Il mito dell’inclusione avrebbe creato una scuola troppo indulgente e lassista. L’apertura ai disabili e ai bisogni educativi speciali avrebbe creato una zavorra democratica che rallenterebbe i «normali». Privileggiando l’accesso universale e il diritto alla riuscita scolastica di ognuno si sarebbe danneggiato il merito di pochi
Nella sua rubrica settimanale presente sul Corriere della Sera, Ernesto Galli della Loggia ha scagliato una invettiva contro la scuola dell’inclusione. L’occasione gli è stata fornita da un libro appena uscito, La scuola esigente, Rubettino, scritto da Giorgio Ragazzini, esponente del «gruppo di Firenze» che per obiettivo ha «la rivalutazione del merito, della responsabilità, del rispetto delle regole come cornice indispensabile per la vita della scuola».
Ragazzini prende di mira quella che definisce la «scuola indulgente» che suona come carente, inadeguata, insufficiente, scarsa, fallimentare. Secondo l’autore negli ultimi decenni l’istituzione scolastica sarebbe stata travolta da una crisi profonda tanto da smarrire quella che definisce la «nostra eredità culturale». La conseguenza avrebbe portato gli alunni e gli studenti a non sapere più esprimersi, osservare e pensare. La causa di tutto ciò non sarebbe da addebitare a dinamiche più complesse e globali, come – per esempio – il salto tecnologico-cognitivo dovuto all’avvento della società digitale, della società dell’immagine, all’accesso simultaneo a input e informazioni che sovrastano la vecchia società della scrittura con tempi comunicativi velocissimi che interferiscono sulla concentrazione e l’attenzione e rappresentano una nuova sfida per l’educazione e l’insegnamento, ma a una crisi dell’educazione e dell’autorità.
Teorie pedagogiche fautrici di visioni eccessivamente lassiste – afferma Ragazzini – avrebbero prodotto questo disastro. La soluzione indicata è il ripristino dell’ordine, dell’autorità, dell’impegno e del merito, una pedagogia della caserma con docenti-sergenti che rinvia a slogan molto vecchi che celano l’odio presessantottino per la scuola di massa, per il diritto universale all’istruzione e allo studio in nome di un progetto altrettanto arcaico che rimanda alle società censitarie, dove la scuola non era per tutti.
Cogliendo al volo l’occasione fornitagli dai contenuti del testo, Galli della Loggia nella sua breve recensione attacca quello che chiama il «mito della inclusione» e che – lascia intendere – sarebbe solo una zavorra democratica che impedirebbe ai «normali», intesi come ottimi, migliori, i predestinati al successo nelle discipline del sapere, della politica, dell’economia e del governo, di avanzare celermente poiché costretti a convivere «anche con ragazzi disabili gravi con il loro insegnate personale di sostegno (perlopiù a digiuno di ogni nozione circa la loro disabilità), poi ragazzi con i Bes (Bisogni educativi speciali: dislessici, discografici, oggi cresciuti a vista d’occhio anche per insistenza delle famiglie)», senza dimenticare «sempre più numerosi, ragazzi stranieri incapaci di spiccicare una parola d’italiano». Il risultato – chiosa- «lo conosciamo».
Quello che noi certamente sappiamo – diversamente da della Loggia – è la forza e l’arricchimento di quelle società che hanno usufruito nella loro storia, anche tormentata, delle varie ondate migratorie. Ho vissuto per undici anni in Francia dove, nonostante la mia condizione di esiliato, sono riuscito terminare gli studi universitari e ho anche insegnato, per un breve periodo, in classi dove i cognomi di origine francese si contavano sulle dita di una mano, mischiati ad altri di origine polacca, portoghese, italiana, magrebina, africana, indocinese, caraibica. Senza che questo creasse problema. Non ci vuole molto, basta sfogliare gli organigrammi delle politica, dell’informazione e dell’economia francese per rendersene conto.
Quanto alla scuola dell’inclusione l’unico problema viene dal fatto che ce n’è ancora poca, per mancanza di risorse, di formazione, di investimenti, non troppa come sostiene Galli della Loggia fautore di una società dove non sarebbe mai esistito uno scienziato come Stephen Hawking.
Il limite è dato dalla resistenza di culture discriminatorie che si mostrano indifferenti o peggio ostili all’idea di un diritto allo studio universale, per tutti e per ciascuno (per altro previsto dal dettato costituzionale), dunque anche per gli alunni e le alunne che hanno bisogni speciali ma non per questo sono inferiori o diverse. Quanto ai Bes e Pdp, la loro crescita numerica è dovuta alle nuove conoscenze mediche e scientifiche in grado oggi di individuare dei deficit in passato ignorati o addirittura sanzionati; e chi vive il mondo della scuola sa bene come la classe docente deve spesso insistere con le famiglie che sovente non vogliono accettare le diagnosi dei loro figli perché percepiscono ancora i Pdp come degradanti.
