Processo breve per soli ricchi

Passa in commissione Giustizia della Camera l’emendamento che riduce soltanto per gli incensurati i termini di prescrizione della durata dei processi

Paolo Persichetti
Liberazione 23 marzo 2011

Siamo alle solite. La destra berlusconiana ripropone l’ennesima versione privata e classista del garantismo. La commissione Giustizia della Camera ha approvato ieri pomeriggio l’emendamento che riduce i termini per la prescrizione nel cosiddetto “processo breve”. Le riduzioni però avranno valore soltanto per gli imputati incensurati. Per i recidivi i termini saranno più lunghi. La norma non si applica ai procedimenti nei quali al momento della entrata in vigore della legge è già stata pronunciata sentenza di primo grado. «Ho voluto semplicemente introdurre – ha spiegato Maurizio Paniz relatore Pdl del disegno di legge ed autore dell’emendamento – una sacrosanta distinzione di trattamento fra chi è recidivo e chi no, toccando il termine di aumento della prescrizione in caso di sua interruzione (sarà di un sesto per gli incensurati, di un quarto per i recidivi)». Secondo le opposizioni si tratterebbe dell’ennesimo sotterfugio ad personam, architettato per consentire a Silvio Berlusconi di sottrarsi al giudizio finale in alcuni dei processi in corso che lo vedono imputato. In particolare il processo Mills. In realtà la filosofia della norma ha un carattere molto più ampio, apertamente censitario. Introduce cioè un principio di garanzia più che legittimo, impedire in caso di interruzione che il processo si protragga all’infinito, confinandolo però ad un’applicazione che avvantaggerà solo i ceti possidenti, escludendo quei cittadini che per condizioni sociali sfavorevoli si trovano spesso davanti ad un tribunale. Ennesimo scudo di classe insomma. E che si tratti di un garantismo peloso e strumentale lo dimostra il fatto che la riduzione dei termini di prescrizione della durata del processo non è seguita anche da una riduzione dei termini massimi della custodia cautelare. Chi in carcere non entra mai, continuerà a restare fuori. Chi invece ci entra sempre, cioè i poveracci, non ne trarrà alcun vantaggio. Così i giustizialisti di ogni risma avranno raggiunto il loro scopo.




Lodo Alfano e processo breve: la farsa della giustizia di classe

Il risvolto di una giustizia di classe che protegge i più forti è la persecuzione di classe verso i più deboli. Quella che fomenta i giustizialisti di destra, come la Lega, gli ex di An, Di Pietro, Travaglio e che lascia indifferenti i giustizialisti idealisti di sinistra, poi ci sono le amebe intellettuali come Saviano

