Saviano usa la parola come strumento di potere non come leva di libertà

Roberto Saviano ha sempre utilizzato la parola come uno strumento di potere mai come una leva di libertà. Lo dimostrano le tante querele da lui intraprese in passato contro persone che la pensavano diversamente da lui o ne criticavano le affermazioni perché inesatte, infondate, approssimative (leggi qui una rassegna delle sue querele). Saviano ha sempre rivendicato per sé quello che nega agli altri, si tratta di una sua caratteristica peculiare derivata dalla presunzione di esser il testimone della verità. Egli è colui che dice il vero, un sorta di nuovo messia venuto a illuminare gli uomini con il suo verbo. C’è chi lo ha descritto in passato come qualcuno che vorrebbe correggere le bozze di Dio e così se Saviano è l’incarnazione del vero, gli altri per forza di cosa sono altro dal vero e chi lo critica e non la pensa come lui un ostacolo alla verità. Dei nemici da abbattere. C’è una intolleranza costitutiva nel modo di porsi, un fanatismo profondo.
Nel gennaio del 2010 sono stato querelato da Roberto Saviano perché su Liberazione avevo scritto che i familiari di Peppino Impastato contestavano la veridicità di una telefonata da lui raccontata in un volume appena pubblicato da Einaudi, La parola contro la camorra (Non c’è verità storica, il centro Peppino Impastato diffida l’ultimo libro di Roberto Saviano). Secondo Saviano la madre di Impastato l’aveva chiamato per incoraggiarlo quando lui era ancora un aspirante scrittore del tutto sconosciuto, molti anni prima del successo di Gomorra e che gli fosse concessa la scorta di polizia. Telefonata che Saviano rappresentava come una sorta di passaggio di testimone che l’avrebbe condotto a prendere il posto di Impastato nell’immaginario collettivo dell’antimafia.

(Fonte https://www.nazioneindiana.com/2004/12/08/felicia/?fbclid=IwA)
I familiari di Impastato obiettavano che la signora Felicietta non avesse telefono e che le chiamate a lei dirette passassero attraverso il figlio Giovanni o la nuora e che di questa telefonata non avevano mai saputo nulla. Saviano avrebbe potuto rivendicare un diritto di replica, Liberazione glielo avrebbe senza dubbio concesso. La querelle era pubblica, c’era stato un comunicato stampa della famiglia. Molto attento a non entrare in polemica diretta con i familiari di Impastato e senza mai chiedere alcun diritto di replica, Saviano querelò invece me. Ero in semilibertà da appena due anni e facevo il giornalista nella redazione di Liberazione. La querela non arrivò mai in giudizio perché prima il pm e poi il gip, nel 2013, mi diedero ragione: avevo fatto correttamente il mio lavoro citando fonti attendibili (Persichetti ha utilizzato fonti attendibili, il gip archivia la querGipela di Saviano contro l’ex-brigatista). Fu uno smacco per lo scrittore che vide così incrinata la sua immagine di testimone della verità.
Saviano mentiva, stavolta lo diceva anche la magistratura. Tuttavia della sentenza non parlò quasi nessuno: un importante giornalista di cronaca giudiziaria mi disse che i grandi quotidiani nazionali non potevano scrivere di una vicenda che dava torto a Saviano e ragione a un brigatista. Fu il web a rompere il silenzio pochi mesi dopo. Il giorno dell’anniversario della morte di Impastato improvvisamente iniziò a circolare la notizia della sentenza che dava torto allo scrittore.
In difficoltà, Saviano tirò fuori sui social una nuova versione dei fatti: non aveva mai ricevuto la telefonata direttamente dalla signora Felicia, come aveva fino ad allora raccontato, ma era stata una sua amica che incontrandola l’aveva chiamato e le aveva passato la donna

