Dare del fascista a un fascista non è reato, cosa ci insegna il caso Tombolini

L’incredibile condanna del fondatore di Momo edizioni. Il giovane militante della sinistra ha criticato il sindaco di un paese della Sabina che ha pubblicamente difeso la teoria razzista della sostituzione etnica, già cara a Hitler. Il risultato? Quattro mesi di galera con pena sospesa…

Paolo Persichetti, L’unità 15 settembre 2023

Mattia Tombolini accanto a Zerocalcare, Poggio Mirteto, 6 settembre 2023 a «Sei un paese meraviglioso, contro il nulla che avanza»

Diffondere idee razziste, ripescare concetti dal museo degli orrori del fascismo facendo in modo che questi contenuti non siano etichettati come tali e dunque delegittimati, è una strategia che la destra meloniana sta portando avanti da un po’ di tempo. L’egemonia culturale è una ossessione della destra di governo: conquistarla passa attraverso la dissimulazione del reale contenuto storico delle loro posizioni. Chiunque tenti di svelarne il gioco piuttosto scoperto e per nulla nuovo, basti pensare al doppiopetto almirantiano, all’agognata rispettabilità che avrebbe dovuto sottrarli dalla pattumiera della storia dove erano stati relegati a metà del secolo scorso, alla fine del secondo conflitto mondiale e della guerra civile, diventa un obiettivo da abbattere. Chiunque attribuisca il nome esatto alle idee da loro professate va portato in tribunale e possibilmente fatto condannare. Unico modo per far circolare incontrastate le loro posizioni, intimidendo la critica e la libertà di espressione a suon di sentenze e tribunali.
Il primo a farne le spese è stato Mattia Tombolini, giovane animatore di Momo edizioni, una casa editrice per ragazzi che sta agitando, con le sue pubblicazioni fresche, irriverenti e coraggiose, il panorama della editoria giovanile. Prima di entrare nel mondo dei libri Tombolini è stato un militante della sinistra estrema romana partecipando alla esperienza innovativa del centro sociale Alexis. Era l’obiettivo perfetto da prendere di mira.
Il 10 luglio scorso il tribunale penale di Rieti lo ha condannato a quattro mesi di carcere con pena sospesa (anche se la Cedu ha stabilito che non può più esservi sanzione penale, ovvero il carcere, per il reato di diffamazione) e un risarcimento dei danni alla parte querelante per aver dato del fascista e razzista a un esponente di Fratelli d’Italia, tale Marco Cossu, attualmente sindaco di Casperia, un paesino della Sabina.
Il 15 dicembre 2018 nel corso di un convegno sul fenomeno migratorio tenuto presso la biblioteca comunale “Peppino Impastato” di Poggio Mirteto, organizzato dal comune insieme alle associazioni che operano nel settore, Marco Cossu intervenne rilanciando le deliranti teorie della sostituzione etnica. La sortita dell’allora vicesindaco di Casperia suscitò reazioni nel pubblico che ascoltava, il tono razzista e complottista dell’esponente di Fratelli d’Italia venne recepito come una provocazione. Cossu a quel punto si dileguò rapidamente.
Un anno dopo sulle pagine di Fb sempre Cossu pubblicava una ode al catrame in un post che inneggiava ad alcune strade da poco asfaltate dalla sua amministrazione («Asfalto? A qualcuno (non) piace caldo») ripreso con accenti canzonatori da un altro esponente della sinistra locale e subito seguito da una lunga serie di commenti frizzanti nei quali l’esponente di Fratelli d’Italia veniva dai più largamente perculato. Il tutto avveniva in un contesto dove gli intervenuti si conoscevano e per questo si lanciavano liberamente lazzi e frizzi, un po’ alla Peppone e don Camillo. Anche Mattia Tombolini scrisse la sua qualificando Cossu come un fascista e razzista per le parole espresse durante il convegno dell’anno precedente.
L’aspetto sorprendente in questa vicenda, solo in apparenza di provincia, è il fatto che una querela tanto temeraria sia giunta in giudizio fino alla condanna di Tombolini il cui commento è stato trascelto proprio perché coglieva il nodo della questione, senza irridere e dare dell’ignorante a Cossu come invece altri avevano fatto. Durante il processo è stata largamente affrontata la matrice culturale di estrema destra delle teorie paranoiche e proteiformi della sostituzione etnica, rilanciata con forza nel 2014 da Renaud Camus con il suo Le Grand remplacement ma già presente in alcune pagine del Mein Kampft di Hitler, ripresa dai suprematisti bianchi autori di diversi massacri. La difesa di Tombolini ha ricordato lo sfoggio dell’ascia bipenne o del saluto romano di cui il querelante faceva tranquillamente mostra.
«Tutte cose da ragazzini», ha replicato Cossu che rivendica la sua maturazione, il percorso nelle istituzioni, la laurea in scienze politiche, l’esame sulla migrazione dato in facoltà. Ha studiato, è preparato, ha fatto i compitini e quindi anche se professa teorie razziste per lui non può valere la categoria cartesiana, penso dunque sono. Cossu pensa fascista e razzista senza esserlo. Tutte questioni che dovrebbero far parte di un libero dibattito politico-culturale privo di minacce e ipoteche giudiziarie. La magistratura avrebbe fatto bene a tenersi fuori da questa querelle, se è vero che chiunque può sentirsi quello che vuole come è anche vero che l’enunciazione di determinati concetti nello spazio pubblico, tanto più se si rivestono cariche istituzionali, non può esimere dalla possibilità di ricevere critiche. Se si affermano certe idee bisogna poi avere il coraggio di saperle difenderle senza ricorrere alla stampella giudiziaria. Un coraggio che evidentemente a Cossu manca.
Se ne riparlerà in appello davanti al tribunale di Roma distante dalle prossimità ambientali tra élites tipiche della provincia. Perché c’è un fatto singolare che colpisce in questa vicenda, ovvero il contesto consociativo. Il legale di Cossu è infatti un esponente del Pd, assessore al bilancio nella giunta di Poggio Mirteto. Una ruolo pubblico e politico da molti ritenuto in contrasto con la tutela legale fornita a Cossu. Cosa ne pensa il Pd nazionale? E’ normale che un suo amministratore tuteli un cliente, per altro svolgendo un ruolo persecutore e non difensore, che professa teorie razziste? Scambiare la libertà di razzismo per la libertà di espressione è la linea politica condivisa nel Pd? Sono in molti a chiederselo in queste ore in Sabina e non solo.