Paolo Persichetti
Liberazione 26 novembre 2009

Nessuna revisione per il concorso esterno in associazione mafiosa sarebbe in vista. E’ quanto ha fatto sapere il governo per bocca del guardasigilli Angelino Alfano, interpellato da alcuni giornalisti al termine di un’audizione presso la commissione parlamentare d’inchiesta sugli illeciti connessi al ciclo dei rifiuti. Dunque, non sarebbero vere le voci, riprese ieri da alcuni quotidiani, che riferivano di uno studio in corso, da parte del governo, sulla «tipizzazione» del “concorso esterno”. Un reato giurisprudenziale. Vera e propria bestemmia, secondo la tradizione del diritto romano che sancisce l’impossibilità di crimini e pene senza legge certa e scritta. I decenni di eccezione giudiziaria hanno però introdotto la consuetudine anglosassone, facendo del giudice non più la «voce della legge» ma un legislatore. Diverse commissioni, presiedute da Grosso, Nordio e poi Pisapia, avevano proposto di sanare il vuoto legislativo tipicizzando in modo certo i comportamenti da sanzionare. Paradossalmente la destra, forcaiola per natura, non volle approvare una riforma che moderava in parte le pene. La sinistra, giustizialista per vocazione, non fu da meno. E così, davanti alla sacrosanta bocciatura del “lodo Alfano” da parte della Consulta, lo scettro della politica, in particolare della politica d’opposizione, è tornato nelle mani della magistratura. Un fatto quasi inevitabile in una situazione che vede il sistema politico ridotto ad una condizione sempre più evanescente di fronte ad un ipertrofico esecutivo e un peso esterno, che non è più del sociale ma delle lobbies. Di fronte al proliferare della decretazione d’urgenza, addirittura di decreti correttivi d’altri decreti, strumenti privi di qualsiasi fondamento costituzionale, di una produzione legislativa ispirata nella quasi totalità dagli uffici della presidenza del consiglio, con un’aula parlamentare che ha addirittura subito l’onta della sospensione a causa dell’assenza di copertura di bilancio per le leggi in discussione, con una opposizione ridotta alla consistenza di un ectoplasma, la politica la fanno i gruppi editoriali e finanziari che hanno mezzi per condizionare l’opinione, i poteri economici e gli apparati, tra cui eccelle per funzioni, la magistratura. Non tutta, perché in massima parte resta, per natura quasi antropologica, filogovernativa; ma una parte che agisce da efficace minoranza attiva. E così ci siamo ritrovati alla situazione di partenza, all’eterna supplenza giudiziaria che ha aperto la via del potere alle destre e ha gettato l’Italia nel pozzo nero del populismo penale e giustizialista. Sono ritornati in primo piano le inchieste e i processi contro Berlusconi, la creazione del suo impero economico e il suo sistema di potere. Le indagini sul funzionamento di Mediaset, i fondi neri, i giochi finanziari e di bilancio, la corruzione via l’avvocato Mills, e poi le inchieste siciliane e fiorentine, rilanciate dalle ultime dichiarazioni di alcuni pentiti di mafia che hanno consentito di riaprire filoni d’indagine arenati. Spatuzza e Grigoli, due collaboratori di giustizia, sono tornati a parlare del ruolo di Dell’Utri e dei rapporti con i Graviano, famiglia mafiosa trasferitasi al nord. In particolare è molto attesa la deposizione del prossimo 4 dicembre del pentito Spatuzza. Forse troppo attesa dagli spalti giustizialisti che, incapaci di arrivarci con la politica, sognano un Berlusconi finalmente infilzato dalle inchieste e messo definitivamente fuori gioco.
La vecchia scorciatoia giudiziaria torna dunque d’attualità e chi ne soffre di più è ovviamente un’idea di politica carica di progetti, partecipazione e idee. Tutto muore dietro la passione giudiziaria, si fa claque di tribunale, bava da tricoteuses. In un clima del genere non è possibile nemmeno la più timida delle strategie riformiste. Solo ordine, legalità, tribunali, toghe, processi, condanne, odio, risentimento, carceri che però si riempiono solo di poveri cristi. E su questo terreno cresce l’intolleranza, il razzismo, si allungano le radici di una svolta reazionaria delle mentalità che fa egemonia. Berlusconi reagisce tirando fuori dal cilindro, di volta in volta, una soluzione legislativa che pari il colpo (il processo breve è solo l’ultima trovata in ordine di tempo), stravolgendo qualsiasi idea progettuale di riforma del codice penale e di procedura, ridicolizzando il garantismo e rilanciando alla grande la sfacciata rivendicazione di una giustizia di classe, della legge come scudo dei potenti. Il risvolto di una giustizia di classe che protegge i più forti è la persecuzione di classe verso i più deboli. Quella che fomenta i giustizialisti di destra, come la Lega, gli ex di An e Di Pietro, e che lascia indifferenti i giustizialisti idealisti di sinistra.

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Processo breve: amnistia per soli ricchi

Giustizia, due binari: prescizione breve solo per i “colletti bianchi”, detenzioni lunghe e celle sovraffollate per tutti gli altri

