Bossnapping, nuova arma sociale dei lavoratori

Gerarchie d’impresa costrette a misurarsi con la trattativa forzata imposta dai lavoratori in lotta. È finita l’epopea dei golden boys e degli yuppie. Per far fronte allo stess dei manager pronto un kit antisequestro

Paolo Persichetti
Liberazione 11 aprile 2009

Brutti tempi per le gerarchie d’impresa chiamate a confrontarsi con un nuovo fenomeno chiamato bossnapping, «La nuova arma sociale dei lavoratori», scrive il quotidiano francese Libération. L’obbligo di non alzarsi più dal tavolo e uscire dagli uffici delle direzioni aziendali fintantoché non si è pervenuti ad un accordo accettabile. Davvero brutte nottate in bianco attendono i Patrons. La sensazione è che la crisi attuale abbia fatto girare il vento. È finita la pacchia. L’epopea borghese dei golden boys e degli yuppie non tira più. I manager sono sotto stress. continental_scioperofuocoFa di nuovo capolino la «grande paura», quella raccontata da Cesare Romiti in un libro di Gianpaolo Pansa, vera e propria autobiografia del ceto imprenditoriale italiano degli anni 70. Per fare fronte a questo trauma, un avvocato francese esperto di diritto e relazioni sociali, Sylvain Niel, ha preparato un piccolo manuale, pubblicato dal quotidiano economico la Tribune. Nell’opuscolo, l’esperto dispensa ai manager una decina di consigli «anti sequestro», per «evitare di cadere in trappola durante una trattativa» e su come comportarsi in caso di sequestro.

Azioni legittime
Azioni legittime o azioni illegali? Il ricorso al bossnapping, cioè alla «trattativa forzata» da parte degli operai quando le aziende rifiutano di negoziare i piani di crisi, oppure nemmeno accettano di sedere al tavolo delle trattative comunicando semplicemente la lista dei dipendenti licenziati, fa discutere non solo la Francia.
Va detto subito che fino a questo momento si è trattato di un modello di lotta che oltre a riscontrare consenso nell’opinione pubblica è risultato “pagante”, come ha dimostrato fino ad ora l’esperienza concreta, seppur attuato in un contesto ultradifensivo che mira unicamente a ridurre i danni. Alla Caterpillar di Grenoble sembra che l’azienda abbia rinunciato a licenziare, garantendo l’apertura della fabbrica per altri tre anni nella speranza che intervenga un nuovo ciclo espansivo. In altri siti, gli operai hanno ottenuto migliori indennità di licenziamento, ammortizzatori sociali, riducendo anche l’attacco portato ai livelli occupazionali.
Questo repertorio d’azione – come viene definito dal linguaggio asettico dei sociologi del conflitto che cercano di fotografare i comportamenti sociali senza caricarli di giudizi di valore -, comincia ad estendersi altrove seguendo un classico dispositivo d’emulazione. È arrivato in Belgio mercoledì scorso, dove tre manager Fiat sono rimasti bloccati per 5 ore negli uffici di una filiale commerciale di Bruxelles. C’è stato per l’ennesima volta in Francia, dove i dipendenti di Faurecia, azienda dell’indotto automobilistico filiale del gruppo Psa Peugeot Citroen, giovedì sera hanno bloccato per 5 ore tre quadri dirigenti del gruppo. In questo caso il bossnapping messo in pratica dai dipendenti ha assunto una valenza ancora più significativa perché il sito è costituito essenzialmente da uffici di un centro studi, dove le maestranze (circa mille) sono in prevalenza “colletti bianchi”, ingegneri, tecnici e amministrativi. Ciò vuol dire che il ricorso a pratiche di lotta radicale non è solo patrimonio della classe operai ma guadagna anche i ceti medi colpiti dalla crisi. Un blocco di manager nei loro uffici c’è anche stato in italia, alla Benetton di Piobesi, il 25 febbraio scorso, ma è passato sotto silenzio.
«Si tratta di azioni sindacali coordinate e organizzate assolutamente non paragonabili a dei sequestri», ha spiegato dalla Francia il segretario della Cgt, Bernard Thibault, che ha giustificato il ricorso a queste forme d’azione «fintantoché non producono rischi fisici sui dirigenti d’impresa». Azioni più che legittime dunque, capaci d’attirare per la loro alta simbolicità «microfoni e telecamere», se è vero che cortei, scioperi e picchetti non sono più sufficienti per costringere il padronato a trattare.