Sono genitore di un bimbo con una grave disabilità che necessità di assistenza continuativa ad alta intensità, portatore di tracheo e peg e che accede a scuola con l’ausilio di personale infermieristico. La sua esperienza scolastica, giunta ormai all’ultimo anno di scuola primaria, è stata un successo dal punto di vista dell’inclusione e dell’istruzione. Supportato dall’insegnante di sostegno e da una insegnate di comunicazione aumentativa alternativa e lingua dei segni, che rappresentano un ausilio e una risorsa per l’intera classe che oggi «segna» in Lis perfettamente, senza che i programmi scolastici e l’insegnamento siano stati alterati o ritardati, mio figlio ha imparato a leggere e scrivere, conosce la geometria e fa operazioni aritmetiche.
La sua classe in questi anni, oltre a conoscere una nuova lingua, si è arricchita sul piano umano, sa riconoscere e rispettare l’altro che in apparenza sembra diverso, ha appreso la solidarietà, ha affinato la curiosità, ha abbattuto pregiudizi e stigma. Nuove persone crescono. Questa è la scuola dell’inclusione anche se quello che siamo riusciti ad ottenere per nostro figlio, grazie a ricorsi giudiziari, un presidio costante dei suoi diritti e incontri fortunati con docenti preparati, non vale ancora per tutti. Esistono diversità e discriminazioni profonde. L’inclusione benché sancita dalla costituzione e da un apparato di norme non trova applicazione uniforme e le parole di Galli della loggia, come i recenti tagli del governo Meloni sulla disabilità, ci fanno capire che nuovi ostacoli si palesano all’orizzonte, perché si fa avanti un fronte che senza vergogna teorizza il ritorno ad una società classista, discriminatoria e razzista.


Condivido tutto, solo attenzione a non privileggiare i discografici.
Il “Gruppo di Firenze” di Giorgio Ragazzini veicola una concezione del mondo obitoriale e contenuti di pari tetraggine su qualche blog, e ha nel “Corriere Fiorentino” uno dei pochi amplificatori.
In parte si possono ritenere valide le critiche sul degrado educativo che influisce sul rispetto verso l’autorità docente, ma è un fenomeno che ha decenni di deriva. Indubbiamente, generalizzando, ciò si può attribuire alla riforma scolastica del 1963 (in applicazione) , la quale si prefiggeva di coinvolgere nell’insegnamento obbligatorio anche le classi sociali fino ad allora escluse . Lo spartiacque del 68 fece il resto, nel senso che portare ad un buon livello il risultato che non fosse quello esclusivo ,riferito alle precedenti classi privilegiate (borghesia tradizionale e nuove borghesie) sarebbe stato difficile per motivi organizzativi,ideologici e di selezione/adattamento dei docenti coinvolti. Un ventaglio esagerato di nozioni/argomenti, non approfonditi per ovvi limiti didattici, propinati fin dalla scuola media ,contribuì a disorientare e a disaffezionare quegli studenti , figli delle classi popolari che non avevano un obbiettivo prefissato e sospinto da ambizioni familiari di appartenenza che avrebbe consentito loro nel proseguimento degli studi.
Ma qui, il vero problema è la sottrazione o la mancata implementazione dei fondi destinati a quei soggetti che solo fino a 30 anni addietro non erano riconosciuti come problematici dal punto di vista dell’apprendimento. Ora,mediamente il mondo scolastico tende ad escludere la “classe differenziale”, preferendo l’integrazione del problematico insieme con i compagni della propria classe, supportato però da un docente dedicato. Questa sarebbe una scelta che dal punto di vista economico non differisce di molto. Il problema è che tipo di scuola si vuole,ora che vengono riconosciute queste problematiche, sconosciute o fraintese ancora negli anni 90 ( nei decenni precedenti era invalso il cappello dell’asino per questi soggetti). Manca la formazione adeguata nei docenti che spesso non riconoscono o non sanno trattare il soggetto problematico, nonostante i protocolli ministeriali in materia. Galli della Loggia pensa alla élite intellettuale e sbaglia ; si può correggere lo stato delle cose ma occorrono investimenti nella scuola , nelle strutture , nella formazione dei docenti che dovrebbero agire con autorevolezza consapevole della propria missione e non per alcuni (troppi) , con l’ obsoleto approccio autoritario o , peggio, con la postura di chi ha scelto un lavoro statale per portare la pagnotta a casa , senza passione ,senza coinvolgere gli studenti.
figli delle classi popolari che non avevano un obbiettivo prefissato e sospinto da ambizioni familiari di appartenenza che avrebbe consentito loro “IL”. proseguimento degli studi.
