Induzione al pentimento. Diana Blefari Melazzi e l’uso del carcere duro come strumento per estorcere collaborazioni con l’autorità giudiziaria

I restroscena del suicidio di Nadia Blefari Melazzi

(ANSA) – BOLOGNA, 2 NOV – All’inizio dell’anno, la Procura bolognese sentì Diana Blefari Melazzi nel tentativo di sondare una sua eventuale disponibilità a collaborare con le forze dell’ordine e la magistratura, tenendo conto anche dei segni di insofferenza per la detenzione già mostrati dalla brigatista. Ma lei – ha riferito la Procura – disse che non voleva collaborare in alcun modo. Gli inquirenti emiliani hanno confermato di essere al corrente dei problemi psichici della donna, fatto emerso anche durante l’interrogatorio a Massimo Papini, arrestato il primo ottobre su iniziativa delle Procure di Bologna e Roma con l’accusa di essere un militante delle nuove Br, ed ex compagno della Blefari. In quell’occasione l’uomo aveva ribadito al pm Enrico Cieri, titolare dell’inchiesta, il disagio psicologico in cui si trovava la brigatista esprimendo preoccupazione per questo. Inoltre, ha ricordato la Procura, durante il processo davanti alla Corte d’Assise di Bologna per l’omicidio Biagi, una perizia psichiatrica sulla donna stabilì che era capace di essere presente al processo. (ANSA). Y1C-GIO 02-NOV-09 15:34 NNN

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2 pensieri su “Induzione al pentimento. Diana Blefari Melazzi e l’uso del carcere duro come strumento per estorcere collaborazioni con l’autorità giudiziaria

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