Conflitto negoziato
Il succo del ragionamento è semplice: quando le gerarchie aziendali fanno orecchie da mercante, pensando d’imporre il loro punto di vista senza ascoltare quello della controparte operaia, occorre imporre loro la trattativa. Lì dove non c’è negoziato si apre allora uno spazio di conflitto ulteriore. È il «conflitto negoziato» che in Francia, a differenza dell’Italia, non ha mai perso agibilità politica e sociale. Le azioni «coups de poing» (colpo di mano), non appartengono solo al repertorio d’azione della Cgt, ma sono condivise oltre che da altri sindacati collocati sul fronte della sinistra radicale e anticapitalista, come le coordinazioni e Sud, anche dalle associazioni rurali, dei contadini, pescatori e camionisti, spesso bacini elettorali delle forze moderate.

Embrioni di autonomia operaia
Oltralpe la tradizione corporativa del conflitto ha mantenuto sempre piena legittimità. Fintantoché non vengono percepite come un attacco politico alla sicurezza dello Stato, queste forme d’azione collettiva sono ritenute domande sociali a cui la politica è chiamata a dare risposte. Semmai in quel che accade oggi emerge un forte deficit delle forze politiche della sinistra incapaci di fornire rappresentanza. Queste lotte difensive hanno il sapore di embrioni vitali di autonomia operaia. La sensazione è che la crisi attuale abbia fatto girare il vento. L’epopea borghese dei golden boys e degli yuppie non tira più. I manager sono sotto stress. Per fare fronte a questo trauma, un avvocato francese esperto di diritto e relazioni sociali, Sylvain Niel, ha preparato un piccolo manuale, pubblicato dal quotidiano economico la Tribune. Nell’opuscolo, l’esperto dispensa ai manager una decina di consigli «anti sequestro», per «evitare di cadere in trappola durante una trattativa» e su come comportarsi in caso di sequestro.
A leggerlo sembra una presa in giro, ma è tutto vero. Prima regola: conservare un «kit di sopravvivenza», un telefono cellulare di scorta con numero criptato e recapiti d’emergenza (polizia, famiglia), trousse per la toilette, cambio di biancheria nel caso si dovesse passare la notte in ufficio. Ma, suggerisce l’esperto, «è meglio prevenire» per non finire come quel responsabile del personale di un’azienda che si vide costretto ad uscire disteso in una bara dalla sala in cui era “ospitato” . Fondamentale allora è «una stima del rischio di ammutinamento contro la direzione», «individuare sempre i leader della protesta», «non andare mai da soli a negoziare con le parti sociali, ricorrere sempre ad un mediatore». Infine, se dovesse andare male «accettare tutte le richieste dei dipendenti perché gli impegni presi sotto costrizione non hanno valore giuridico».
Manca però la cosa essenziale, qualche buon libro di filosofia capace di aprire la testa dei manager per dare aria alle loro anguste visioni culturali nutrite solo di manuali sulla gestione delle risorse umane, la performatività delle prestazioni, l’economia aziendale. Magari Discours sur l’inégalité parmi les hommes di Jean-Jacques Rousseau e il primo libro del Capitale del dottor Marx, così tanto per cominciare.