Paolo Persichetti
Liberazione 24 novembre 2009

Prescrizione breve per colletti bianchi e ceti abbienti, detenzioni lunghe e celle sovraffollate per tutti gli altri. Da una parte un’amnistia mascherata e tutta di classe per chi riesce sempre a sottrarsi al processo, figuriamoci alla condanna; dall’altra condanne pesanti, aggravanti e recidive di ogni ordine e grado, pene lunghe e senza benefici, per chi non appartiene ai ceti del privilegio, come è accaduto a Giovanni Lorusso, morto nel carcere di Palmi pochi giorni fa. “Dimenticato” in cella dall’ufficio matricola, nonostante una ordinanza del gip gli avesse concesso gli arresti domiciliari. Lorusso era “pericoloso” perché nell’agosto 2008 aveva rubato uno zaino in una spiaggia di Rimini. Furto punito con una condanna a 4 anni e 5 mesi. Sanzione provocata dall’applicazione di una serie di aggravanti: la recidiva specifica prevista dalla ex Cirielli, la violazione delle misure di sorveglianza dovute alla qualifica di delinquente professionale, che gli era stata applicata in ragione della sua ricca fedina penale. Insomma la classica persecuzione. Dopo la pena, tutta scontata fino all’ultimo secondo, arriva la sanzione civile, l’esclusione dal consesso sociale. Marcato a vita col tesserino rosso al posto della carta d’identità. Niente impieghi nei pubblici uffici, niente patente di guida. Devi giustificare ogni tuo spostamento. Non puoi lasciare il comune di residenza senza un’autorizzazione specifica. Puoi uscire di casa solo nelle ore autorizzate. Liberalissima misura di polizia ereditata dal fascismo e republicanizzata con un espediente: non è più il prefetto che emette la sanzione ma il magistrato di sorveglianza. In fondo ci vuole poco per diventare democratici: basta un giudice nei paraggi e il gioco è fatto. Come ci spiega il nuovo filosofo della politica Roberto Saviano con le sue letterine da baci perugina. È questa l’idea di giustizia che viaggia ormai da anni in questo Paese. Una specie di tira e molla tra il centrodestra che vuole l’immunità degli opulenti, la tolleranza zero su base censitaria, processi e carcere per quelli che considera rifiuti sociali e nemici: migranti, tossicodipendenti, terroristi; e il centrosinistra che se ne infischia di chi viene triturato da leggi sempre più liberticide e pur di arrivare a sconfiggere l’odiato Berlusconi (senza mai riuscirci), promuove un’idea di società penale e disciplinare. In questo clima imbestialito, dove nelle carceri ormai non si hanno più di tre metri quadrati a testa, dove i reclusi hanno raggiunto le 66 mila unità a fronte di 42 mila posti tollerati, sono riprese le proteste. Al Marassi di Genova, venerdì sera i detenuti hanno avviato una battitura contro la situazione di sovraffollamento. Le difficili condizioni di vivibilità hanno subito fatto salire la tensione e nella serata un detenuto ha tentato il suicidio. Intorno alle 23.50, il personale di custodia ha avvertito un forte odore di gas provenire dalla sezione di alta sicurezza. L’intervento tempestivo ha permesso di trovare l’uomo ancora in vita, riverso a terra con la testa ricoperta da una busta di plastica all’interno della quale confluiva il gas di una bomboletta impiegata per il fornello da cucina. Una volta ripresosi, l’uomo ha giustificato la sua azione dipserata come un «gesto di protesta contro le condizioni detentive». Nel solo 2008 sono stati sventati 650 suicidi. La battitura è stata sospesa nella giornata di sabato, dopo un incontro dei reclusi con il direttore che si è impegnato a risolvere nel giro di 24 ore alcune delle situazioni più insostenibili. Una protesta analoga si sarebbe svolta anche nel carcere di Lucca, protagonista questa estate di una semirivolta, insieme ad altre carceri toscane. Ne ha dato notizia il segretario generale del Sappe, Donato Capece, che ha spiegato come nel penitenziario lucchese siano ospitati 200 detenuti per una capienza di appena 82 persone. Mentre a Marassi 780 reclusi si dividono lo spazio previsto per 430 posti letto. Proteste con battitura dei ferri contro il sovraffollamento anche nel carcere San Donato di Pescara. Secondo i testimoni, l’eco delle grida giungeva fin nelle strade circostanti le mura di cinta, in particolare la parola «sovraffollamento», ripetuta in continuazione. Nella struttura del capoluogo adriatico è stata superata la capienza massima, con 75 detenuti in più rispetto a quanto previsto (195 invece di 120). Situazione divenuta ancora più pesante dopo la chiusura della sezione penale per lavori di ristrutturazione, che ha reso necessario ridistribuire i detenuti nelle altre due sezioni. Nelle carceri abruzzesi vi sono attualmente 1.909 detenuti, 434 oltre il limite regolamentare.

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Lo scudo di classe di Berlusconi
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