Luciano Gallino: «Povertà, dai dati Istat l’indebitamento invisibile dei lavoratori»

L’intervista – Luciano Gallino, sociologo, analizza il rappoto Istat sullo stato della povertà in Italia nel 2010

Paolo Persichetti
Liberazione 20 luglio 2011


«C’è un aspetto che non è stato rilevato nei tanti commenti seguiti dal rapporto Istat sulla situazione della povertà in Italia nel corso del 2010. Molti ne hanno parlato come se si trattasse di una misurazione dei redditi. In realtà ad essere presa in esame era la spesa al consumo. La differenza non è da poco poiché le spese per i consumi si possono fare anche contraendo debiti con le carte di credito oppure attraverso canali informali, come amici e parenti o peggio attraverso l’usura. Un dato, quest’ultimo, che può mascherare gli eventuali effetti della crisi». Secondo Luciano Gallino, i dati resi pubblici dall’Istat lasciano appena affiorare la punta di quell’invisibilità che copre la realtà della povertà.

Professore sembra di capire che qualcosa non la convince?
No, non ho detto questo. La metodologia di ricerca utilizzata dall’Istat ci dice che i livelli complessivi di povertà, sia relativa che assoluta, sono praticamente fermi da 4 anni. Salvo mutamenti interni che vedono un aumento della povertà nelle famiglie che hanno a capo un operaio (più del 15%), cioè il doppio rispetto a quelle che hanno lavoratori autonomi (più 7,8%). Ovviamente il divario aumenta ancora quando siamo in presenza di imprenditori. Questa è una novità importante rispetto alla singolare stabilità dei dati complessivi.

Si tratta del fenomeno che passa sotto il nome di working poor (il lavoro che rende poveri).
Certo, ma non ci dice tutto. Bisogna capire come fanno famiglie che vivono con un livello di reddito pari alla cassa integrazione a mantenere una spesa che, seppure resta nei parametri indicati per definire la povertà, riesce ad essere superiore ai 750 euro mensili. Evidentemente lì si nasconde la contrazione di un indebitamento invisibile.

L’indebitamento è anche uno degli indicatori del declino che sta investendo il ceto medio. C’è chi parla in proposito di una crisi del modello di società fondata sull’iperconsumo.
Il fenomeno non nasce oggi, ma un conto è contrarre debiti mantenendo pur sempre un livello di vita accettabile, come accade al ceto medio; altro è contrarre debiti dovendo contare solo sulla cassa integrazione, inferiore del 30% al salario medio. Voglio dire che esistono altri aspetti nascosti della crisi che non sono stati rilevati da questa indagine, come il fenomeno dell’indebitamento minuto. Una famiglia che ha a capo un operaio o assimilato difficilmente può contare sulla carta di credito, deve ricorrere ad altre forme: parentali, amicali, alle microfinanziarie o addirittura illegali. Siamo di fronte ad un sistema che non è in grado combattere la povertà o non gliene importa nulla, perché la povertà ha un aspetto singolare: è invisibile. E’ nascosta in certi quartieri, in certi tipi d’abitazione, non si vede per le strade dei centri storici, si trova in certi comuni piuttosto che in altri. L’invisibilità porta a sottovalutare il fenomeno ed alla fine a credere che non esiste.

Il rapporto Istat esaminava unicamente le famiglie residenti.
Appunto. In Italia abbiamo quasi 3 milioni d’immigrati. Fino a che punto è stato esaminato questo dato? L’invisibilità vale per i gruppi etnici che non hanno potere, non contano nulla, non hanno cittadinanza. In molti Paesi la povertà si distribuisce secondo i gruppi etnici. Negli Stati uniti tocca in misura minore i bianchi, aumenta tra ispanici e asiatici, diventa enorme tra i neri. Oltre il 57% dei minori sotto i 14 anni vive in famiglie sotto la soglia delle povertà.

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Scheda: Istat, Italia un paese da mile euro al mese, per due
Lavorare stanca e rende poveri

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