Bravissimo Persichetti – Della Loggia 40/45 anni fa era socialista …. 🤢🤮
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Pienamente d’accordo sulla necessità di investire risorse sui “diversamente abili” e tutti quegli studenti che hanno serie difficoltà nel seguire il normale corso scolastico. Attenzione tuttavia all’eccessiva medicalizzazione delle scuole. Studenti con lievi difficoltà ( ognuno ha i suoi tempi di apprendimento) vengono subito dirottati presso le strutture sanitarie, per essere diagnosticati e quindi essere affidato agli insegnanti di sostegno. È questa una soluzione che talvolta fa comodo ai genitori ( che non hanno tempo ) e ad alcuni insegnanti con classi numerose. Le cifre sono spaventose, con DSA diagnosticate a getto continuo. Porto anche la testimonianza di alunni provenienti da altri paesi e che sono stati frettolosamente inviati alle strutture sanitarie per difficoltà linguistiche!
Attenzione, quindi. Ho due figlie in età scolare e ne vedo e sento di tutti i colori. Bambini inviati dal neuropsichiatra solo perché un po’ vivaci!
Mica tutti i dsa necessitano dell’insegnante di sostegno.. Piuttosto diciamo che i docenti ordinari non sono formati a sufficienza ad interagire con gli studenti che hanno problemi di disortografia,discalculia , dislessia..Anzi , gli insegnati di sostegno vengono condivisi tra varie classi nelle quali possono esservi o meno dsa.. Rappresentano un supporto specializzato per questi studenti . Non stiamo parlando di studenti con la 104.. Ripeto: il grosso problema è la formazione dei docenti in genere i quali molto spesso non conoscono alcunché dell’approccio ad un soggetto che , può e deve utilizzare mappe di aiuto riassuntive nelle interrogazioni , non vedersi sanzionare gli errori grammaticali ,di sintassi, non essere interrogato a sorpresa (ma già questo è ordinario).
Quindi , oggi vediamo che nella scuola ,gli insegnanti di sostegno non vengono nemmeno assegnati a chi ne ha veramente bisogno , perché mancano i fondi per formarli (spesso si devono pagare i corsi) e non solo la “vocazione”.
Nessuna ospedalizzazione , pertanto, nemmeno laddove sarebbe necessaria.
Orizzonte Scuola Notizie
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LETTERE IN REDAZIONE 2 NOV 2023 – 10:18
Eccessiva medicalizzazione dei bambini. Lettera
Di
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Inviata da Veronica Coraro – Ho deciso di scrivere come docente e come genitore per denunciare una grave situazione che purtroppo si sta diffondendo nelle scuole e nelle famiglie, ovvero l’eccessiva medicalizzazione dei bambini. Il numero degli alunni con certificazioni di disturbi specifici di apprendimento e di disabilità è molto alto, all’interno di una classe spesso ci sono 2 o 3 insegnanti di sostegno e numerosi educatori.
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È evidente che qualcosa non quadra. Di frequente tutto comincia durante i primi anni scolastici, quando un bambino manifesta qualche difficoltà i docenti suggeriscono ai genitori di iniziare un iter di valutazione presso la neuropsichiatria infantile. Purtroppo questo percorso di valutazione si traduce sempre in un percorso diagnostico, ovvero la famiglia riceve inevitabilmente una diagnosi di un certo tipo che condizionerà la vita del proprio figlio. Già solo questo fa capire che qualcosa non funziona, com’è possibile che tutti i bambini valutati dalla neuropsichiatria infantile abbiano tutti dei disturbi permanenti? Gli ospedali e le strutture private sono talmente pieni di richieste che le liste d’attesa sono molto lunghe. Nell’esperienza di tante famiglie succede anche di ricevere diagnosi diverse a seconda dello specialista consultato. Per non parlare dello stress e della sofferenza che vivono i genitori quando si ritrovano a dover affrontare ed eventualmente accettare una diagnosi.