Non sono tutti Charlie, in scena a Parigi la grande sfilata dell’ipocrisia

Non sono tutti Charlie quelli che sono scesi sulle strade di Parigi per sfilare contro il massacro compiuto nella redazione del giornale satirico francese e la successiva scia di sangue che ne è seguita. Non lo sono soprattutto quelli che hanno preso la testa del corteo, una cinquantina di capi di Stato provenienti da mezzo mondo accompagnati dall’intero establishement francese. Tra loro c’è gente che a casa propria mal tollera la satira o ne fa strame, come quel tal Benyamin Nétanyahou  o Avigdor Lieberman, rispettivamente premier e ministro degli esteri di un Israele che ha sempre eliminato fisicamente vignettisti e poeti palestinesi, timorosa delle loro matite e dei loro versi considerati armi da guerra (leggi sotto).
Non è Charlie nemmeno il ministro dell’economia israeliano, quel Naftali Bennett, capo del partito della destra religiosa, Foyer juif, che nel 2013 non ha avuto problemi nel dichiarare: «ho ucciso molti arabi nella mia vita. E tutto ciò non mi crea alcun problema».
Non sono Charlie il re di Jordanie Abdallah II, il capo della diplomazia russa Sergueï Lavrov, il primo ministro turco Ahmet Davutoglu, il ministro degli esteri degli Emirati arabi uniti, cheikh Abdallah ben Zayed Al-Nahyane, il capo del governo ungherese, Viktor Orban, il presidente della repubblica gabonese Alì Bongo, che Reporters sans frontières colloca nella sua classifica sulla libertà di stampa mondiale rispettivamente: la Turchia al 154° posto, la Russia al 148°, la Giordania al 141°, il Gabon al 98°, Israele al 96° e l’Ungheria al 64°.
In Giordania vengono arrestati giornalisti e chiusi canali televisivi, come recentemente è accaduto per una emittente della opposizione irachena. In Russia basta ricordare la sorte della Politkovskaja oppure il processo e la condanna delle Pussy riot. In Ungheria il governo in mano alla destra populista ha fatto votare una legge bavaglio contro la stampa. In Turchia sono all’ordine del giorno arresti di massa contro i media d’opposizione, per non parlare del sostegno militare e logistico fornito alle forze islamiste che combattono in Siria. Non sono Charlie il presidente ucraino Petro Porochenko e il rappresentante della diplomazia egiziana Sameh Choukryou, paesi dove la libertà di stampa ha vita difficile. Non lo è nemmeno lo spagnolo Mariano Rajoy che non ha problemi a colpire avvocati e stampa basca indipendentista.
Forse dopo il gran defilé che ha benedetto l’union sacrée mondiale per la difesa della libertà di stampa, il miglior regalo che si poteva inviare ai predicatori dell’odio religioso e ai loro dirimpettai fanatici dello scontro delle civiltà, non è più Charlie nemmeno Charlie Hebdo.
La satira è irriverenza assoluta contro il potere e i potenti, altrimenti è solo insulto e ghigno contro i deboli. L’endorsement delle cancellerie mondiali è un abbraccio mortale per un settimanale satirico che così rischia di divenire solo una delle tante gazzette delle grandi potenze. Charlie hebdo non è morto sotto i colpi dei fratelli Kouachi ma calpestato dai passi delle cancellerie mondiali.

-1

 

Dal blog Polvere da sparo

Quando Israele volò fino a Londra per sparare ad un vignettista…

E’ il quotidiano israeliano Haaretz a comunicarci che domani in piazza, a Parigi, alla mastodontica manifestazione “per la libertà di espressione e la democrazia” sarà presente anche Benyamin Netanyahu.
Sotto il drappo nero e la scritta “Je suis Charlie” abbiamo visto scorrere, in queste giornate, tra le più terrificanti immagini di questi tempi e sicuramente domani, sull’asfalto parigino, assisteremo alla sagra della mostruosità.
Charlie Hebdo era irriverenza e blasfemia, lotta con qualunque arma all’oscurantismo: i caduti di quel giorno son gente nostra, son compagni, sono anarchici, sono blasfemi cazzari che hanno sempre odiato quel che questa gente è. Una rivista nata sull’antimilitarismo, sull’abbattimento del bigottismo e dell’oscurantismo, sulla presa per il culo di qualunque tipo di religione (che ci piaccia o no): chi riempirà le strade domani sarà proprio il nemico di quelle matite spezzate.

Poi, mi ripeto, veniamo a sapere che non ci sarà solo un inutile Renzi, no..
alla sfilata di domani ci sarà anche chi ha fatto scuola in materia di uccisioni di vignettisti: il primo ministro dello stato ebraico di Israele.
Sarebbe bello se domani in piazza Bibi Netanyahu ci raccontasse dove era il 22 luglio 1987, mentre su un marciapiede di Londra veniva colpito Naji al-Ali, disegnatore e vignettista palestinese,
papà premuroso di Handala, bimbo palestinese simbolo delle sue strisce di cui nessuno ha mai visto il mondo perché è sempre stato disegnato di spalle. Un bambino che rappresentava (e certo il piombo del Mossad non l’ha interrotto in questo suo compito) la resistenza palestinese e un intero popolo, un bimbo che si sarebbe girato per mostrare il suo volto solo una volta tornato a casa sua, solo una volta tornato libero, in terra di Palestina.
Il papà di Handala, colui che muoveva quella matita così fastidiosa, era un uomo straordinario: a 10 anni era stato un Handala anche lui, esule, cacciato dalla sua terra e abitante di arrangiate tende nel campo di Chatila in Libano.
Naji al-Ali con la sua matita, ogni giorno, anche dal più lontano esilio londinese, colpiva il nemico israeliano occupante con strisce sottili e pungenti, laceranti e dolci,
era un combattente instancabile, finchè Israele non decise di andarlo a cercare.Handala, di Naji al-Ali
Trovò la morte con un colpo in pieno volto, a molte miglia di distanza dalla sua terra profumata di Timo,
colpevole, con la sua ironia e le sue matite,
di combattere l’occupazione militare, l’esilio, l’impossibilità di ritorno, l’apartheid che ancora avanza.

Sarebbe bello chiedere a Netanyahu dove era in quel luglio del 1987 quando il volto di Naji veniva spappolato,
quando abbiamo perso per sempre la possibilità di vedere il volto del suo Handala.
Sarebbe bello che Netanyahu domani si guardasse allo specchio e lo vedesse lui il volto di Handala, intento a sputargli in un occhio, poco prima che raggiunge una manifestazione in nome della libertà di espressione e in ricordo di vignettisti “uccisi dal terrore”.
Vergognatevi.

