Sciopero generale: giovedì 29 gennaio la Francia si è fermata

«E’ finita la paura adesso ci ascoltino»
Parla Alain Renault, dirigente della Cgt

Paolo Persichetti

Liberazione 31 gennaio 2009

Giovedì 29 gennaio la Francia si è fermata. Le strade sono state invase da quasi 200 cortei. La giornata di mobilitazione generale indetta unitariamente da tutti i sindacati è stata un successo riconosciuto da tutti, al di là della solita guerre delle cifre. Un milione di persone in piazza (secondo il ministero degli Interni, due e mezzo per la Cgt) «si vede», come ha ammesso lo stesso Sarkozy senza tanti giri di parole. Il messaggio è arrivato insomma. Con molto realismo il capo dello Stato francese ha diffuso un laconico comunicato nel quale ha riconosciuto «l’inquietudine legittima» dei salariati per poi dichiarare ai telegiornali della sera il «dovere di ascolto e di dialogo che questa crisi impone ai poteri pubblici». Alain Renault, dirigente della Confédération générale du travail , da noi contattato, sottolinea come al successo dello sciopero e delle manifestazioni abbia contribuito, soprattutto nella provincia, «la presenza dei lavoratori del settore privato, in particolare dell’industria automobilistica e della grande distribuzione».  2273058255_small_1

E allora partiamo proprio dai lavoratori del settore privato. Come si spiega questo ritorno sulla scena. È finita la paura?
A differenza della funzione pubblica, questa presenza non era affatto scontata. La gente è stanca e non è più disposta a sopportare i costi di una crisi che è sempre più profonda e nasce dalla speculazione dei circuiti finanziari. Dunque anche dove l’agibilità sindacale è più difficile, si è ritrovato il coraggio di tornare a scioperare. Il governo ha previsto misure anticrisi soltanto per il capitale, rimpinguando le casse vuote delle banche e dell’impresa. Niente per i salari e le pensioni mentre ci sono 150mila disoccupati in più da ottobre. Il che vuol dire che molti contratti a termine non sono stati più rinnovati.

Però gli osservatori più maligni hanno fatto notare che se i cortei erano imponenti, l’adesione agli scioperi è stata invece meno importante.
In parte è vero, ma questo non deve stupire. Da anni si moltiplicano misure restrittive contro il diritto di sciopero. C’è una generale strategia di dissuasione del conflitto. Quando la prevalenza dei contratti è a termine, inevitabilmente subentra un clima d’intimidazione quotidiana. Nella scuola e nei trasporti ormai i sindacati possono indire scioperi solo con 15 giorni di preavviso e i lavoratori devono comunicare 48 ore prima la loro adesione individuale. Possono cambiare idea solo in caso di rinuncia, invece se decidono all’ultimo momento d’incrociare le braccia incorrono in sanzioni. Questa è la realtà. È normale allora che se scioperare diventa rischioso, molti scelgono la via della piazza dove è ancora possibile manifestare il proprio punto di vista senza temere rappresaglie.

Mi sembra che uno degli aspetti politici più importanti che emerge da questo sciopero è la ritrovata unità d’azione dei sindacati.
Si, c’è stata la piena unità sindacale. Le 5 confederazioni insieme agli altri 3 sindacati non confederali. Nessuno è rimasto fuori. E questo fronte unico si è tradotto anche nel massiccio consenso popolare misurato dai sondaggi d’opinione. L’ultima volta era successo nel 2006, durante la lotta contro il Cpe (contratto di primo impiego) proposto da De Villepin. Allora ci fu una convergenza su un tema importante ma parziale. Oggi l’unità è più ampia.

Cosa farete ora? Darete un seguito a questa mobilitazione?
Certamente. Il 2 febbraio ci sarà un incontro intersindacale per decidere come proseguire. Ma già ora si può dire che tenteremo di allargare e radicare ulteriormente il fronte delle rivendicazioni. Sul piano nazionale a partire dai punti della piattaforma con cui è stato indetto lo sciopero: difesa dei posti di lavoro; aumento dei salari e delle pensioni; nuove politiche economiche a sostegno del potere d’acquisto delle classi popolari; preservare ed estendere le garanzie collettive, il servizio pubblico, la protezione sociale e regolamentare i mercati finanziari. Poi su quello territoriale, aprendo vertenze locali, nelle imprese, e di settore. Per esempio, nella grande distribuzione è molto sentito il problema del lavoro domenicale. Forte è la richiesta di introdurre il riposo la domenica.

E il governo? Si aprirà un negoziato? Incontrerete Sarkozy?
Sarkozy ha annunciato che incontrerà i partner sociali a febbraio, nel quadro del programma di riforme previste dal governo per il 2009. L’impressione è che stia prendendo tempo cercando di elaborare una strategia. Ha capito che così non va. Per il momento non ha proposto misure particolari. Noi aspettiamo risposte veloci, in ogni caso andremo avanti. Il 2 febbraio la Cgt proporrà alle altre organizzazioni sindacali delle nuove iniziative per consolidare il rapporto di forza e l’unità del movimento di lotta.

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