeterminazione del popolo palestinese - non avevano neanche il benché minimo motivo per compiere un attentato stragista a Bologna.
Questa è la verità storica. Non sembrerebbe perciò necessario dover aggiungere altro a commento delle fantasie di Raisi ma tutte le bugie vanno sempre contrastate in tempo prima che diventino un ulteriore depistaggio. Per questo motivo dobbiamo dire a chiare lettere che le affermazioni raisiane costituiscono dei sospetti privi di fondamento.
Il ragazzo morto a cui si riferisce il parlamentare di Futuro e Libertà forse era stato un giovane del movimento del 1977. In ogni caso, stando a quanto riportarono alcuni quotidiani allorché fu riconosciuto il suo cadavere, sostituì il padre deceduto per aiutare la madre e la famiglia, intraprese delle attività lavorative in giro per l’Italia e a Londra e, senza dubbio, nel 1980 non aveva più il tempo libero per effettuare una qualche forma di attività politica.
Come tutti sanno o dovrebbero sapere, dopo la strage del 2 agosto furono svolte anche delle indagini per capire se fra le vittime ci fossero dei possibili responsabili del crimine. Non se ne trovò nessuno fra quelle decedute e, anni dopo, ne fu trovato solo uno fra le persone ferite. Si chiamava Sergio Picciafuoco ed era un personaggio, proprio come Bertoli, dal carattere fragile e dalla mentalità mercenaria. Al di là di queste caratteristiche, suscettibili di essere poco precise, contano comunque i fatti. Ad esempio, pochi ricordano che in carcere, durante il processo di appello che si svolgeva a Bologna ed in cui era imputato, Picciafuoco ricevette un significativo aiuto dal faccendiere e depistatore reaganiano Francesco Pazienza, ex dirigente del Sismi.
Nella sentenza del processo d’Appello datata 18 luglio 1990 si parla infatti della “memoria indirizzata dal Pazienza al Direttore Generale degli Istituti di Prevenzione e Pena. In essa riferiva il Pazienza di avere appreso dal Picciafuoco che costui, nel 1985, essendo detenuto all’Asinara, aveva potuto incontrare “tre misteriosi personaggi” che gli avevano promesso due o tre miliardi ed un passaporto per espatriare in Sudamerica, in cambio di una conferma da parte sua delle “assai improbabili teorie sviluppate dal G.I. e dal P.M. di Bologna”.
Queste rivelazioni il Picciafuoco le aveva fatte durante una pausa delle udienze innanzi alla Corte di Assise di Bologna. Interpellato in merito al contenuto della lettera del Pazienza, il Picciafuoco confermava le cose riferite …” .
Grazie anche a quella memoria scritta da Francesco Pazienza, Picciafuoco venne assolto dalla Corte d’Assise d’appello di Bologna del suddetto processo. E la sua posizione giudiziaria, condizionata da alterne vicende, cinque anni dopo fu stralciata per passare sotto la competenza di un tribunale di Firenze, dove alla fine trovò la più completa assoluzione.
Diversi indizi e troppe coincidenze facevano supporre che Picciafuoco, latitante per circa dieci anni prima dell’arresto avvenuto nel 1981 e frequentatore di alcuni ambienti dell’estrema destra, potrebbe essere stato un collaboratore dei servizi segreti militari ma su questo punto nessuno fece delle approfondite indagini.
Tutto ciò significa che la verità giudiziaria sulla strage di Bologna cercò di avvicinarsi alla verità storica ma fu ostacolata in mille modi, anche dentro le carceri, dai depistatori di Stato e da persone a suo tempo imputate, ma ormai morte, come lo stesso Sergio Picciafuoco e Carlo Digilio, il tecnico delle stragi di Piazza Fontana e di Brescia che fu collaboratore dei servizi segreti militari Usa dal 1966 al 1982.
Quest’ultimo a metà degli anni 90 si “pentì” e fece ampie confessioni esclusivamente rispetto ai reati che erano andati in prescrizione. Non certo rispetto a quelli per cui, come nel caso della strage di Bologna del 1980, avrebbe rischiato una lunga pena detentiva.
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