Link utili
Cronache migrantiLa profezia armata dell’occidente
Destra, il terrorismo dei lupi solitari. Le passioni tristi della crisi. Il massacro dei senegalesi di Firenze

Francia, amnistia per fatti commessi in occasione di movimenti sociali, attività sindacali e rivendicative

Ecco il testo della proposta di legge d’amnistia sociale presentata davanti al senato francese dal Pcf e dal Fronte de Gauche per fatti commesi prima del 6 maggio 2012 passibili di condanne fino a 10 anni di reclusione in occasione di conflitti sui posti di lavoro, attività sindacali o rivendicative, movimenti collettivi rivendicativi, associativi o sindacali relativi a problemi legati all’educazione, la sanità, le lotte per la casa, l’ambiente, i diritti dei migranti, ivi comprese le manifestazioni di piazza o in luoghi pubblici; per sanzioni disciplinari sui luoghi di lavoro, per le agitazioni studentesche anche all’interno degli istituti scolari e universitari che hanno dato luogo a sanziopni disciplinari, in questo caso l’amnistia comporta anche il reintegro in istituto nel caso fosse stata comminata l’espulsione

 

Amnistie 1

Amnistie 2

Amnistie 3

Amnistie 4amnistie 5

Amnistie 9


Articoli correlati
Devastazione e saccheggio, genealogia di un capo d’imputazione
Francia, amnistia per fatti commessi in occasione di movimenti sociali attività sindacali e rivendicative
Dopo le pesanti condanne per devastazione e saccheggio confermate dalla cassazione torniamo a parlare di amnistia (un libro per riflettere: politici e amnistia, tecniche di rinuncia alla pena per i reati politici dall’Unità d’Italia ad oggi)
Movimento 5 stelle, non basta appoggiare la lotta no tav dovete battervi anche per l’amnistia in favore dei reati contestati durante le lotte sociali e la difesa dei territori
Stéphan Gacon, L’Amnistie, Seuil, Paris 2002, pp. 424
L’Amnistia Togliatti, Mimmo Franzinelli, Mondadori, Milano 2006, pp. 392

Une histoire politique de l’amnistie a cura di Sophie Wahnich Puf, Parigi, aprile 2007, pp. 263

Paolo Granzotto sanzionato per razzismo. Aveva scritto: rispedire al mittente la «feccia rumena»

Sanzione “segreta” per Paolo Granzotto

Redattore sociale
16 marzo 2012

Aveva scritto che bisognava rispedire al mittente “la feccia rumena” (vedi sotto) in un articolo del 2009 pubblicato su “Il Giornale”. Per queste espressioni xenofobe, il giornalista Paolo Granzotto, iscritto all’Ordine del Lazio, ha ricevuto nei giorni scorsi la sanzione della censura che viene inflitta “nei casi di abusi o mancanze di grave entità” e “consiste nel biasimo formale per la trasgressione accertata”.
A denunciare Granzotto all’Ordine dei giornalisti era stata una reporter di origine romena che fa parte dell’Associazione nazionale stampa interculturale (Ansi). Tuttavia, la decisione non è stata resa pubblica, nemmeno sul sito dell’Ordine laziale.
Roberto Natale, presidente della Federazione nazionale della stampa italiana, ha ricordato la vicenda al Salone dell’editoria sociale, nel corso della presentazione del secondo libro bianco sul razzismo in Italia, dal titolo “Cronache di ordinario razzismo”, a cura dell’associazione Lunaria. Commentando l’opera che muove critiche molto dure ai giornalisti italiani in tema di razzismo, Natale ha parlato di “spettacolarizzazione delle notizie sugli stranieri con connotazione negativa”, “di omissione di importanti notizie” e di “informazione forcaiola”. L’Fnsi promuove da mesi la campagna “LasciateCientrare” che ha visto anche Redattore Sociale in prima linea per chiedere l’accesso della stampa ai centri di detenzione e a quelli di accoglienza per migranti, vietato da una circolare del ministro dell’Interno Roberto Maroni. “I Centri di identificazione e di espulsione sono un problema di diritti dei migranti e di diritto dei cittadini a essere informati – ha detto il presidente dell’Fnsi – è però anche un gigantesco problema di costi non motivati e di sprechi del denaro pubblico”.
 Il 2011 è stato l’annus horribilis del razzismo in Italia, con il picco di casi sia tra la gente comune sia tra le istituzioni, secondo il monitoraggio effettuato da Lunaria, che va a colmare il vuoto delle statistiche ufficiali. “Questa impennata è legata allo spauracchio degli sbarchi e della cosiddetta invasione islamica” ha spiegato Paola Andrisani, la ricercatrice che ha curato il monitoraggio. I casi erano tantissimi, circa un migliaio, ma solo 255 sono finiti nel volume, come rappresentativi di quello che avviene nelle pieghe dell’Italia nascosta all’opinione pubblica. I mass media sono i primi imputati. “Il razzismo è una terribile semplificazione, un gioco ad avere un capro espiatorio e un nemico, con un linguaggio bellicoso e ostile” ha commentato Franca Di Lecce, della Federazione delle chiese evangeliche.  “La stampa mainstream anche progressista continua a chiamare centri di accoglienza quelli che sono i lager di stato – ha spiegato l’antropologa Annamaria Rivera – si legge anche di ‘etnia cinese’, un miliardo di persone diventa incredibilmente un’etnia. Manca uno strumento per sanzionare chi usa questo linguaggio”.  A margine dell’incontro Grazia Naletto, presidente di Lunaria, inquadra così la battaglia di parole: “In Italia c’è un senso comune che ancora ritiene che il razzismo non esiste. Senza cadere nell’errore opposto di generalizzare, bisogna dire che la società italiana non è razzista ma c’è una preoccupante diffusione del razzismo e della xenofobia”.
Dopo la pulizia etnica di Rosarno nel 2010, una nuova pagina nera ha segnato l’anno in corso: Lampedusa. Ancora una volta, i reportage dei mass media sono al centro del dibattito per le conseguenze sociali della cattiva informazione. “La grande simpatia nei confronti della primavera araba si ferma a quando i protagonisti sono rimasti a casa loro, perché quando hanno preso il mare per venire in Italia le cose sono cambiate” ha detto Maria Silvia Olivieri, una delle autrici del libro bianco e responsabile comunicazione del Servizio di protezione per rifugiati e richiedenti asilo (Sprar). “I media sono stati al servizio della scelta governativa di svilire la dignità delle persone – ha continuato – abbiamo visto immagini di persone ammassate come animali a dormire sul molo e ci siamo chiesti perché non venissero trasferiti nei centri di accoglienza governativi che sapevamo essere disponibili. Si voleva fare un’operazione Napoli a Lampedusa, come per la spazzatura”. Olivieri ha sottolineato che “c’è stata una costruzione scientifica di un nemico mentre nel frattempo la gente moriva in mare. I connazionali delle vittime hanno riferito che gli è stato perfino impedito di intervenire nel riconoscimento delle salme, nessuno si chiede cosa ne è stato di questi cadaveri rimasti senza nome”. (rc)
Cacciamoli Bucarest si riprenda le sue canaglie
di Paolo Granzotto
Il Giornale 4 febbrio 2009

