Strage di Bologna, “I depistaggi sono la continuazione dello stragismo con altri mezzi”. Risposta a Enzo Raisi

Pubblichiamo la risposta di Sandro Padula alla replica e alle malevole insinuazioni che il deputato di Futuro e Libertà Enzo Raisi, amico della coppia Mambro-Fioravanti, gli aveva rivolto sul sito www.fascinazione.info (oppure qui), dopo un articolo che lo stesso Sandro aveva pubblicato su Ristretti orizzontirispreso su questo blog.

Nella replica Raisi fa apertamente il nome della vittima della strage di Bologna che a suo avviso poteva essere coinvolta in qualche modo nell’attentato: si tratta di Mauro Di Vittorio, 24 anni, originario del quartiere di Torpignattara a Roma. Un ritratto del giovane con simpatie di sinistra è stato proposto da Ugo Maria Tassinari sul suo blog (vedi qui). Ne consigliamo la lettura poiché dimostra quanto infondato, cinico e strumentale, sia stato il sospetto lanciato dal deputato finiano.

Aggiungiamo unicamente una postilla: troviamo davvero singolare il fatto che due persone che si fregiano di lavorare per un’associazione denominata “Nessuno tocchi Caino”, si dimenino al punto da sfoggiare un cinismo senza limiti che, pur di approdare (pretesa ovviamente legittima) alla revisione della propria condanna, si mostra disponibile a seminare senza scrupoli sul proprio cammino ulteriori capri espiatori. La ricerca della verità non consiste nel sostituire un capro espiatorio con un altro. Un simile atteggiamento dimostra che, almeno sul piano etico, la distanza con la cultura stragista è inesistente

 

Strage di Bologna: la ricerca della verità completa non giustifica l’avallo di nuovi depistaggi

di Sandro Padula
21 aprile 2012

Dopo il mio articolo intitolato “Fascicolo bis sulla strage di Bologna: la “pista palestinese” non regge e Raisi accusa la Procura” (Ristretti Orizzonti, 16 aprile 2012)  si è aperto un dibattito su diversi siti Internet al quale ha partecipato, attraverso una replica articolata in cinque punti (vedasi sito www.fascinazione.info e qui), lo stesso parlamentare di Futuro e Libertà di cui avevo criticato il teorema.
Rispondo perciò punto per punto a Enzo Rasi, amico e portavoce della coppia Mambro & Fioravanti che a sua volta, nel quadro della battaglia per ottenere la libertà condizionale della donna ex militante dei Nar (vedasi «Le lettere (e una cena) a Giusva e Mambro: vi perdoniamo», Corriere della sera del 3 agosto 2008), alcuni anni fa fece amicizia con Anna Di Vittorio, sorella di Mauro, la vittima della strage di Bologna che oggi secondo lo stesso Raisi potrebbe aver avuto qualcosa a che fare con quel crimine.

Primo punto
Le Br, organizzazione in cui ho militato nella seconda metà degli anni ’70 e fino al momento del mio arresto avvenuto nel novembre 1982, non hanno mai intrattenuto rapporti politici o d’altra natura con il gruppo di Carlos e neppure con il Fplp. Ciò premesso, per semplice amore della verità vanno corrette le numerose informazioni false e le inesattezze sostenute da Raisi.
Il parlamentare di Futuro e Libertà afferma che “all’interrogatorio con Cieri nel 2009 Carlos ha fatto scena muta e ha detto che parlava solo di fronte ad una commissione parlamentare”.
In realtà, pur non firmando nulla, Carlos fece un discorso al pm Cieri in riferimento alla strage di Bologna, poi riportato dalla stampa italiana, nel quale dichiarò in sintesi quanto segue:  «….  è roba della Cia, i servizi segreti italiani e tedeschi lo sanno bene». (Corriere della Sera, 26 aprile 2009). Questo fatto, cioè l’assenza di una “scena muta”, è dato per certo a pagina 158 del “Dossier strage di Bologna”, un libro scritto da Gabriele Paradisi, Gian Paolo Pelizzaro, François de Quengo de Tonquédec, persone amiche di Enzo Raisi e pubblicizzato da quest’ultimo il 10 settembre 2011 nel corso di un meeting di Futuro e Libertà a Mirabello.