Tuttavia molto spesso i bambini hanno solo delle incertezze, delle difficoltà transitorie che possono superare e non dei disturbi di origine neurobiologica, eppure di fronte a queste difficoltà gli insegnanti corrono ai ripari cercando di ottenere il docente di sostegno in classe, pensando di fare la cosa giusta per lo studente. Probabilmente perché le risorse sono poche e i docenti da soli non riescono a gestire tutte le difficoltà degli studenti, probabilmente perché alcuni insegnanti da questo punto di vista sono fragili o non sufficientemente pronti ad affrontare la complessità delle classi, tuttavia in questo modo si innesca un fenomeno che incrementa ancora di più l’eccessiva medicalizzazione dei bambini già presente nei reparti di neuropsichiatria infantile. E chi ne paga le spese? Proprio i bambini che vengono enormemente danneggiati, che sono condannati a essere etichettati per tutta la vita, a seguire a scuola percorsi individualizzati e facilitati che non permettono loro di sviluppare a pieno le potenzialità che invece potrebbero sviluppare, tutto questo ha delle forti ripercussioni sul loro futuro e sull’intera società. La neuropsichiatria infantile dovrebbe fermarsi a riflettere su questa crescita esponenziale delle diagnosi, domandarsi cosa sta succedendo e prima di arrivare a certe “sentenze” dovrebbe valutare con estrema attenzione il bambino che ha di fronte, che è una persona, non è un robot. Infatti il percorso di sviluppo può cambiare da bambino a bambino, diamo a ciascuno di loro il tempo di evolvere e superare delle eventuali difficoltà, fornendo sì il giusto supporto, ma che non deve tradursi sempre in una certificazione! Purtroppo dietro a questo incremento delle diagnosi c’è anche un business economico, questa situazione è stata denunciata dal professor Michele Zappella, un neuropsichiatra di grandissima competenza che nel suo libro “Bambini con l’etichetta” spiega molto bene quello che sta succedendo. Anche il pedagogista Daniele Novara denuncia l’eccessiva medicalizzazione dei bambini nel suo libro “Non è colpa dei bambini”. Libri che consiglio di leggere a tutti, docenti, genitori e medici.
Io sono davvero molto preoccupata, mi chiedo dove porterà tutto questo? Ci ritroveremo in una società piena di giovani adulti certificati, il cui futuro sarà inevitabilmente condizionato dal disturbo che è stato loro diagnosticato, ma che molto spesso non c’è. Certo è che questa situazione non promuove l’inclusione di cui tanto si parla, anzi rischia di portare a una vera esclusione delle persone a scuola e nella società.
Mi auguro che questa lettera possa essere lo spunto per una profonda riflessione e che possa dare un contributo per rimetterci tutti sulla buona strada, per il bene dell’intera società.
“i docenti da soli non riescono a gestire tutte le difficoltà degli studenti, probabilmente perché alcuni insegnanti da questo punto di vista sono fragili o non sufficientemente pronti ad affrontare la complessità delle classi,”
QUESTO!
“all’interno di una classe spesso ci sono 2 o 3 insegnanti di sostegno e numerosi educatori.”
Ma DOVE? SPESSO CE NE SONO UN PAIO CHE GIRANO PER PIÙ CLASSI..
“quando un bambino manifesta qualche difficoltà i docenti suggeriscono ai genitori di iniziare un iter di valutazione presso la neuropsichiatria infantile.”
CONTRADDIZIONE..
QUINDI NON SONO I GENITORI A CHIEDERE UNA VALUTAZIONE, MA I DOCENTI, FORSE PERCHÉ NON RIESCONO A GESTIRE I CASI IN AUMENTO DI DISAGIO AUMENTATI DOPO LA SEGREGAZIONE PER IL COVID?
“Tuttavia molto spesso i bambini hanno solo delle incertezze, delle difficoltà transitorie che possono superare e non dei disturbi di origine neurobiologica, eppure di fronte a queste difficoltà gli insegnanti corrono ai ripari cercando di ottenere il docente di sostegno in classe, pensando di fare la cosa giusta per lo studente.”
MA..DI COSA STIAMO PARLANDO? PERCHÉ INVECE DI PARLARE DI DOCENTI DI SOSTEGNO, NECESSARI NEI CASI PIÙ PROBLEMATICI, NON APPROFONDIAMO GLI ASPETTI DEL PDP , CHE MOLTO SPESSO VENGONO DISATTESI PROPRIO PER MANCANZA DI FORMAZIONE DEL DOCENTE CHE (FORSE) NON CAPISCE CHE SERVE PER INCLUDERE LO STUDENTE CHE ALTRIMENTI SAREBBE PARCHEGGIATO IN ATTESA DI RIPRENDERSI DALLA PARALISI TRANSITORIA, QUANDO MAGARI È GIÀ TROPPO TARDI E NON SI AGGANCERÀ PIÙ AL PERCORSO DIDATTICO SEGUITO DAGLI ALTRI STUDENTI “NORMALI” .