Fuori, fuori, senza la minima esitazione. Accompagnati alla frontiera e lì consegnati alle autorità romene. Ci pensino poi loro a farne ciò che ritengono opportuno. Questo giornale si è sempre battuto per la certezza della pena, è vero. Ma che il contribuente, categoria alla quale mi onoro di appartenere, debba sborsare 400mila euri al giorno per farla scontare alla folta popolazione carceraria romena è una cosa che non mi va giù. Oltre tutto, se una volta riconosciuta colpevole di reato rispedissimo al mittente la feccia romena – e spero che non mi si dia del razzista se chiamo col loro nome individui che ammazzano, stuprano, rubano agendo con furore belluino – ne guadagnerebbe e di molto l’impellente questione dell’affollamento carcerario. C’è da aggiungere un’altra cosa. Per il romeno che si macchia di un delitto – di qualunque entità esso sia – una pena grave, dolorosa da sopportare, è proprio quella di lasciare quel Bengodi per la criminalità e la clandestinità che è l’Italia. Dove un po’ per pietismo buonista, un po’ per solidarismo multietnico e culturale, un (bel) po’ per zelo ideologico, non solo la condanna inflitta è sempre mitigata da una sfilza di attenuanti più o meno generiche, ma fra permessi, affidamento in prova, libertà vigilata o condizionale e legge Gozzini la stesso periodo di detenzione finisce per essere decurtato della metà della metà. E tutto ciò rende particolarmente accomodante la vita ai malviventi. Magari, non si può mai dire, i regimi giudiziario e carcerario romeno sono un po’ meno tolleranti e buonisti del nostro, magari laggiù la pena la si sconta fino in fondo. Ma anche in caso contrario, resta il fatto che in Romania il delinquere comporta più rischi che non in Italia. Se così non fosse, non verrebbero a frotte da noi per esercitare la loro, diciamo così, professione.
Ci sarebbe, su questo argomento, da sentire il parere delle vittime o, in caso di omicidio, dei loro parenti. Che si aspettano, che pretendono che giustizia sia fatta. Ma che per i motivi sopradetti di rado vedono esaudita la loro legittima, umanissima richiesta. Mi chiedo allora se desti più furore sapere che il colpevole in qualche modo l’ha fatta franca – magari scarcerato dopo un paio di giorni – o sapere che è fuori dai piedi, in qualche galera o in qualche souk romeno, non proprio luoghi ameni, sia l’una che l’altro. Non so, ma io non avrei dubbi. Oltre tutto la Romania è in Europa, aderente a pieno titolo all’Unione e non mi pare sia consono allo spirito, agli ideali e ai principi eurolandici impestare di canagliume gli Stati membri. Non dico mica che noi siamo, da quel punto di vista, dei santi. Ma ciascuno si tenga le canaglie sue e pertanto, quelle romene, fuori. Fuori senza la minima esitazione.

Link
Paolo Granzotto: “Cacciamoli:_Bucarest_si_riprenda_sue_canaglie
Cattivi maestri e bravi bidelli: le carte truccate di Paolo Granzotto

Destra: il terrorismo dei “lupi solitari”, le passioni tristi della crisi. Il massacro dei senegalesi di Firenze

L’analisi – Cosa c’è dietro l’azione pluriomicida di Gianluca Casseri, frequentatore di CasaPound

Il killer xenofobo non era un soggetto isolato. Casseri era iscritto come simpatizzante all’associazione CasaPound di Pistoia, come recita un comunicato ufficiale di CasaPound Italia («Il semplice fatto della sua partecipazione ad una nostra manifestazione – spiega CPI in una nota – non è assolutamente sinonimo di impegno politico in e per CPI, come il fatto che fosse iscritto da simpatizzante a Pistoia non vuol dire che partecipasse in alcun modo alle attività organizzative della sezione»). Non solo, godeva anche della stima di Gianfranco de Turris, un autorevole intellettuale della destra italiana.
Chi è de Turris?
De Turris è fondatore e segretario della Fondazione «Julius Evola», dedicata al «pensatore» d’estrema destra, con trascorsi fascisti e nazisti, teorico della gerarchia tra le razze. E’ stato vicecaporedattore dei servizi culturali al Giornale Radio della Rai, in quota a Alleanza Nazionale e poi al Pdl, è andato in pensione nel febbraio del 2009. Continua a curare una rubrica, L’Argonauta, su Radiouno Rai ogni domenica sera.
Sempre de Turris ha firmato due prefazioni encomiastiche ai libri di Casseri. L’ultimo, I Protocolli del Savio di Alessandria, pubblicato a maggio per l’editore Solfanelli, è un’invettiva contro Il cimitero di Praga di Umberto Eco e conferma l’esistenza del complotto pluto-giudaico sul mondo. Nella prefazione loda Casseri e spiega che I Protocolli dei Savi di Sion, pur essendo un documento falsificato, nondimeno dicono cose vere. I saggi di Casseri su Lovecraft sono sempre stati annunciati sui siti web più noti nell’ambito del fantastico italiano, così come il «romanzo esoterico» scritto con Enrico Rulli, La Chiave del Caos, sempre con prefazione del solito de Turris