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Un pensiero su “Bossnapping, nuova arma sociale dei lavoratori

  1. Poi non bastano più certe manifestazioni e certe canzoni
    cambia la musica!

    Intanto a me il termine bossnapping, mi innervosisce io la chiamo lotta di classe, e la lotta di classe si ri-appropria delle forme che sono più consone al suo livello di coscienza di classe, appunto, il discorso legittimo o illegale con interessa al proletariato.

    dall’Italia

    Manager assediato per ore dagli operai
    Alla Benetton di Piobesi dopo l´annuncio dei tagli: salvato dai
    carabinieri
    di Stefano Parola«A Bruxelles hanno sequestrato tre manager della Fiat per
    colpa di 24 licenziamenti? Almeno nel nostro caso erano 143 persone a
    perdere il posto». Giuseppe Graziano, segretario della Uilta-Uil
    piemontese, ora quasi ci scherza su. Quelli che ha vissuto a Piobesi, nello
    stabilimento della Olimpias, sono stati momenti tutt´altro che facili.
    Ancor meno per Tullio Leto, direttore del personale dell´azienda tessile
    del gruppo Benetton: quando hanno saputo che l´azienda non avrebbe
    concesso la minima apertura, i lavoratori lo hanno tenuto in assedio per
    tre ore e lui è uscito dallo stabilimento attraverso una porta sul retro,
    grazie all´intervento dei carabinieri.

    È il 25 febbraio. Le trattative tra azienda e sindacati proseguono ormai
    da settimane, ma sono del tutto insabbiate, serve un ennesimo incontro. Di
    solito le aziende torinesi conducono le trattative all´Unione industriale
    di Torino, in via Fanti, ma la Olimpias è associata a Unindustria Treviso,
    città in cui ha la sede principale. Quindi è necessario riunirsi
    direttamente nello stabilimento di Piobesi. Alle 14 iniziano le trattative,
    i 143 dipendenti cominciano uno sciopero spontaneo e attendono novità
    appena fuori dagli uffici.

    Gli animi sono caldi fin da subito. Dopo un paio d´ore i funzionari dei
    sindacati escono e comunicano che l´azienda non fa passi indietro:
    conferma i 143 licenziamenti, nega la cassa integrazione per
    ristrutturazione e qualsiasi forma di incentivo, concede un solo anno di
    ammortizzatore sociale. Ai dipendenti è come se crollasse il mondo
    addosso. C´è chi urla, chi piange, chi batte pugni suoi vetri. Entrano in
    massa nell´ufficio delle trattative. In un attimo il direttore Leto e il
    suo segretario sono assediati. «Una sensazione molto brutta, una
    situazione del tutto anomala in una trattativa sindacale», ricorda Assunta
    De Caro, segretaria della Filtea-Cgil Piemonte. La tensione raggiunge il
    suo apice verso le 18: «A un certo punto abbiamo deciso di chiamare i
    carabinieri».

    Dalla caserma di Moncalieri il capitano Domenico Barone parte con una buona
    quantità di uomini: «Arrivati sul posto – spiega il capitano – abbiamo
    cercato di placare gli animi e abbiamo creato una cornice di sicurezza
    attorno al direttore Tullio Leto. Nel frattempo sono volate parole grosse
    ma non è successo nulla di grave». Ci vogliono due lunghe ore di
    diplomazia prima che la situazione si sblocchi: «Abbiamo creato un
    diversivo – racconta il capitano dei carabinieri di Moncalieri – e abbiamo
    fatto uscire il direttore e il suo segretario da una porta secondaria». È
    così, alle 22.30, finisce la lunghissima giornata di lavoro di Tullio
    Leto.

    «L´episodio comunque ha cambiato il corso della trattativa – dice il
    sindacalista Graziano – perché ha fatto capire all´azienda che i
    lavoratori erano disposti a tutto pur di ottenere qualcosa dalla
    trattativa». In effetti, così è stato. Perché una serie di proteste
    all´insegna della civiltà, tra cui un presidio davanti al negozio
    Benetton di piazza San Carlo, hanno portato a un salvataggio in corner. La
    trattativa è stata chiusa da pochi giorni: non un solo anno di cassa ma
    due, più un incentivo per l´uscita e l´impegno della Olimpias a
    ricollocare una parte dei dipendenti. Si chiude comunque, ma la
    disperazione di quel 25 febbraio è un po´ più distante.
    (10 aprile 2009)

    eh si cambia musica, torna la musica selvaggia la musica “antica”.

    ti salto con affetto e stima
    vittoria oliva

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