Seconda puntata – dopo aver affrontato (leggi qui) il conflitto tra storia e memoria, generato dal sopravanzare della seconda sulla prima, dalla costruzione di una memoria pubblica, anzi di Stato (nonostante per definizione la memoria non può che essere singolare, parziale e soggettiva), fino all’emergere di una nuova figura di testimone, o meglio a quel processo di selezione che la figura del testimone ha subito, al punto da lasciare sullo sfondo tutti gli altri attori della storia a vantaggio di uno solo di essi, divenuto l’unico testimone legittimo, sancito per legge, il testimone che assume la postura sofferente, il testo di oggi analizza questa nuova figura di vittima, una vittima particolare poiché l’accesso a questo status è selettivo. Non tutte le vittime sono vittime, non basta aver subito una sofferenza, un torto, un danno grave e irreparabile, per divenirlo. Lungo questo tragitto di selezione politica della figura della vittima, la vittima forte – spiega Giglioli – cancella quelle deboli. Ma c’è di più: questa postura vittimaria cela l’essenza del potere attuale che cerca in questo modo nuova linfa per trovare legittimazione. Attenzione, esiste anche un vittimismo dal basso che propone questo paradigma di pensiero come una nuova forma di contropotere che al posto della critica e della prassi radicale ha sostituito il risentimento. Una competizione che ricorda quella «concorrenza tra vittime» di cui scriveva Hannah Arendt, competizione che non salva ma genera solo nuove vittime
«La vittima è l’eroe del nostro tempo. Essere vittime dà prestigio, impone ascolto, promette e promuove riconoscimento, attiva un potente generatore di identità, diritto, autostima. Immunizza da ogni critica, garantisce innocenza al di là di ogni ragionevole dubbio. Come potrebbe la vittima essere colpevole, e anzi responsabile di qualcosa? Non ha fatto, le è stato fatto. […] Se solo la vittima ha valore, se solo la vittima è un valore, la possibilità di dichiararsi tale è una casamatta, una fortificazione, una posizione strategica da occupare a tutti i costi. La vittima è irresponsabile, non risponde di nulla, non ha bisogno di giustificarsi: il sogno di qualunque potere».
pp. 9-10
Ulteriori letture sull’argomento
Critica del vittimismo/1
Non tutti hanno il diritto di essere vittime, non tutte le vittime sono vittime allo stesso modo
Quando ai familiari delle vittime si chiede di divenire gli esecutori delle pene. Postille ad un articolo di Claudio Magris
De Luna: Andare oltre il paradigma vittimario
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Populismo penale e vittimismo
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Il paradigma vittimario