Francesco Piccioni
il manifesto 5 febbraio 2011
Vaglielo a spiegare, oggi, che quarant’anni anni fa si poteva arrivare alla lotta armata partendo dalla vita on the road, in fuga esistenziale da uno schema millenario che inchiodava le donne a ben pochi ruoli. Impossibile, dirà qualcuno. Franca Salerno, occhi blu e un sorriso, dopo sedici anni di carcere speciale e un’evasione, è riuscita a farsi capire dai ragazzi con cui aveva vissuto suo figlio Antonio, nato in carcere e morto cinque anni fa, da giovane pony express precario e figura di riferimento nel Laboratorio Acrobax di Roma. Un luogo vivo dove ognuno può essere se stesso, con le imperfezioni che nessuno qui cercherà di azzerare, tra eguali. Per capirla, in fondo, non era necessario averne sentito la voce, insieme ai pianti di Antonio, nelle notti di Badu ‘e Carros, alla periferia di Nuoro. Ora è evasa anche dalla vita, dopo l’ultima prova feroce che questa aveva voluto infliggerle.
Ieri mattina, nella sala grande di Acrobax, le abbiamo portato l’ultimo saluto in tanti. Anziani guerriglieri rugginosi e ragazzi che l’avevano conosciuta per le qualità umane tutte sue, senza curarsi troppo dell’alone sbiadito del mito. Apprezzandone le imperfezioni che appartengono a tutti e che invece, di solito, vengono citate a sostegno dei pregiudizi.
Il coro di ragazze che l’ha ricordata, una dopo l’altra, è stato lo specchio di questo perfetto stare insieme tra persone diverse che condividono molto. Così come il pianoforte emozionato, un altro modo per ricordare. Una vita fuori dagli schemi, per giornalisti frettolosi e senza troppa fantasia. Una vita contro gli schemi, invece; prima e oltre la politica, la lotta, la galera.
Ciao Franca, tanto prima o poi ci vediamo.
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Un libro sulla storia dei Nap
Una vecchia intervista a Franca Salerno
Sono nata in un carcere speciale agli inizi degli anni 80, adesso voglio capire
L’evasione di Franca Salerno e Maria Pia Vianale
Addio Franca, con tutto l’affetto e il rispetto di chi non ha condiviso la tua scelta di allora.