di Guido Caldiron
Liberazione 14 dicembre 2011

Gli studiosi del terrorismo di estrema destra li chiamano “lupi solitari”: figure legate alla culture xenofobe, fasciste o anti-sistema che decidono di passare all’azione non in base a un progetto politico o “militare” che hanno costruito con altri, ma quando ritengono che sia venuto il momento dello scontro, della guerra, dell’atto esemplare. Muovendosi in un territorio emotivo che rasenta spesso la follia pura, i “lupi solitari” non sono però mai delle figure culturalmente isolate, spesso già affiliati a gruppi o formazioni estremiste, interpretano con la loro sanguinaria “discesa in campo” gli umori più terribili del proprio tempo. Di fronte alle contraddizioni e alle inquietudini delle società occidentali, di fronte al crescere del disagio sociale e identitario, si fanno interpreti dei “sentimenti tristi” della crisi: odio, rancore, razzismo. Agiscono da soli, portando alle estreme conseguenze la cultura della guerra che hanno in sé, e che è parte fondante delle ideologie come delle sottoculture del radicalismo identitario, ma si immaginano come interpreti del senso comune, dando così un nome e un volto ai fantasmi della discriminazione e della ricerca costante di un capro espiatorio che caratterizzano da tempo il cuore malato dell’Occidente.
Ciò che è accaduto ieri a Firenze e quanto è già dato di sapere sulla biografia e le idee di Gianluca Casseri, il cinquantenne simpatizzante di Casa Pound, cultore del fantastico e dell’esoterismo, descritto dalle agenzie di stampa come un individuo con «simpatie neonaziste, pagane, antisemite e razziste», che ha ucciso due venditori ambulanti senegalesi e ne ha feriti gravemente altri tre prima di togliersi la vita, sembra infatti rimandare – con le dovute proporzioni, ma con la medesima gravità – ad altre simili tragedie. Per quanto il profilo di Casseri faccia pensare al neofascismo di sempre, con tanto di formazione evoliana e rimandi alla cultura che ha prodotto I Protocolli dei Savi di Sion, la sua follia razzista può essere forse inquadrabile in una tendenza più ampia e diffusa ormai sul piano internazionale.
Era il 22 luglio di quest’anno quando Anders Behring Breivik, un norvegese di trentadue anni, faceva prima esplodere una bomba nei pressi della sede del governo, nel centro di Oslo, e attaccava quindi a colpi di mitraglietta il campeggio dei giovani del Partito Laburista sull’isola di Utoya, non lontano dalla capitale. Bilancio della giornata più tragica della storia della Norvegia del secondo dopoguerra: settantasette morti e centinaia di feriti.
Già vicino al Partito del Progresso, una formazione xenofoba arrivata a raccogliere fino a un quarto dei consensi dei norvegesi su una piattaforma politica anti-Islam e anti-immigrati, ben prima di rendersi protagonista della strage di Oslo, questo giovane benestante e direttore di un’azienda agricola biologica, aveva diffuso su internet un testo di 1500 pagine dal titolo European Declaration of Independence – 2083, in cui si presentava come un “nuovo crociato”, o un “nuovo templare”, in grado di guidare “le milizie cristiane” verso la liberazione del Vecchio Continente, ormai trasformatosi in “Eurabia”, vale a dire un’Europa nelle mani dei musulmani. Il multiculturalismo e i suoi alleati, a partire proprio dai socialdemocratici norvegesi, e l’Islam erano i nemici a cui Breivik aveva annunciato di voler muovere guerra.
Quel testo delirante, l’attentatore norvegese lo aveva anche inviato ad alcuni parlamentari, in diversi paesi europei, che evidentemente ritenava sensibili alle sue tesi. Del resto, all’indomani della strage e suscitando scandalo nel suo stesso partito, l’europarlamentare della Lega Nord Mario Borghezio aveva dichiarato: «Al netto della violenza, le idee di Breivik – il no alla società multirazziale, la critica dura alla viltà di un’Europa che pare rassegnata all’invasione islamica – sono profondamente sane e condivisibili».
La figura del “lupo solitario” è stata però evocata soprattutto dagli esperti statunitensi di terrorismo e a partire da un caso emblematico: quello del più grave attentato compiuto sul suolo americano prima dell’11 settembre.
Il 19 aprile del 1995 un camion riempito di una micidiale miscela composta da fertilizzante, benzina e gasolio, esplode sotto l’Alfred Murrah Federal Building nel centro di Oklahoma City. L’effetto è pari all’esplosione di 2mila kg di dinamite: l’edificio che ospita gli uffici di alcune agenzie federali che lavorano con l’Fbi, è distrutto. Le vittime sono 168, tra cui 19 bambini, i feriti superano i 680.
Per la strage viene processato e condannato a morte – sarà giustiziato nel 2001 in un carcere dell’Indiana – Timothy McVeigh un giovane di ventisette anni, bianco, reduce dall’Iraq, ha partecipato all’operazione “Desert storm”, e vicino al movimento estremista delle Milizie. Al momento del suo arresto, nella macchina di McVeigh la polizia trova alcune armi e una copia dei Turner Diaries un libro di fantascienza molto diffuso nel circuito del suprematismo bianco che descrive lo scoppio di una guerra razziale, e nucleare, negli Usa.
McVeigh spiegherà che «l’attentato era un gesto di rappresaglia, una ritorsione» per quanto accaduto a Waco, in Texas, nel 1993, quando l’Fbi attaccò il ranch in cui si erano asserragliati i membri di una setta religiosa causando decine di morti. «Proprio come in Cina, il nostro governo ha utilizzato i carri armati contro i suoi stessi cittadini», sosteneva il giovane attentatore, spiegando come per l’estrema destra quell’atto avesse rappresentato una vera e propria dichiarazione di guerra di Washington a tutti gli americani.

Sullo stesso tema
L’italia s’è destra

Dal Lago, Lampedusa: «Trattati come bestie, è normale che si ribellino»

Intervista ad Alessandro Dal Lago, sociologo dell’univeristà degli studi di Genova

Paolo Persichetti
Liberazione 22 settembre 2011

Metti un’isola persa al centro del Mediterraneo, prima porta d’Europa e rotta privilegiata per migliaia di migranti che giungono dalle rive meridionali. Lascia che sul suo lembo di terra sorga un campo di concentramento e riempilo, uno sbarco dopo l’altro, di disperati. L’isola, un tempo abitata da pescatori e abituata solo ad ospitare turisti, sembra ormai una nuova fortezza Bastiani. All’inizio commercianti e bottegai sono contenti. Il presidio permanente delle Forze di polizia garantisce un bel fisso mensile, ma col tempo crescono i malumori. Gli equilibri saltano. Dalle reti si raccolgono cadaveri di naufraghi, il mare sembra un cimitero liquido che lascia affiorare tracce di vite annegate. La gente è stanca di vedere “tutta la miseria del mondo” approdare sulle proprie spiagge. Il dolore, le tragedie, la facce disperate. Nell’isola non c’è più felicità ma il rombo permanente di una guerra: la guerra alle formiche affamate che cercano speranza. Chi ha pensato tutto questo ha fabbricato una bomba sociale. Dagli alambicchi dell’odio distillato in laboratorio è venuta fuori la caccia all’immigrato che si è scatenata a Lampedusa.

Professor Dal Lago siamo alla guerra tra poveri? Avevano bisogno di queste immagini a cui i media offriranno un potente moltiplicatore simbolico?
Con la catastrofe economica che si sta avvicinando c’è il rischio che situazioni di questo tipo si presentino in serie. Quando l’orizzonte si oscura te la prendi con il primo a portata di mano, il più vicino che ti da fastidio o pensi che per te sia un danno. In queste condizioni era inevitabile, d’altronde non è la prima volta che nei Cpa e Cie scoppiano incidenti del genere. E’ la riprova del fatto che non si possono controllare i flussi migratori semplicemente con le espulsioni, che nemmeno funzionano perché mancano i soldi per pagare gli aerei.