Secondo punto
L’onorevole Raisi asserisce che nessun paragone sarebbe mai stato fatto sulla compatibilità del materiale sequestrato alla Frolich all’aeroporto di Fiumicino nel 1982 e quello usato nella strage di Bologna del 2 agosto 1980.
Una recente notizia di stampa, pubblicata proprio sul quotidiano bolognese al quale Raisi spesso rilascia delle interviste, fornisce sulle indagini condotte una versione molto diversa: “dalla comparazione tra i documenti sulla qualità degli esplosivi utilizzati dal gruppo del terrorista Carlos e le perizie sull’esplosivo usato per l’attentato del 2 agosto 1980 non è, al momento, risultata alcuna immediata compatibilità. Quella della comparazione sulla qualità degli esplosivi era una delle strade che vengono seguite nell’inchiesta bis sulla strage della stazione. Una strada che al momento quindi non registra novità. Il pm Enrico Cieri aveva chiesto ed ottenuto delle autorità francesi i documenti sulla qualità dell’esplosivo utilizzato dal gruppo dello Sciacallo. Parimenti negativa sarebbe stata la comparazione fatta con la qualità dell’esplosivo che Margot Frohlich (indagata nell’inchiesta assieme a Thomas Kram) aveva in una valigia quando fu arrestata a Fiumicino nell’82.” (Resto del Carlino, 6 aprile 2012).
Come se non bastasse, la natura dell’esplosivo trovato alla Frolich è nota da molto tempo anche ai principali teorici della “pista palestinese”. In una interpellanza urgente si affermava: “il 18 giugno 1982, quindi due anni e mezzo dopo le stragi di Ustica e Bologna e due anni prima della strage del 904, all’aeroporto di Fiumicino veniva fermata per un controllo la cittadina tedesca Christa Margot Frolich trovata in possesso di una valigia contenente due detonatori e tre chili e mezzo di miccia detonante, contenente esplosivo ad alta velocità di tipo Pentrite, una sostanza detonante che entra nella composizione del Semtex”. (Interpellanza urgente 2-01636 presentata giovedì 28 luglio 2005 da Vincenzo Fragalà nella seduta n.664).
Come è altresì noto, l’ordigno impiegato per la strage di Bologna non era costituito da esplosivo di tipo Pentrite ma “da un esplosivo contenente gelatinato e Compound B” (sentenza secondo processo di Appello sulla strage di Bologna, 16 maggio 1994). E il Compound B, una miscela di tritolo e T4, è roba della Nato.

Terzo punto
Smentito anche dal suo amico Gabriele Paradisi sulla circostanza che avrebbe visto Carlos vivere a Parigi nel 1980, come aveva affermato sul Resto del Carlino dell’8 aprile 2012, il parlamentare futurista dieci giorni dopo tenta di salvarsi in corner sostenendo che Carlos  “a Parigi aveva un gruppo operativo della sua organizzazione denominata Separat.”
Una presenza stabile in Francia di un nucleo del gruppo Carlos, per altro già ristretto ad un numero molto limitato di componenti, non ha mai trovato conferma nelle lunghe indagini condotte dalla polizia francese. Forse Raisi, sbagliando comunque le date, voleva fare riferimento al periodo di detenzione nel carcere di Fresnes di due esponenti del gruppo Carlos: Bruno Breguet e Magdalena Kopp, detenuti dal febbraio 1982 al maggio e settembre 1985.
Fin qui nulla di nuovo dunque. Si tratta della solita rimasticatura di alcuni elementi utilizzati per dare corpo al depistaggio che vorrebbe orientare le nuove indagini verso la “pista palestinese”. A tale proposito va ricordato che l’Olp, di cui faceva parte integrante il pur critico e marxista Fplp, considerava un piccolo passo positivo la dichiarazione del Consiglio europeo di Venezia del 13 giugno 1980, contestata solo dagli Usa e dal governo israeliano, a favore dell’autodeterminazione del popolo palestinese. Non vi era dunque alcuna ragione di colpire obiettivi italiani da parte di chi aderiva all’Olp.

