Palestra popolare di san Lorenzo, Roma
Angela Mauro
Liberazione 18 ottobre 2008
«La sinistra sarà pure in crisi, ma noi continuiamo a “combatte”…». Come dargli torto. Diretti, montanti, ganci. Alla Palestra popolare di San Lorenzo sono otto anni che sul ring si combatte, dieci secchi se si fa partire il conto dall’anno in cui lo stabile, in fondo a via dei Volsci nel quartiere romano di San Lorenzo, fu occupato dall’Associazione Sportiva popolare. Era il 1998, a Seattle doveva ancora esplodere la protesta anti-globalizzazione (fragorosa e dilagante, nel 1999), a San Lorenzo quell’occupazione muoveva i primi passi con la determinazione di un obiettivo pratico, specifico che vive ancora oggi. «Aprire una palestra popolare con prezzi accessibili per tutti perchè lo sport è materia popolare, le discriminazioni economiche costruiscono delle élite nello sport, ingiustificabili», ragiona Paolo Arioti, oggi che la sinistra è in crisi epocale «ma noi continuiamo a “combatte”…». Trentaquattro anni, co-protagonista dell’occupazione del ’98 (la palestra ha aperto nel 2000, dopo i lavori di ristrutturazione dei locali), Paolo è il “mister” delle lezioni di boxe. Trentacinque euro al mese (più un abbonamento annuale di 30 euro) per tre “puntate” settimanali di allenamento duro, molto duro. Non è pubblicità, ma un modo per dire che, crisi o non crisi, a distanza di otto anni dalla prima apertura, il “carattere popolare” della palestra resiste ancora, difeso coi denti – in una capitale dove tutto costa sempre di più – e anche aiutato negli ultimi tempi da eventi internazionali come le Olimpiadi. Perchè è vero che la palestra sanlorenzina offre anche altri corsi sportivi (arrampicata, capoeira, yoga, teakwondo, tai chi chuan), ma la boxe resta la disciplina più praticata, particolarmente dopo i successi dei boxeur italiani a Pechino. Boom di iscrizioni a settembre. «C’è un interesse rinnovato. Il pugilato olimpionico ci aiuta perchè mostra il volto più umano di questo sport – dice Paolo – quello professionistico è già diverso… esibisce la parte più cruenta di questa disciplina e può allontanare le persone». La “Boxe Roma San Lorenzo”, che afferisce alla palestra di via dei Volsci, si tiene sul livello dilettantistico, ha vinto diversi premi regionali ma ha anche “sfornato” una maglia azzurra. Una sola e donna: Daniela Compagnoni. Motivo di vanto in palestra, dove le donne che si avvicinano alla pugilistica non sono molte, ma in aumento. Sono in programma nel pomeriggio di oggi (17.30) delle riunioni di boxe che servono da test tra un campionato e l’altro. Circa una decina di incontri, tra cui anche uno tutto al femminile. Ci si aspetterebbe uno spettacolo sportivo riservato agli “addetti ai lavori” o agli appassionati del genere. Sbagliato. Di solito, le riunioni di boxe alla palestra di via dei Volsci sono veri e propri eventi di quartiere, piccole “feste popolari” con mamme, bimbi, nonni. Tutti intorno al ring, come succede del resto per gli incontri di fine anno organizzati di solito a giugno nella vicina piazza dei Sanniti. Pratica con forti connotati di sinistra, la teoria viene volentieri lasciata