Le violenze sui migranti di alcuni lampedusani sono un fatto preoccupante.
E’ inevitabile che ci siano conflitti di prossimità in una situazione così esplosiva, costipata. Solo una settimana fa La Russa è andato a dire che tutto funzionava. Ora i risultati si vedono. Siamo alla conseguenza di leggi demenziali che lasciano la gente rinchiusa a marcire fino a 18 mesi. Non si possono ammassare esseri umani in queste condizioni e poi meravigliarsi perché si ribellano. Queste dinamiche andrebbero spente alla fonte, non una volta che sono esplose. Ora alcuni, come la Lega, ci sguazzeranno dentro. Non abbiamo solo un governo di destra, abbiamo un governo incapace di soddisfare anche il punto di vista della destra. Per questo ceto politico la condizione dei migranti è vissuta come un problema marginale, secondario. Non gliene importa proprio nulla. Un profondo e sotterraneo disprezzo nei confronti di queste popolazioni. In questo senso si può anche dire che sono peggio di chi li ha preceduti. Il governo sta  crollando, Berlusconi è rinchiuso nei suoi palazzi sotto assedio. Nel resto del mondo è visto come il Gheddafi d’Europa: un buffone. Il problema è che sono inetti non solo di destra.

Si è innescata una dinamica pericolosa.
Certo. Attenzione perché questi non solo non sono in grado di controllare nessun meccanismo, ma mancano di qualsiasi strategia. Siamo di fronte a un governo che non ha la cultura politica per portare avanti un discorso sensato sulla migrazione.

Link
Cronache migranti
Sans papiers impiegati per costruire Cpt
Le figure del paria indizio e sintomo delle promesse incompiute dall’universalità dei diritti
Elogio della miscredenza
Razzismo a Brescia, distribuiti guanti ai passeggeri che salgono  sul bus dei migranti
Ponte Galeria, migranti in rivolta salgono sui tetti
Il nuovo lavoro schiavile
Dopo i fatti di Rosarno manifestazione di protesta al Cie di Crotone

Sbarchi a Lampedusa, «il governo conceda la protezione temporanea prevista anche dall’Ue»

Intervista a Gianfranco Schiavone, membro dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione

Paolo Persichetti
Liberazione 3 aprile 2011

Nel giro di poche settimane, dal giorno in cui è esplosa la guerra civile in Libia, la Tunisia ha accolto sul suo territorio 100 mila persone. Lo ha fatto con «grande dignità e capacità», spiega in un comunicato l’associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, nonostante il Paese sia allo stremo, con una economia distrutta ed un apparato statale in parte smantellato. Il governo provvisorio, infatti, ha sciolto i corpi di polizia, invisi alla popolazione perché compromessi con la dittatura di Ben Alì, congedandone per intero i 150 mila appartenenti. L’ordine pubblico è per ora gestito dalle Forze armate composte da militari di leva, in attesa che la prossima assemblea costituente voti la nuova costituzione a cui dovranno ispirarsi le nuove forze dell’ordine. Nonostante ciò, la Tunisia ha dimostrato una capacità d’accoglienza sconosciuta all’Italia. Da noi sono bastate poche migliaia di profughi, meno di 10 mila, per gridare all’esodo biblico, e creare volutamente una situazione insostenibile sull’isola di Lampedusa, il collo di bottiglia degli ingressi via mare. Eppure, ci spiega Gianfranco Schiavone, consigliere nazionale dell’Agsi, «gli strumenti di diritto per fare fronte a questa emergenza esistevano da subito. E’ mancata è la volontà di applicarli anche per ragioni di calcolo legati all’intenzione di suscitare sentimenti xenofobi da fruttare politicamente oltre ad una certa confusione del governo».

Intende la norma sulla “protezione temporanea” prevista dall’articolo 20 del testo unico sull’immigrazione che secondo alcune indiscrezioni il governo sarebbe propenso a prendere in considerazione?
Non solo. Esiste anche una norma europea che istituisce la protezione temporanea prevista dalla direttiva 2001/55/Ce, recepita dall’Italia col decreto legislativo del 7 aprile 2003 n. 85. Il ricorso a questo tipo di permesso, che ovviamente va concertato a livello europeo, offrirebbe ai profughi la possibilità di spostarsi in tutto lo spazio Shengen. In questo caso si potrebbe discutere della ripartizione delle quote tra Paesi membri. L’articolo 20 del testo unico sulla immigrazione elaborato nel 1989 consente, invece, una protezione temporanea solo sul territorio nazionale.

Questa è una differenza rilevante. Alcuni Paesi europei potrebbero opporsi come sta già facendo la Francia che respinge i migranti alla frontiera di Ventimiglia.
La realtà è che l’Italia, al di là delle lamentele rivolte verso gli altri Paesi membri, non ha mai presentato formalmente la proposta di attivare la protezione temporanea. A livello Ue questo tipo di protezione è stato espressamente previsto per quelle situazioni eccezionali in cui si manifestano afflussi massicci di persone che fuggono da situazioni di grave instabilità che si è prodotta in un Paese terzo rispetto all’Ue: “il cui rimpatrio – stabilisce il testo – in condizioni stabili e sicure risulta momentaneamente impossibile a seguito della situazione del Paese stesso”. Che è proprio quello che sta accadendo oggi. L’Italia introdusse in anticipo questa norma rispetto all’Ue perché si trovò in prima linea a fronteggiare la crisi albanese. La protezione internazionale in questo caso non c’entra nulla. Non siamo di fronte a richieste di asilo politico legate al riconoscimento di una violazione della convenzione di Ginevra.

Avete avuto qualche ruolo nel ricordare al governo che esisteva questa strada?
C’è stato un suggerimento da parte di parecchie associazioni ma non c’è stato molto ascolto. Il governo si è dimostrato miope nell’illusione di riuscire a rimpatriare coercitivamente (e illegittimamente secondo il protocollo Cedu) le migliaia di tunisini. La protezione temporanea darebbe corso a permessi annuali, rinnovabili una sola volta, favorendo i ricongiungimenti familiari in ambito europeo. Infine non dimentichiamo che stiamo perdendo l’occasione per investire sul futuro di un Paese giovane con un potenziale economico e sociale che potrebbe sfociare in una collaborazione economica e culturale per noi favorevole.