SEGUITE IL PROF. MATTEO SAUDINO CHE FORSE ILLUMINERÀ CHI VEDE NELLE DIFFICOLTÀ DEL DSA LA POSSIBILITÀ DI PERSEGUIRE UNA SCUOLA DI ECCELLENZA, PER PRIMI PROPRIO I DOCENTI , CHE FANNO APPELLO AI SUPPORTI DELL’INSEGNANTE DI SOSTEGNO ANCHE PER STUDENTI CHE CON UNA SEMPLICE APPLICAZIONE DEL PDP POTREBBERO SEGUIRE NORMALMENTE IL PROGRAMMA.
MA, CI SI DEVE SBATTERE,FORMARE ED AVERE PAZIENZA; SENNÒ DI QUESTO PASSO SI TORNA ALLE CLASSI DIFFERENZIALI DI TRISTE MEMORIA E/O AL CAPPELLO DELL’ASINO..
Ho due figlie in età scolare, vivo tutti i giorni queste dinamiche ed ho diversi conoscenti insegnanti che mi confermano un trend preoccupante. Poi ognuno può credere a quello che vuole e vedere quello che vuole. È importante intervenire a favore di chi ha bisogno, anzi è doveroso. Ma un discorso è curare o comunque gestire un problema, un altro è cercare un problema laddove non c’è, magari per motivi non sempre edificanti; l’indotto economico non è trascurabile. Se poi qualcuno preferisce centinaia di migliaia di minori “certificati” e non sempre a ragione, va benissimo. Ripeto, ognuno può pensarla come desidera
Diciamo che c’è ancora molta ignoranza in materia; molta da parte degli insegnanti ,ma anche dei genitori. E lo dico a ragion veduta . Inoltre, non tutte le famiglie possono permettersi una perizia a pagamento dal neuropsichiatra infantile ,ancorché la vidimazione venga fatta dal SSN. Insinuare che vi siano interessi economici sottostanti significa immaginare che un docente (maestro/professore) invii lo studente presso lo studio medico di un proprio parente. Sappiamo che la lista di attesa è molto lunga presso le strutture pubbliche e che quindi, l’iter del riconoscimento delle problematiche DSA si allungherebbe di molto. Io ci vedo piuttosto , ribadisco, sciatteria della buona parte dei docenti che, per scaricare il problema del provare a coinvolgere in modo personalizzato “anche” i soggetti che poi verrebbero riconosciuti come DSA nel caso fossero accertati dalla perizia, nel dubbio senza provare metodiche diverse per coinvolgere , “integrare” , ce li mandano preliminarmente a questa “perizia”. Questa discussione nasce dall’articolo di E.G. Della Loggia sull’esigenza di creare o ricreare una scuola di eccellenza; i decenni passati hanno consentito di identificare degli strumenti come il riconoscimento dei DSA/BES ,problematiche che non erano riconosciute. Chi non ce la faceva ,veniva messo nell’ultimo banco e lì abbandonato ; il “promuovificio” pertanto non c’era perché questi soggetti venivano evidentemente bocciati magari due,tre volte già alle elementari. I figli dei ricchi che potevano prendere ripetizioni a pagamento (posto che quelle del doposcuola non fossero sempre inutili ) , oppure chi era dotato ,veniva promosso ed andava avanti allora come ora.. Bisogna valutare il livello di preparazione degli studenti ; la percentuale dei promossi potrebbe essere un dettaglio che non restituisce quanto la didattica ed i metodi inclusivi abbiano il merito di ciò. E sicuramente un merito ce l’hanno..anche se molto dipende dalla soggettività,dalla passione dei docenti nel voler riscattare anche quelli che terminata la scuola dell’obbligo nell’ultimo banco forse sono preparati per le superiori, quando invece , dopo anni di esclusione, sicuramente la terminerebbero là .
Anche applicare gli strumenti per i DSA richiede impegno da parte del docente e spesso e volentieri anche gli “insegnati di sostegno” non sono preparati ,ma in molti casi sono figure senza cattedra che girano per le classi a supporto degli altri docenti ,senza una preparazione specifica.
Diciamo che in generale l’intento è nobile, come detto ma l’applicazione cade sulla soggettività dell’istituto, del docente , del genitore il quale comunque deve approfondire e lavorare molto a casa per sviluppare le mappe , controllare l’organizzazione (disprassia ecc.) , la preparazione dello zaino ,ecc.
Tutte cose che richiedono impegno ,volontà e costanza.
Solo così avremo una scuola di eccellenza mediana ,inclusiva e che dia gli strumenti sufficienti per la prosecuzione degli studi.