Intervista a Cesare Burdese Architetto, esperto di progettazione carceraria ispirata ai modelli riabilitativi della pena
Ermanno Gallo
Liberazione 3 gennaio 2010 – speciale Cemento e castigo
Cesare Burdese è un architetto torinese che da vent’anni si occupa di progettazione carceraria in stretto rapporto con la concezione istituzionale della pena. Recentemente è stato relatore in un seminario tenuto presso il carcere di Sollicciano (13 giugno 2009) con un intervento critico rivolto alla tipologia di edilizia penitenziaria contemplata dal piano carceri proposto dal governo.
Esiste un modello architettonico di carcere trattamentale e riabilitativo distinto dal penitenziario afflittivo di mera custodia?
I vecchi modelli penitenziari, diciamo ideologici, a volte di matrice utopistica, sono tramontati o vanno rinominati.
Intende che quei laboratori sperimentali per la modificazione del comportamento dei detenuti, come Pentonville, o il carcere-paradigma di Filadelfia (isolamento diurno e notturno del detenuto) e di Auburn (lavoro collettivo di giorno agli affidabili, isolamento notturno), o ancora il Panottico del controllo invisibile “interiorizzato”, non hanno più corso storico?
Oggi siamo di fronte a “derivati” ottocenteschi, con prigioni a pianta crociata e radiale oppure a strutture moderne a palo telegrafico. Per fare fronte alla cosiddetta “emergenza” vengono evocate carceri galleggianti, veri modelli protostorici, o carceri grattacielo, strutture obsolete e futuriste al contempo. In ogni caso ogni tipologia dovrebbe essere contestuale, posto che sia replicabile fuori del suo tempo.
Il sovraffollamento attuale, che enfatizza il carattere afflittivo e patogeno della pena, non inficia qualsiasi visione architetturale che si proponga il cambiamento dell’essenza reale del castigo, attraverso la modificazione delle strutture murarie, della camicia di pietra del sistema cellulare, in funzione, ad esempio, del “carcere democratico”, della “dolcezza delle pene”?
Il ritardo casuale o colpevole dell’edilizia rispetto alla legge penitenziaria non può che aggravare lo stato presente delle cose. Constato, oggi più di ieri, che anche nella facoltà di Architettura, dove tengo seminari e ho seguito tesi sull’argomento, per non parlare delle sedi decisionali, pochi considerano l’architettura carceraria una materia di studio e ricerca.
Il circuito carcerario italiano è obsoleto ed esplosivo. Nel piano carceri proposto dal governo esiste una visione architettonica adeguata che potrebbe trasformare questa situazione degradata?
La promessa di 22 mila posti cella in più nel 2012, può essere solo un tappabuchi. Il carcere ha paura del vuoto. Più aumentano i posti – oggi li chiamano “posti letto”, come se fosse un albergo o un dormitorio – tanto più aumenta la bulimia penale e penitenziaria. Un detenuto tira l’altro.
Fino ad oggi sembra che siano stati stanziati in finanziaria solo 500 milioni di euro per l’ampliamento della capienza.
Si prevedono circa cinque mila posti come primo intervento di sostegno. Celle ricavate da ristrutturazioni, ampliamenti o costruzioni di nuovi padiglioni nelle strutture esistenti. Cpt riconvertiti, oppure riutilizzo di strutture prerecintate, come ex caserme, fabbriche dismesse ecc. 150 milioni sarebbero stanziati dal ministero della Giustizia, altri contributi sono attesi dal fondo unico della giustizia e dalle cassa ammende. Mancherebbero al momento oltre 600 milioni, non attingibili dalla casse pubbliche. Stando così le cose, è impossibile creare entro il 2012 i 22 mila posti promessi. D’altronde il settore privato non sembra particolarmente allettato dalle promesse dello Stato.
Come si presentano gli schemi architettonici del piano?
Le premesse di progettazione e costruzione, avallate dal ministro Alfano, con la supervisione del commissario plenipotenziario Ionta, non fanno prevedere grandi innovazioni. Nell’allegato D del documento ministeriale c’è lo schema di un penitenziario-tipo per circa 400 posti detentivi. Si tratta di un prototipo ad aggregazione radiale. Un modello derivato dai vecchi sistemi di fine ‘800. Questo modello tipologico rappresenta l’immagine della regressione dell’edilizia penitenziaria italiana. E dimostra che la progettazione carceraria è estromessa dal circuito del libero mercato della progettazione.
Pensa che sia tutto riconducibile ad una mancanza di “concorrenza progettuale?”
La circostanza incide molto perché il progetto è demandato acriticamente agli uffici tecnici ministeriali, che non sembrano molto competenti. Poi gli stessi schemi approvati a occhi chiusi passeranno ai cartelli delle imprese di costruzione, che sono puri comitati di affari Quanto meno lo Stato appare ingenuo, in contraddizione con i suoi stessi organi legislativi, rendendo pubblico uno schema tipologico assurdo.
Non le pare che si vada verso un idealtipo di carcere-cubo, gestito dal settore privato che capitalizza lucrando sul detenuto e il lavoro coatto. Insomma una industria-carcere, o come dicono gli americani: un «complesso carcerario industriale»?
Finora, in Italia, la componente produttiva è sempre stata trascurabile nella gestione delle pene. La carenza di personale, l’articolazione degli spazi nel carcere cellulare, hanno permesso solo piccole attività di riproduzione interna, manutenzione e lavori artigianali appaltati da piccole imprese. Difficile parlare di lavoro industriale.
Quindi non è in vista una forma-carcere caratterizzata dalla produttività incentivata dal privato?
Non direi, tenuto conto della legge vigente e della dislocazione cellulare esistente. Casomai vedo la potenziale capitalizzazione a monte della carcerazione.
Cioè attraverso la progettazione e costruzione di nuove strutture carcerarie?
L’Italia è un grande cementificio. Per questo, più che fare dei containers o dei cubi prefabbricati, ai costruttori conviene costruire con colate di cemento. In questo modo, edificando strutture fotocopia, l’edilizia penitenziaria diventa particolarmente redditizia.
E chi potrebbe vincere queste gare di appalto?
I signori del calcestruzzo.
Link
Antigone: “Piano carceri, unica novita i poteri speciali a Ionta”
Cronache carcerarie
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