Link
I dannati della nostra terra
Cronache migranti
Sans papiers impiegati per costruire Cpt
Le figure del paria indizio e sintomo delle promesse incompiute dall’universalità dei diritti
Elogio della miscredenza

Cronache migranti


Link
Parte oggi mos maiorun, la retata europea contro i migranti
Sbarchi a Lampedusa: le associazioni chiedono l’applicazione della norma sulla concessione dei permessi temporanei
Castel Volturno, il sindaco e Forza nuova riesumano il Kkk
Francia, la nuova banca dati che scheda le minoranze etniche non sedentarizzate
Le periferie contro lo Stato
Il sindaco di Castel Volturno chiama gli squadristi di Forza Nuova per cacciare “immigrati e comunisti”
Castelvolturno, deposta una stele per ricordare il massacro ma Saviano non c’era e il sindaco era contro
I nuovi figli di Pétain: le ordinanze razziste emanate dal governo francese contro i rom
Italia-Libia: quando-l’immigrazione è un affare di Stato
Rom: lo chiamano “rimpatrio” ma è deportazione
Sarko-choc, “Via la cittadinanza ai francesi di origine straniera autori di reati”
Francia, riesplode la banlieue. Guerriglia urbana a Grenoble
Francia, crociata del governo contro Gitani e Sinti
Razzismo a Brescia, distribuiti guanti ai passeggeri che salgono  sul bus dei migranti
Ponte Galeria, migranti in rivolta salgono sui tetti
Il nuovo lavoro schiavile
Dopo i fatti di Rosarno manifestazione di protesta al Cie di Crotone
I dannati della nostra terra
Camicie verdi di ieri, ronde di oggi
Le ronde non fanno primavera
Aggressioni xenofobe al Trullo
Razzismo a Tor Bellamonaca, agguato contro un migrante
I dannati della nostra terra
Sans papiers impiegati per costruire Cpt
Le figure del paria indizio e sintomo delle promesse incompiute dall’universalità dei diritti
Elogio della miscredenza
La lunga notte di Parigi dove la Cgt da l’assalto ai migranti
Parigi, la Cgt sgombera la bourse du travail occupata dai migranti
Rapporto Migrantes, Italia sempre più multietnica

Aigues-Mortes 1893, lavoratori francesi contro lavoratori italiani

Libri – Enzo Barnabà, Morte agli italiani. Il massacro di Aigues-Mortes, 1893, Infinito Edizioni (pp. 128, euro 12,00)
Gerard Noiriel, II massacro degli italiani. Aigues-Mortes, 1983. Quando il lavoro lo rubavamo noi, Marco Tropea (pp. 320, euro 18,00)

Paolo Persichetti
Liberazione 13 febbraio 2011


Un grande massacro può restare solo un piccolo scandalo». E’ un po’ il destino toccato al “Massacre des Italiens”, il pogrom scatenatosi in Camargue, il 17 agosto 1893, contro i lavoratori stagionali italiani impiegati nelle saline francesi di Aigues-Mortes che provocò 8 morti, 14 dispersi e 99 feriti. Allora la Francia era il Paese che accoglieva il maggiore flusso di migranti europei e l’Italia quello che ne esportava il numero più grande. Dopo il libro di Enzo Barnabà, Morte agli italiani. Il massacro di Aigues-Mortes, 1893, Infinito Edizioni (pp. 128, euro 12,00), uscito in occasione del centenario della strage e ristampato nel 2008, l’episodio che portò i due Paesi sull’orlo del conflitto armato è uscito finalmente dal lungo oblio in cui era caduto. Della questione è tornato ad occuparsi lo storico Gérard Noiriel con un saggio da poco tradotto che affronta la vicenda con gli strumenti della socio-storia: II massacro degli italiani. Aigues-Mortes, 1983. Quando il lavoro lo rubavamo noi, Marco Tropea (pp. 320, euro 18,00). Storia dal basso e storia dall’alto si intrecciano nell’indagine condotta da Noiriel che definisce l’accaduto «l’esempio più truce di xenofobia operaia in qualsiasi storia dell’immigrazione». Un’eruzione d’odio verso «gli italiani che ci rubano il lavoro» le cui dinamiche possono dirci molte cose su fatti analoghi avvenuti ai nostri giorni, come la caccia all’uomo contro gli stagionali africani di Rosarno, in Calabria.
Ogni anno, tra agosto e settembre, al momento della raccolta del sale ad Aigues-Mortes affluivano migliaia di lavoratori richiamati dalla speranza di trovare un lavoro stagionale. I documenti delle prefetture descrivono un clima d’allarme e i problemi suscitati dall’afflusso in massa di questa manodopera migrante, ben oltre la forza-lavoro richiesta ma utile serbatoio di riserva ed efficace strumento di pressione per abbassare il costo del lavoro. Potevano affluire fino a 2000 stagionali a fronte dei 1200-1300 utilizzati, aumentando del 50% la popolazione del posto con inevitabili difficoltà d’accoglienza e sicurezza. Uomini soli e giovani, ritenuti instabili, la cui presenza “selvaggia” suscitava problemi sanitari per l’assenza di acque sorgive e il deflusso delle acque fognarie. Diffusa era poi la propagazione della malaria.
In quelle settimane tre gruppi sociali venivano messi di fronte ad una condizione di bestiale concorrenza tra loro: i locali, gli stagionali francesi originari delle vicine Cevennes, a cui nel tempo si aggiunsero gli italiani, perlopiù Piemontesi, ed infine i “trimards” (lavoratori nomadi francesi), profondamente destabilizzati dalla crisi economica e ridotti ad una condizione di forte marginalità. Questi ultimi ebbero un ruolo centrale nelle violenze, tra i processati, infatti, 18 su 37 erano senza fissa dimora e tra questi 11 su 17 furono accusati dei reati più gravi.
La presenza di stagionali italiani era cresciuta col tempo. Provenienti da un’economia più povera erano disposti a compensi inferiori e ritmi di lavoro più intensi. Nell’agosto del 1893 erano stati assunti 621 italiani contro 700-800 francesi, meno dei 900 degli anni precedenti. La raccolta era organizzata per gruppi geografici separati, ma la necessità d’integrare l’effettivo con stagionali “occasionali” portò alla formazione di alcune squadre miste. Fu proprio in uno di questi gruppi che scoppiò la prima rissa. Motivi di rivalità diedero fuoco ad un malcontento sordo che covava da tempo «contro i forestieri che rubavano il lavoro accettando qualsiasi condizione». Le cause del massacro avevano ragioni ben chiare, condizioni di lavoro massacranti (tra cui pesava la scarsità di acqua potabile corrente in mezzo ad un mare di sale) e la messa in competizione tra forza-lavoro locale e straniera. Solo l’anno successivo al massacro le autorità realizzarono un servizio di derivazione dell’acqua corrente e poco dopo la Compagnie des salins du Midi meccanizzò la raccolta del sale. Nel frattempo la macchina amministrativa inventò la carta d’identità per stranieri, che consentiva di regolare la tutela del lavoro nazionale. Soluzioni tecniche messe in atto dai dominatori – spiega Noiriel – per risolvere i problemi che loro stessi avevano creato. Quella carneficina viene oggi ricordata come un esempio tipico di razzismo, nonostante all’epoca l’episodio venne interpretato con categorie ben diverse. Il razzismo sul piano lessicale ancora non esisteva. La parola entrò nel vocabolario francese solo nel 1902, il termine xenofobia nel 1903. Lo scontro vedeva contrapposti i sostenitori del nazionalismo, che chiedevano l’espulsione pura e semplice degli stranieri, e i fautori del liberalismo che invece chiedevano di punire solo coloro che mostravano un’inclinazione verso il male. La difesa della manodopera nazionale agitava anche le correnti socialiste. Per Noiriel decisivo fu il ruolo del fattore nazionale nella legittimazione del massacro. Paradossalmente quell’eccidio mise in mostra quanto fosse avanzato il processo di nazionalizzazione delle masse. Fu solo più tardi con l’affaire Dreyfus e l’uccisione del presidente Sadi Carnot da parte di Sante Caserio, l’anarchico italiano che volle vendicare l’esecuzione di Ravachol, che fattore nazionale e questione operaia si separarono nella percezione pubblica.