Quarto punto
La vera novità stavolta è il cinico coinvolgimento da parte di Raisi e dei suoi mandanti di una delle vittime della strage: Mauro Di Vittorio.
Perché proprio Di Vittorio? Semplice: era romano e simpatizzava col “Movimento” di quegli anni. Attribuendogli una precisa identità politica, ovvero quella di militante di Autonomia operaia romana, Raisi intende richiamare ancora una volta la “pista palestinese” che si regge sull’assunto che qui cito: “Ricordo che Pifano e altri componenti del gruppo di Via dei Volsci, autonomia romana, furono arrestati con Abu Saleh ad Ortona per i famosi missili che appartenevano all’Fplp e al gruppo Separat, cioè al gruppo di Carlos.
A quanto risulta, tre autonomi del collettivo del Policlinico (Daniele Pifano, Giorgio Baumgartner e Lusiano Nieri) furono arrestati nel novembre 1979 e poi condannati per il trasporto di due lanciamissili (non i missili) che appartenevano esclusivamente all’Fplp, erano smontati e dovevano essere spediti in Medioriente.
Inoltre il cosiddetto gruppo di Carlos si chiamava Ori (Organizzazione dei rivoluzionari internazionalisti) e non certo Separat (vedasi “A Bologna a colpire furono Cia e Mossad”, Corriere della sera del 23 novembre 2005 ).
Infine, a differenza di quanto sostiene Raisi, quei tre autonomi non “furono arrestati con Abu Saleh ad Ortona”. Abu Anzeh Saleh fu “fermato a Bologna una settimana dopo l’arresto degli autonomi” (pagina 25 del “Dossier strage di Bologna” scritto dagli amici di Raisi).
La vicenda è sufficientemente nota e chiara come quella connessa allo strumentale tentativo del generale Dalla Chiesa che, tanto per produrre un nuovo teorema accusatorio corollario del 7 aprile, fece pressioni su Saleh affinché dichiarasse che quei lanciamissili servivano ad Autonomia in Italia. Ciò detto, non risulta minimamente che il ventiquattrenne Mauro Di Vittorio avesse mai fatto parte del Collettivo del Policlinico in cui militavano i tre autonomi arrestati ad Ortona.
Dalle cronache dell’epoca si evince che era un giovane del Movimento di quegli anni. Al funerale venne salutato dai compagni e dalle femministe del suo quartiere, Tor Pignattara. Una scheda biografica è presente sul sito dell’associazione dei familiari delle vittime della strage di Bologna. Il tentativo di coinvolgerlo è dunque una volgare azione di sciacallaggio, in particolare se si tiene conto del fatto che la sorella di Di Vittorio fece passi significativi in favore della coppia Mambro-Fioravanti. Il livello di strumentalizzazione a questo punto raggiunge vertici di cinismo abissale.
Perché tutto questo? Pur di arrivare alla revisione del processo, i due ex militanti dei Nar insieme a Raisi sono disposti a gettare fango in ogni direzione, creando così ennesimi capri espiatori.

Quinto punto
Nel 1983, quasi un anno dopo il mio arresto, conobbi la detenuta Christa Margot Frolich tramite posta controllata dalla censura del carcere. Lei si trovava in cella con una mia coimputata, non parlava affatto bene la lingua italiana, non era mai stata una ballerina, non aveva figli e nel 1980 aveva 38 anni. In altre parole, Christa Margot Frolich non era per niente l’ex ballerina e donna madre tedesca che nell’agosto 1980 fu vista frequentare un albergo di Bologna e che, secondo i testimoni, conosceva alla perfezione la lingua italiana.
Lo stesso discorso vale per Kram. A parte le sue idee politiche antitetiche allo stragismo, un tipo come lui – secondo i documenti anagrafici ben conosciuti da teorici della “pista palestinese” come gli autori di “Dossier strage di Bologna” – non sarebbe certo passato inosservato nella stazione di Bologna del 2 agosto 1980 se avesse lasciato la valigia della strage nella sala d’attesa della seconda classe in cui scoppiò.
“Poco prima dell’esplosione — ha detto Rolando Mannocci alla figlia e al fratello accorsi al suo capezzale — ho notato due giovani aggirarsi nella sala. Li ho seguiti per un po’ con lo sguardo. Ho visto che hanno posato un qualche cosa, forse una valigia, proprio nell’angolo dove dieci minuti dopo è avvenuta l’esplosione. Non mi sono insospettito, non c’era alcun motivo perché lo dovessi essere. Erano due come tanti altri. Invece forse…». (La Stampa del 4 agosto 1980).
I giovani, per essere tali, debbono almeno avere un’età sotto i 30 anni. Per poi considerarli “come tanti altri” dovrebbero avere un’altezza media di circa 1 metro e 65 per le ragazze e di circa 1 metro e 75 per i ragazzi.
Tutto ciò significa, a rigor di logica, che Thomas Kram – alto quasi due metri e allora trentaduenne – non era certo uno dei “giovani” – “due come tanti altri” – visti da Rolando Mannocci all’interno della stazione di Bologna il 2 agosto 1980 mentre posavano qualcosa nell’angolo in cui avvenne l’esplosione.
Infine vorrei ricordare a Raisi che la legittima ricerca della verità completa sulla strage di Bologna, che persone come me hanno sempre appoggiato, è cosa diversa dall’avallare depistaggi che di fatto sono la continuazione dello stragismo con altri mezzi.

