Giustizia, due binari: prescizione breve solo per i “colletti bianchi”, detenzioni lunghe e celle sovraffollate per tutti gli altri
Paolo Persichetti
Liberazione 24 novembre 2009
Prescrizione breve per colletti bianchi e ceti abbienti, detenzioni lunghe e celle sovraffollate per tutti gli altri. Da una parte un’amnistia mascherata e tutta di classe per chi riesce sempre a sottrarsi al processo, figuriamoci alla condanna; dall’altra condanne pesanti, aggravanti e recidive di ogni ordine e grado, pene lunghe e senza benefici, per chi non appartiene ai ceti del privilegio, come è accaduto a Giovanni Lorusso, morto nel carcere di Palmi pochi giorni fa. “Dimenticato” in cella dall’ufficio matricola, nonostante una ordinanza del gip gli avesse concesso gli arresti domiciliari. Lorusso era “pericoloso” perché nell’agosto 2008 aveva rubato uno zaino in una spiaggia di Rimini. Furto punito con una condanna a 4 anni e 5 mesi. Sanzione provocata dall’applicazione di una serie di aggravanti: la recidiva specifica prevista dalla ex Cirielli, la violazione delle misure di sorveglianza dovute alla qualifica di delinquente professionale, che gli era stata applicata in ragione della sua ricca fedina penale. Insomma la classica persecuzione. Dopo la pena, tutta scontata fino all’ultimo secondo, arriva la sanzione civile, l’esclusione dal consesso sociale. Marcato a vita col tesserino rosso al posto della carta d’identità. Niente impieghi nei pubblici uffici, niente patente di guida. Devi giustificare ogni tuo spostamento. Non puoi lasciare il comune di residenza senza un’autorizzazione specifica. Puoi uscire di casa solo nelle ore autorizzate. Liberalissima misura di polizia ereditata dal fascismo e republicanizzata con un espediente: non è più il prefetto che emette la sanzione ma il magistrato di sorveglianza. In fondo ci vuole poco per diventare democratici: basta un giudice nei paraggi e il gioco è fatto. Come ci spiega il nuovo filosofo della politica Roberto Saviano con le sue letterine da baci perugina. È questa l’idea di giustizia che viaggia ormai da anni in questo Paese. Una specie di tira e molla tra il centrodestra che vuole l’immunità degli opulenti, la tolleranza zero su base censitaria, processi e carcere per quelli che considera rifiuti sociali e nemici: migranti, tossicodipendenti, terroristi; e il centrosinistra che se ne infischia di chi viene triturato da leggi sempre più liberticide e pur di arrivare a sconfiggere l’odiato Berlusconi (senza mai riuscirci), promuove un’idea di società penale e disciplinare. In questo clima imbestialito, dove nelle carceri ormai non si hanno più di tre metri quadrati a testa, dove i reclusi hanno raggiunto le 66 mila unità a fronte di 42 mila posti tollerati, sono riprese le proteste. Al Marassi di Genova, venerdì sera i detenuti hanno avviato una battitura contro la situazione di sovraffollamento. Le difficili condizioni di vivibilità hanno subito fatto salire la tensione e nella serata un detenuto ha tentato il suicidio. Intorno alle 23.50, il personale di custodia ha avvertito un forte odore di gas provenire dalla sezione di alta sicurezza. L’intervento tempestivo ha permesso di trovare l’uomo ancora in vita, riverso a terra con la testa ricoperta da una busta di plastica all’interno della quale confluiva il gas di una bomboletta impiegata per il fornello da cucina. Una volta ripresosi, l’uomo ha giustificato la sua azione dipserata come un «gesto di protesta contro le condizioni detentive». Nel solo 2008 sono stati sventati 650 suicidi.
La battitura è stata sospesa nella giornata di sabato, dopo un incontro dei reclusi con il direttore che si è impegnato a risolvere nel giro di 24 ore alcune delle situazioni più insostenibili. Una protesta analoga si sarebbe svolta anche nel carcere di Lucca, protagonista questa estate di una semirivolta, insieme ad altre carceri toscane. Ne ha dato notizia il segretario generale del Sappe, Donato Capece, che ha spiegato come nel penitenziario lucchese siano ospitati 200 detenuti per una capienza di appena 82 persone. Mentre a Marassi 780 reclusi si dividono lo spazio previsto per 430 posti letto. Proteste con battitura dei ferri contro il sovraffollamento anche nel carcere San Donato di Pescara. Secondo i testimoni, l’eco delle grida giungeva fin nelle strade circostanti le mura di cinta, in particolare la parola «sovraffollamento», ripetuta in continuazione. Nella struttura del capoluogo adriatico è stata superata la capienza massima, con 75 detenuti in più rispetto a quanto previsto (195 invece di 120). Situazione divenuta ancora più pesante dopo la chiusura della sezione penale per lavori di ristrutturazione, che ha reso necessario ridistribuire i detenuti nelle altre due sezioni. Nelle carceri abruzzesi vi sono attualmente 1.909 detenuti, 434 oltre il limite regolamentare.
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