Anche Berlusconi lancia la caccia ai Rom

Il Consiglio dei ministri vara il secondo pacchetto sicurezza dopo quello del 2008. Misure contro le prostitute di strada. Scatenata la caccia ai Rom. I prefetti potranno utilizzare la polizia per far rispettare le ordinanze dei sindaci-potestà. Carta d’identità elettronica anche per i neonati

Paolo Persichetti
Liberazione 6 novembre 2010

«Abbiamo deciso di inserire una norma sul reato di prostituzione nel pacchetto sicurezza». La frase è stata pronunciata ieri da Silvio Berlusconi, anche se nelle intenzioni del premier non voleva essere la solita stucchevole barzelletta con la quale ogni volta egli pensa di accattivarsi l’uditorio che ha di fronte, come consigliano alcuni manuali di management. La tragedia degli uomini ridicoli è quella di non possedere nessuna qualità comica. Al massimo riescono a sprofondare nel grottesco. Dopo una estate trascorsa all’insegna delle rivelazioni sulle escort che vanno e vengono dalle lussuose residenze private del presidente del consiglio, dopo i verbali resi davanti alla magistratura da alcune testimoni sui festini a luce rossa e i party a base di sesso a pagamento e droghe avvenuti nelle sue ville, riferiti dalla stampa nelle ultime settimane, Berlusconi è arrivato alla conferenza stampa per presentare il nuovo pacchetto sicurezza annunciando il varo, addirittura con misura d’urgenza tramite decreto legge, di una nuova norma contro la prostituzione. Poiché – ha spiegato senza il minimo imbarazzo ma con il suo consueto sorriso di plastica – il provvedimento contenuto nel ddl preparato dalla ministra per le Pari opportunità, Mara Carfagna, «non procedeva in Parlamento abbiamo ritenuto di riapprovarlo di nuovo». La misura – ha precisato il ministro degli Interni Roberto Maroni, presente anch’egli alla conferenza stampa – prevede l’introduzione del foglio di via obbligatorio per chi esercita la prostituzione in strada violando le ordinanze dei sindaci in materia. Niente a che vedere con il meretricio di Stato, insomma quello sotto scorta che affolla le serate rilassanti del primo ministro. «Fumo» per sollevare l’allarme su «un’emergenza prostituzione, che non c’è», ha commentato Pia Covre, segretaria del comitato per i Diritti civili delle prostitute, che ha ricordato come il foglio di via per chi lavora sui marciapiedi «esiste già e molti già lo applicano». Il decreto attribuisce ai prefetti il potere di disporre del concorso delle forze di polizia per assicurare l’attuazione delle ordinanze in materia di sicurezza urbana. In questo modo, ha spiegato Maroni, «si rafforza il ruolo dei sindaci: le ordinanze comunali, infatti, si sono spesso rivelate poco efficaci perché non c’era collegamento con le forze di polizia che dovevano attuarle». Arriva a compimento così la filosofia penale d’eccezione contenuta nel primo pacchetto sicurezza varato nel 2008, quello che aveva esteso la possibilità per i sindaci di emettere ordinanze amministrative in deroga alle situazioni di urgenza e necessità. Il federalismo di stampo leghista erige così un altro pezzo della sua architettura autoritaria della società. Il combinato disposto delle ordinanze amministrative emanate da sindaci, trasformati in potestà, che intervengono cortocircuitando giunte e consigli comunali, supportate dalla forza pubblica, disegnano un sistema istituzionale non previsto dalla attuale costituzione che fa a meno degli organi di rappresentanza e soprattutto attribuiscono carattere di sanzione penale a norme amministrative, spesso stravaganti e assolutamente incoerenti, non previste dal codice penale. Alla stessa logica appartiene l’attribuzione ai comuni delle competenze in materia di rinnovo dei permessi di soggiorno. Ogni anno le questure rinnovano 500mila permessi.  «noi vogliamo – ha detto Maroni – che il rinnovo dei permessi di soggiorno venga tolto alle questure e suddiviso sul territorio nei comuni dove i cittadini comunitari risiedono». Un modo per trasferire il controllo sulle politiche migratorie in mano alle forze politiche che controllano il territorio. La Lega che controlla buona parte del Nord potrà così avere mano libera per trasformare i cittadini extracomunitari in situazione regolare in “clandestini” e quindi cacciarli dal Paese, costringerli a spostarsi altrove o addirittura arrestarli grazie al reato di immigrazione clandestina introdotto nel precedente pacchetto sicurezza. Altra norma xenofoba e razzista introdotta, questa volta sotto forma di disegno di legge, è  la possibilità di espellere i cittadini dell’Unione europea che vogliano soggiornare in Italia oltre i 90 giorni senza avere i requisiti di alloggio e reddito. Si tratta di un calco della legge introdotta recentemente dal governo francese per espellere le comunità Rom e nomadi in genere. «La violazione – ha spiegato sempre il ministro dell’Interno – oggi non è sanzionata e dunque noi introduciamo una sanzione che è l’invito ad allontanarsi. Se questo invito non viene rispettato, è prevista l’espulsione del cittadino comunitario per motivi di ordine pubblico». L’unica nota positiva dei nuovi dispositivi di legge, ovvero l’abrogazione della legge Pisanu che vietava l’accesso libero alle postazioni wi-fi e agli internet-point, è stata subito compensata dall’introduzione della nuova carta di identità elettronica sin dalla nascita per tutti i cittadini. La schedatura biometrica degli italiani comincerà sin dalla culla.

Link
Francia, la nuova banca dati che scheda le minoranze etniche non sedentarizzate
Il populismo penale una malattia democratica
Il governo della paura
Genesi del populismo penale e nuova ideologia vittimaria
Populismo penale, una declinazione del neoliberismo