Link
Strage di Bologna, in arrivo un nuovo depistaggio. Enzo Raisi, Fli, tira in ballo una delle vittime nel disperato tentativo di puntellare la sgangherata pista palestinese
Stazione di Bologna, una strage di depistaggi
Il paradigma vittimario

2 pensieri su “Strage di Bologna, “I depistaggi sono la continuazione dello stragismo con altri mezzi”. Risposta a Enzo Raisi

  1. …. sto leggendo alcune cose in ordine sparso sull’argomento e volevo confrontare con le tesi di questo articolo la teoria che non fosse stato un attentato palestinese, ma bensi’ un incidente di percorso di qualche corriere palestinese che trasferiva materiale esplosivo (questo in considerazione del fatto che dopo l’attentato di Fiumicino c’era stato accordo segreto di via libera a questi traffici in cambio della immunità per il territorio italiano dal terrorismo)
    grazie per la risposta e saluti

    • Gentile Salvatore,

      molto brevemente: per orientarsi meglio nel depistaggio che attribuirebbe ai palestinesi, attraverso Carlos, responsabilità nella strage di Bologna bisogna fare un passo indietro e tornare alle origini di questo teorema.
      Inizialmente infatti si parlava di pista mediorientale e specificatamente libica. Il primo a tirare fuori questa teoria fu il democristiano Zamberletti, secondo il quale la strage di Bologna era da attribuire a Gheddafi come rappresaglia per un accordo che l’Italia aveva appena stipulato con Malta… Per Zamberletti Gheddafi aveva preso in appalto i servigi di Carlos. Come vedi cominciano ad apparire i primi elementi che successivamente faranno da ingrediente alla pista palestinese a cui si arriverà per rettifiche e aggiustamenti successivi di fronte alle sistematiche smentite ricevute dall’ipotesi iniziale.

      La tesi della pista libica è venuta meno quando l’inchiesta sull’abbattimento dell’aereo di linea Itavia sul cielo di Ustica, nel giugno precedente, ha fatto emergere uno scenario di guerra. Stando ai risultati dell’inchiesta ed a quanto sostenuto recentemente in diversi libri da Rosario Priore, magistrato istruttore titolare di quelle indagini, dietro la tragedia di Ustica vi sarebbe stato un attacco aereo da parte di forze militari Nato (francesi e Usa) contro mig libici che si accingevano a scortare Gheddafi. Sempre secondo Priore, i vertici dei nostri servizi segreti nella persona di Santovito avrebbero avvertito dell’imminente pericolo Gheddafi, che già in volo fece una repentina marcia indietro.
      Se così stanno le cose, è evidente che verrebbe meno il movente del risentimento libico verso l’Italia e dunque la ragione di dare vita ad una rappresaglia come la strage di Bologna. Semmai questo scenario rovescia l’ipotesi sollevando inquietanti domande sulla possibile volontà di altri Paesi occidentali di punire l’Italia per aver salvato Gheddafi. Quali Paesi? Bhe, intanto quelli che secondo Priore la sera di Ustica avevano fatto alzare in volo i loro jet militari e poi altri che già in passato avevano colpito con attentati mirati l’Italia, mi riferisco alla vicenda di Argo 16. L’aereo dei Servizi utilizzato per esfiltrare in Libia i membri di un comando palestinese pizzicato a Fiumicino mentre era in procinto di organizzare un attentato contro un aereo di Telaviv. Argo 16 venne sabotato durante uno scalo a Sigonella, dagli israeliani…. e precipitò causando la morte di due ufficiali del servizio segreto italiano. Così recitano gli atti dell’inchiesta condotta dalla magistratura.