(Fonte https://www.facebook.com/RobertoSavianoFanpage/posts/10151452425176864)
Perché non averlo detto prima e raccontato ai giudici? Perché non averlo spiegato direttamente ai familiari di Impastato? A quel punto chiesi pubblicamente a Saviano il nome della sua amica, se ci fossero stati altri testimoni, se l’episodio era avvenuto in strada o in casa di Felicietta?
Da allora sono passati otto anni e Saviano non ha mai risposto. Il testimone del vero tace.
Anche se i giudici alla fine mi avevano dato ragione, cosa molto rara, la vicenda della querela ebbe comunque gravi ripercussioni a livello carcerario. All’arrivo della denuncia venni convocato dalla direzione del carcere che mi chiese copia degli articoli incriminati, ritenuti – dalla responsabile di reparto – fondamentali per una compiuta valutazione dell’osservazione trattamentale. Qualcosa di analogo era già accaduto nel carcere di Viterbo alcuni anni prima, quando il magistrato di sorveglianza si oppose ai permessi di uscita per un mio libro, Esilio e castigo (Negato un permesso all’ex-br Paolo Persichetti per il libro che ha scritto – Permessi all’ex Br? No, se non abiura). Anche se i giudici alla fine mi avevano dato ragione, cosa molto rara, la vicenda della querela ebbe comunque gravi ripercussioni a livello carcerario. All’arrivo della denuncia venni convocato dalla direzione del carcere che mi chiese copia degli articoli incriminati, ritenuti – dalla responsabile di reparto – fondamentali per una compiuta valutazione dell’osservazione trattamentale.
Nel febbraio 2011 non ero ancora a conoscenza del contenuto della querela e quindi degli articoli denunciati (in procura nonostante le ripetute richieste avevano sempre opposto il segreto istruttorio), poiché mi era stato notificato un semplice verbale di elezione di domicilio – di cui avevo fornito copia alla Direzione – nel quale si indicava unicamente il numero di protocollo del procedimento senza altre informazioni. Per giunta la richiesta della responsabile di reparto (se è vero che gli articoli dovevano essere analizzati per redigere l’osservazione scientifica della personalità) aveva una tale portata formale che non era possibile indicare dei testi prima di averne ricevuto comunicazione ufficiale da parte della procura. A ben vedere, dunque, è alla procura che la Direttrice avrebbe dovuto rivolgere la sua richiesta, non certo a me. Di fronte ad una tale oggettiva impossibilità, trattandosi in ogni caso di articoli diffusi nello spazio pubblico, consigliai alla Direttrice di recarsi sul sito web di Liberazione per avere completa visione di tutti i miei testi.Il suggerimento venne recepito come un rifiuto di «rapportarsi correttamente con l’Amministrazione». Ecco come l’episodio venne raccontato nella Relazione di sintesi sulla osservazione della personalità:
«Si è accennato alla diatriba con lo scrittore Roberto Saviano. All’inizio del 2011, come riportato sulla stampa e in internet (che ospita vari articoli al riguardo), si è verificata una schermaglia tra il Persichetti ed il suo editore da una parte, ed il Saviano dall’altra, nascente da affermazioni di quest’ultimo sul caso dell’omicidio di Giuseppe Impastato, affermazioni ritenute dalla controparte false o, quanto meno, superficiali. La vicenda è sfociata nella presentazione di una querela per diffamazione da parte del Saviano nei confronti del Persichetti e del suo editore. La Direzione dell’Istituto ne è stata informata formalmente dalla Polizia di Stato. Il 02.03.2011 il Persichetti, durante un colloquio col Direttore di Reparto riguardante proprio tale vicenda, è stato invitato a produrre gli articoli relativi alla querelle, al fine di avere un quadro della situazione; ha percepito come atteggiamento “censorio” la richiesta formulatagli dal dirigente e per tutta risposta gli ha detto chiaramente che gli scritti sono liberamente accessibili su internet e che non vedeva la necessità di doverli produrre lui. Si è pertanto ritenuto di dover informare dell’accaduto e dell’atteggiamento tenuto dal semilibero il Sig. Magistrato di Sorveglianza».
Per dare luogo a questa considerazione finale:
«La forma mentis del Persichetti lo conduce ad avere talora, un atteggiamento “paritario” (anche se tale aggettivo rischia di acquisire una valenza negativa) nei confronti di un’Amministrazione verso la quale, comunque, egli deve rispondere del proprio comportamento e non trattare da pari: il tutto, ovviamente, nel rispetto del diritti della persona. Talora però nel soggetto pare vi sia una difficoltà a rendersi conto che, a differenza di quanto accade in un rapporto tra persone fisiche, rapportarsi con l’Amministrazione richiede una diversa “dialettica”, fatta – anche obtorto collo – di una puntuale esecuzione delle direttive o anche, delle sole indicazioni fornite dalla stessa e dai suoi operatori». (Fonte La relazione del Got Rebibbia).
Leggi anche L’ex-br persichetti, io querelato da Saviano, gip mi diede ragione
credo che il libro più bello, ed utile, scritto a pochi mesi dall’uscita del primo libro di Saviano sia stato “Eroi di carta”, di Alessandro Dal Lago, edizioni de Il Manifesto. Invito tutti a leggerlo.
L’unica forma mentis su cui interrogarsi è quella dell’ “oracolo” e di quelli che nei loro talk o sui giornali lo considerano tale. Il soggetto, quando è in evidente difficoltà o risponde tramite querela o non risponde proprio e gli esempi non mancano. Non mi risulta ad esempio (ma può essermi sfuggito), che abbia a suo tempo mai replicato pubblicamente alle critiche a lui rivolte, dal compianto Vittorio Arrigoni, riguardo alle discriminazioni del riconosciuto (e legittimo) Stato d’Israele, verso le minoranze e in generale sullo stato di diritto, torture comprese. Ma è un oracolo, mica è tenuto a farlo.
Saluti!
Gianluca Collini