Taxi driver o Enrico IV? Quale è il mistero che si cela dietro il presunto attentato a Maurizio Belpietro?

Nessuno lo dice apertamente ma ormai tutti lo pensano (e lo lasciano intendere): sull’aggressione a Belpietro si moltiplicano i dubbi. Non emergono riscontri a conferma della testimonianza del poliziotto di scorta. Belpietro sarebbe vittima certo, ma del ridicolo. Il discorso del potere ammanta sempre più la propria potenza e la propria violenza dietro la retorica vittimaria: Chiagne e fotte

Per volere della Direzione del quotidiano Liberazione questo articolo è apparso con lo pseudonimo di “Tito Pescheri”


Liberazione
3 ottobre 2010

 


Siamo di fronte ad un nuovo Travis Bickle, l’ex marine reduce dal Vietnam impersonato da Robert De Niro in Taxi driver che tenta di uccidere il corrotto e ipocrita senatore di New York Charles Palantine, oppure ci troviamo immersi nel pieno di una trama pirandelliana, come quella del nobile romano caduto da cavallo durante una festa in maschera che risvegliandosi prende per vero il costume che veste e per il resto della vita recitarà la parte di Enrico IV? In altre parole abbiamo davanti a noi un paranoico giustiziere solitario o un formidabile mitomane in uniforme di polizia affetto dalla sindrome dell’arcangelo Gabriele? Forse soltanto la trama cinematografica o letteraria può aiutarci a capire cosa sia realmente accaduto giovedì sera a Milano, sulla rampa di scale che porta al pianerottolo dell’appartamento dove abita il direttore di Libero, Maurizio Belpietro.
In questa vicenda, che col passar delle ore appare sempre meno chiara, un’unica cosa  è veramente certa: le grida di allarme, le accuse rivolte verso i “cattivi maestri”, il nuovo sempre vecchio terrorismo alla porte, le denunce contro il clima d’odio, istigato quotidianamente dalle stesse testate che poi se ne lamentano, non raccontano la verità, ammucchiano solo menzogne e falsità.
Il testimone, l’unico testimone che racconta la scena, è sempre e soltanto lui, l’uomo della scorta che accompagna Belpietro fino all’uscio di casa. Nessun altro ha visto l’attentatore armato. Per ora tacciono persino le telecamere di sicurezza poste nei pressi del palazzo e della zona circostante. L’altro poliziotto, rimasto in macchina all’ingresso dell’immobile, non ha visto uscire nessuno. Neppure le due possibili vie di fuga alternative hanno fornito indizi. Una era inaccessibile; l’altra, in prossimità di alcuni cespugli, non presenta tracce di rami e foglie rotte o d’impronte. Appare illogica persino la dinamica riportata dal caposcorta: l’aggressore si sarebbe trovato pochi gradini sotto il pianerottolo dell’abitazione di Belpietro. Un errore grossolano. In questi casi, notano maliziosamente voci provenienti dagli ambienti investigativi: chi concepisce un agguato attende sempre sul pianerottolo sovrastante per scendere quando la scorta si allontana evitando così di incrociarla. Insomma nulla torna.
Alessandro N. – questo è il suo nome – nella sua vita di angelo custode non è nuovo ad episodi del genere. Già nel lontano 1995 sventò un presunto attentato contro il magistrato Gerardo D’Ambrosio, che era sotto la sua custodia. Anche allora, come oggi, nessuno vide nulla. La minaccia si concretizzò solo nei suoi occhi. Il presunto attentatore, armato di un presunto fucile, fuggì anche allora saltando un muro. Dall’altra parte ad aspettarlo ci sarebbe stato un complice in moto. Ovviamente nessuno riuscì ad annotare la targa e degli assalitori non si trovò mai traccia. Dell’episodio ha parlato ieri, lasciando trapelare a distanza di tempo le proprie perplessità, anche il magistrato D’Ambrosio. Alessandro N. venne promosso ma subito trasferito alla squadra mobile. Un modo molto elegante per sottrarlo da delicate responsabilità. Nei vertici della polizia qualcuno nutrì molte perplessità sull’accaduto. Gli stessi dubbi che assalgono anche oggi i vertici investigativi messi in imbarazzo dall’insidia del “pacco”, quella che a Roma chiamano “bufala”, ma al tempo stesso dai desideri della politica che vanno in direzione diametralmente opposta. Dalle fila della destra si chiede di accreditare, a prescindere, la veridicità della tentata aggressione per legittimare l’offensiva vittimistica e strumentalizzare ancora una volta un clima di tensione artificialmente costruito, col fine di ricattare e mettere sotto schiaffo l’opposizione di piazza, i settori sociali più conflittuali che tentano di contrastare la dittatura padronale imposta alle nuove relazioni industriali.  L’operazione è chiara: far pagare ai più deboli il prezzo della guerra civile borghese, quella sì in atto nel paese.

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