Gelmini: «I precari? Troppi e strumentalizzati»

La ministra si rifiuta di ricevere i docenti in lotta
Presidio sotto Montecitorio


Paolo Persichetti
Liberazione
3 settembre 2010

Possono anche crepare di fame. La ministra della scuola, Mariastella Gelmini, una specie di Sarah Palin italiana, ma più sbiadita, si rifiuta di incontrare i precari. «Non incontrerò chi è venuto a protestare davanti a Palazzo Chigi», ha detto nel corso della conferenza stampa sull’apertura del nuovo anno scolastico tenuta ieri mattina nella sede del governo. «Protestano – ha spiegato – senza ancora sapere se sono stati esclusi. Non si tratta di persone che sono state licenziate. Presumono di non avere un posto di lavoro, ma il ministero non ha ancora completato le operazioni». Per la responsabile del ministero di viale Trastevere la vasta mobilitazione nazionale di questi giorni sarebbe un fatto del tutto strumentale, «alcuni di quelli che protestano in piazza non sono precari ma esponenti di Italia dei valori». Così la Flc Cgil, il Coordinamento precari della scuola, i Cobas e le Rappresentanze di base hanno avuto il ben servito. La ministra, che per l’esame di abilitazione alla professione forense si recò nel 2001 da Brescia a Reggio Calabria (dove le statistiche dicono che non viene bocciato nessuno), nemmeno distingue l’abissale differenza che passa tra sigle sindacali, movimenti di base dei lavoratori e forze politiche che hanno l’abitudine di reclamare più manette per tutti e nulla sanno di sociale e di lavoro. Purtroppo siamo in tempi di Onagrocrazia, come diceva Benedetto Croce riferendosi al «potere degli asini raglianti». L’anno scolastico parte con 50 mila classi prive d’insegnanti, 1600 senza presidi, 8 miliardi di euro in meno in tre anni e 170 mila docenti e dipendenti lasciati per strada dopo anni di lavoro, ma per la ministra tutto ciò non esiste. Le cose vanno benissimo. Durante la conferenza stampa ha snocciolato una lunga serie di cifre che, a suo dire, segnano in positivo la «svolta epocale» introdotta con la riforma della scuola secondaria. Secondo i calcoli del ministero citati dalla Gelmini, la riforma del reclutamento degli insegnanti ridurrebbe il precariato, il taglio «vero» effettuato dal governo sarebbe quest’anno soltanto di 2000 cattedre a fronte della 10 mila dello scorso anno, per uno smantellamento complessivo di 87 mila posti in tre anni, di cui 67 mila fino ad oggi. L’introduzione dei licei linguistici e musicali avrebbe riscontrato un buon successo come il tempo pieno nelle scuole elementari, che sarebbe cresciuto del 3%. Anche per i disabili, secondo la ministra, sarebbero aumentati i posti di sostegno, mentre sui precari sarebbe pronto un decreto che darebbe priorità nell’attribuzione delle supplenze a coloro che hanno perso la cattedra. Altri precari “tagliati” verrebbero recuperati grazie ad accordi con le regioni e l’uso di fondi Ue. Insomma un quadro della scuola assolutamente roseo dove l’unico neo verrebbe dal passato: «Duecentomila precari sono il frutto di decenni di politica in cui si sono distribuiti posti che la scuola non era in grado di assorbire». Il passato per Gelmini è un’ossessione, in particolare quel Sessantotto che «ha propagandato un egalitarismo falso e profondamente deleterio. Ha svuotato di significato i principi di merito e di autorità», come ha spiegato in un’intervista al Messaggero di sant’Antonio per concludere che il «merito è l’unico criterio veramente democratico». E così per tutelare una didattica ispirata sempre più all’ordine e alla disciplina, ha terminato la conferenza stampa annunciando che «non si potranno più superare i cinquanta giorni di assenza, pena la bocciatura». Dura la risposta venuta dal presidio dei precari posto sotto Montecitorio, «Troppo facile accusarci di essere militanti politici. Così si aggira il problema per il quale chiediamo un confronto: la qualità della didattica, la qualità del lavoro, la ricaduta dei tagli sul personale della scuola e sulla società civile». Alle accuse della ministra i lavoratori rispondono che non c’è bisogno di attendere le chiamate per sapere che non ci sarà un lavoro quest’anno, «basta guardare le disponibilità pubblicate dai provveditorati e i numeri dei convocati: chi è fuori sa già di esserlo, molti lo sono sin dallo scorso anno». Diecimila assunzioni sono irrisorie, – fanno sapere – a fronte di 67 mila posti a tempo indeterminato tagliati e delle 130 mila cattedre tuttora vacanti. Anche sul tempo pieno «diverse famiglie si sono viste rifiutare il tempo pieno per i loro figli; nel solo Lazio 2800 bambini non vi sono stati ammessi».

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