Sarko (ri)mostra i muscoli. Presto chiusi 300 campi Rom
Paolo Persichetti
Liberazione 30 luglio 2010
In Francia le uniche Gitanes ammesse saranno d’ora in poi soltanto le sigarette. Non ha detto proprio così il presidente della repubblica Sarkozy, ma il senso delle severe misure repressive decise dal consiglio dei ministri riunitosi mercoledì scorso non si discosta molto da questa radicale soluzione. Niente più nomadi Rom e Sinti in situazione irregolare. Il governo francese intende smantellare più della metà dei 300 campi considerati illegali installati nel Paese dalle Gens du voyage, come vengono chiamati da quelle parti. Il ministro degli Interni, Brice Hortefeux, ha annunciato che le autorità procederanno parallelamente alla espulsione con ricondotta «quasi immediata» in Romania e Bulgaria dei nomadi che avrebbero commesso azioni contro l’ordine pubblico. Una volta tanto gli Zingari si ritrovano messi all’indice non per essere sospettati di aver commesso furti e ruberie, oppure per aver messo in piedi un sistema organizzato di accattonaggio insieme a traffici vari o, peggio ancora, come narrano inossidabili leggende metropolitane, per aver «rubato bambini». No, stavolta contro i nomadi ricade un’accusa che ha l’odore sulfureo della perdizione politica, qualcosa che ormai per le culture statuali rasenta l’anticamera del terrorismo. I Rom sono colpevoli di essersi ribellati. Nella notte tra il 17 e il 18 luglio scorso hanno dato vita ad una sommossa nel villaggio di Saint-Aignan, 3500 anime perdute nelle campagne del Loir-et-Cher, dipartimento situato nel centro della Francia. La dinamica dei fatti è identica alla gran parte delle altre rivolte che si sono svolte negli ultimi decenni nelle banlieues delle maggiori metropoli francesi.
Prima l’aria diventa satura di rabbia. La comunità gitana sente montare sulle proprie spalle un clima di stigmatizzazione che si traduce in atteggiamenti sempre più oppressivi e vessatori da parte delle forze dell’ordine a cui le autorità hanno dato briglia sciolta. Quindi c’è l’innesco che provoca l’esplosione della rivolta. In genere un episodio cruento in cui sono coinvolte le forze di polizia, come fu per Clichy sous-bois dove trovarono la morte Zyed e Bouna, due adolescenti di 15 e 17 anni fulminati da una scarica elettrica partita da una centralina dietro la quale si erano riparati per sfuggire alle mani di alcuni poliziotti che li rincorrevano soltanto perché erano in strada. Un classico è l’intoppo ad un posto di blocco, come è accaduto ancora una volta poche settimane fa a Grenoble. In questi casi la versione dei fatti fornita dalle autorità e quella riportata dalle popolazioni locali appaiono ogni volta diametralmente opposte. In quest’ultima vicenda la gendarmeria riferisce un tentativo di sfondamento di un posto di blocco che avrebbe messo a rischio la vita dei militari, i quali avrebbero così sparato per legittima difesa uccidendo uno dei passeggeri. Il giovane deceduto apparteneva alla comunità nomade del posto, si chiamava Luigi e aveva solo 22 anni. Ovviamente chi era al suo fianco a bordo di una sgangherata R19 con 300mila chilometri nel motore, il cugino Miguel Duquenet consegnatosi più tardi alle autorità, ha riportato una versione completamente diversa, denunciando addirittura una esecuzione a freddo della gendarmeria, con modalità da vero e proprio «agguato». L’episodio ha scatenato una rivolta senza precedenti. Due caserme della gendarmeria prese d’assalto a colpi d’ascia e barre di ferro da una cinquantina di nomadi infuriati, alberi sradicati, vetture incendiate, semafori e arredo urbano distrutto, una panetteria saccheggiata. Notevoli i danni materiali ma nessun ferito da registrare. Inammissibile per il governo. Se anche i nomadi hanno imparato a ribellarsi la situazione diventa davvero pericolosa. E allora cacciamoli tutti, anche se vivono in Francia da decenni. Da qui il via allo smantellamento dei campi improvvisati «entro i prossimi tre mesi», come ha spiegato il ministro degli Interni. Una decisione avallata dalla Commissione europea che ieri, attraverso la portavoce della commissaria alla Giustizia e ai diritti, Viviane Reding, ha sottolineato come «le leggi europee sulla libera circolazione danno il diritto agli Stati membri di controllare il territorio e lottare contro la criminalità». La soluzione è semplice, basta criminalizzare l’intera comunità.
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