      Forse per capire la strage di Bologna bisogna prima capire cosa successe poche settimane prima ad Ustica. Aggiungo un cosa: lo stesso Valerio Fioravanti in una delle sue prime sortite pubbliche, quando ancora la destra post e para fascista non era salita al governo, sosteneva che bisognava guardare ad Ustica per cercare gli autori della strage di Bologna.

      E’ dalle ceneri della pista libica che i nemici della politica filoaraba condotta tradizionalemente dai governi democristiani e consociativi hanno cominciato a tessere la trama della pista palestinese, mirata a regolare i conti proprio con la precedente politica estera italiana troppo mediterranea per gli oltranzisti atlantici.
      Venne preso di mira il cosiddetto Lodo Moro e quindi si ipotizzò inizialmente un incidente di trasporto, solo che l’ipotesi non ha mai trovato conferma per le seguenti ragioni:

      1. la natura dell’esplosivo. Una miscela tipicamente Nato.
      2. la presenza di un innesco attivo. Alcune perizie parlano addirittura di innesco chimico. Non si fanno trasporti di esplosivo con inneschi attivati. Si tratta di una violazione delle più elementari misure di sicurezza.
      3. la collocazione della valigia. Lasciata incustodita in un punto della sala d’aspetto ideale per ottenere il massimo effetto dall’onda d’urto. In sostanza, tutti i periti hanno sempre detto che quella valigia stava lì perché doveva esplodere.
      4. l’assenza dei resti del trasportatore della valigia che, nel caso di un incidente, sarebbe dovuto esplodere con il suo carico.

      Insomma mancano gli indizi minimi per dare sostanza ad una ipotesi del genere.

      Tant’è che Rasi si inventa ora il coinvolgimento di una delle vittime, riprendendolo da uno scenario romanzato di un libro-thriller uscito una prima volta nel 90 e ripubblicato recentemente. Ed altri, vedi lo stesso Carlos – personaggio narcisista, inattendibile – hanno parlato, come Cucchiarelli per piazza Fontana, di una doppia bomba, un trappolone “sionista-imperialista” congeniato per far saltare un trasporto palestinese. Anche qui, non c’è mai stata traccia di una doppia esplosione….
      Le stragi non sono romanzi, questo è il punto.

      Per la pista palestinese manca il movente. Non può essere l’arresto di Saleh risoltosi in sede di trattative riservate, dopo uno scontro tra fazioni rivali dei servizi. Due lanciamissili e un uomo trattenuto in carcere per un breve periodo avrebbero giustificato la più grande strage europea? Contro un Paese da sempre filoarabo, per giunta sede del Vaticano, a sua volta filoarabo?
      Nel periodo in cui hanno fatto azioni in territorio italiano, prima del Lodo Moro fino al 73 e dopo la fine del Lodo a partire dall’82-83… (vado a memoria, ci può essere qualche piccola imprecisione nelle date), i palestinesi si sono sempre rivolti contro obiettivi israelianni o della comunità ebraica.

      Sulla presenza di Kram s’è già scritto. Non era alla stazione, non era esperto di esplosivi, aveva i suoi documenti, era stato fermato a Chiasso la sera prima. Se tutto ciò lo rende comunque sospetto, allora cosa dovremmo pensare di Picciafuoco che era in stazione e rimase ferito, aveva documenti falsi che lo riconducevano a strani ambienti dei servizi?
      E di Fioravanti che improvvisamente, dopo aver taciuto per anni, attarverso un esponente del Sismi fa sapere al giudice salvini che indagava sulla strage di Brescia che il giorno della strage del 2 agosto il suo coimputato Cavallini si sarebbe dovuto incontrare con “zio Otto”, alias Carlo Digilio, l’armiere di tute le precedenti stragi nere, il grande esperto di esplosivi, cosa dovremmo pensare?

      I sostentori dell pista palestinese evocano delle informative Ucigos e Sismi che allertano su una possibile rappresaglia dell’Fplp dopo l’arresto di Saleh. Analoghe e ben più numerose informative di polizia e dei servizi parlano di un possibile “botto” della destra eversiva. Questi elementi si contraddicono a vicenda.

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