a qualcun altro. In palestra si nota subito una bandiera di Cuba o la storica foto di Tommie Smith e John Carlos che salutano con il pugno alzato il primo e il terzo premio dei 200 metri alle Olimpiadi di Città del Messico nel ’68. Ma sono ovviamente le foto dei vari incontri di boxe – locali o anche storici e internazionali – e le bacheche con i premi a riempire le pareti. «Di politica, di partito non mi intendo…», ti dice tranquillamente Paolo se capita di sfiorare l’argomento tra un esercizio e l’altro, a lezione. Pratica. E di pratica, di sport sanno i discorsi che si sviluppano tra mister e allievi. Ad esempio, può succedere che si rifletta su altre discipline sportive. «Sto’ nuoto sincronizzato mica lo capisco…», una riflessione del mister sulle ultime Olimpiadi. E se poi succede che sei all’estero in vacanza e ti interrompono il match di Clemente Russo per trasmettere il nuoto sincronizzato, beh allora… «Ma perchè la tv ti trasmette tutto di certe discipline e di altre no?». Giri di soldi, accordi con le multinazionali, il perchè magari va cercato lì, non c’è che dire. E se lo sbocco professionale di un pugile come Russo, medaglia d’argento a Pechino, è la partecipazione a reality come “La talpa” su Mediaset, la risposta è «delusione, perchè – spiega il mister – ti aspetti altro da un campione. Ognuno è libero di
fare quello che vuole ma certo non ti aspetti che venda così la propria immagine per fare soldi». Anche se, in Italia soprattutto, non è proprio semplice far carriera nella pugilistica: si può sempre scegliere di portarla avanti nelle forze dell’ordine, sono pochi (un centinaio) quelli che riescono a pagarsi un manager. Se però lo scopo è dilettantistico, è più facile far prevalere la passione, pura. “La talpa” resta un “cattivo” esempio che ci si può permettere di schivare, come un brutto colpo sul ring. L’esperimento nato dall’occupazione del ’98 è riuscito, anche in termini di aggregazione sociale e creazione di uno spazio pubblico. Più che Russo, sullo sfondo spiccano campioni come Teofilo Stevenson, ex pugile cubano che ha fatto la storia della boxe dilettantistica, «medaglia d’oro a Montreal, Monaco e Mosca», elenca Paolo. Oppure «Felix Savon», guarda caso pure lui cubano, pure lui con un tris di medaglie d’oro alle spalle. E spiccano citazioni doc come quella di George Foreman: «Il pugilato è lo sport cui tutti gli altri sport aspirano». E poi c’è il ricordo di Joe Louis, «non proprio un intellettuale fuori dal ring, ma un genio sul quadrato», a dimostrazione che, continua il mister, «oltre a coraggio, determinazione e preparazione atletica, contro l’avversario ti serve anche intelligenza ma non nel senso comune del termine, un’intelligenza che definirei “pugilistica”». Joe Louis è il nero, simbolo della redenzione degli afroamericani, che nel 1938 catalizzò l’attenzione del mondo quando sconfisse sul ring dello Yankee Stadium di New York Max Schmeling, tedesco, simbolo della supposta superiorità della razza ariana a due minuti e quattro secondi dall’inizio del primo round. Regime nazista ko. Teoria politica poca, dunque. Pratica ed esempi da tenere a mente, tanti. Fa bene al cervello e ai muscoli, soprattutto in questa fase di convulsioni massime a sinistra. Eppure il pugilato è «l’unico sport dove i leoni hanno paura dei topi», dice Paolo citando il leggendario Larry Holmes. I leoni sono i boxeur, i topi sono i manager che molto spesso li sfruttano per far soldi. «La boxe è anche lo sport dove è davvero massiccio
lo sfruttamento dell’atleta, al quale si chiede tanto. Se si pensa poi che una sconfitta sul ring è molto più dolorosa, a livello fisico e psicologico, di una sconfitta sui campi di calcio….». Boxe come sport degli oppressi?
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si grande sport la boxe la pratico da quasi 10 anni, ma secondo me ci vorrebbe anche il pancrazio e magari il jujitsu. La boxe sport proletario tipico di italiani, baschi ed irlandesi, ci insegna coraggio e spirito di sacrificio. Grandi Flash Parisi, Urtain, Iacopucci eroi sfortunati. Un caro saluto, “salud”.ora vo a bossare.
secondo me bisognerebbe fare uno sport boxe-judo io lo definirei ” Combattimento burbero “. david pegni in arte vassili papucci il vipero