Gallinari è morto in esecuzione pena, dopo 33 anni non aveva ancora ottenuto la libertà condizionale

1990 - Presidio davanti alla Cassazione per chiedere la scarcerazione di Prospero Gallinari

1990 – Presidio davanti alla Cassazione per chiedere la scarcerazione di Prospero Gallinari

L’attenzione pubblica destata dalla morte di Prospero Gallinari, l’ex militante delle Brigate rosse appartenente al cosiddetto “nucleo storico”, coinvolto nel sequestro Moro e che nel corso della sua vita ha incarnato l’intera parabola della storia brigatista, non sembra tuttavia prestare la giusta attenzione ad un aspetto fondamentale della vicenda: al momento della morte, per un malore dovuto alle sue pessime condizioni cardiache effetto dei postumi provocati dalle gravi ferite riportate al momento della cattura nel 1979, Gallinari non era un uomo libero.
Scarcerato nel 1996 con la formula della sospensione pena per i gravi motivi di salute che ne mettevano a rischio la sopravvivenza in carcere, a Gallinari era stata successivamente applicata la misura degli arresti domiciliari con possibilità di lavoro.
Colpito al cervello durante una sparatoria Gallinari era sopravvissuto (leggi qui). Al cranio gli era stata applicata una placca di metallo. Dopo anni di detenzione nelle carceri speciali il cuore cedette, per questo venne sottoposto a ripetuti interventi cardiaci e lunghe degenze nei centri clinici penitenziari. Il potere politico in quel periodo non sarebbe stato in grado di reggere il peso di una morte del genere all’interno del carcere. La liberazione avvenne in una fase politica particolare nella quale sembrava dovessero giungere a termine, con un provvedimento di indulto, i lunghi irrisolti penali della stagione della lotta armata.

Raggiunti i 30 anni di detenzione aveva deciso di chiedere la liberazione condizionale (vedi qui). La magistratura di sorveglianza chiese allora il parere dei familiari delle vittime suscitando, in particolare, la reazione di Sabina Rossa che rinviò al mittente ogni decisione (leggi qui).
Quando si tenne l’udienza, il collegio si riservò, rinviando ogni decisione. In sostanza il tribunale decise di non decidere. Nessuna nuova udienza fu più convocata.
Nel testo che segue Sandro Padula, anche lui ex brigatista, ancora in semilibertà dopo 30 anni di carcere compiuti e la liberazione condizionale rifiutata, brutali torture subite al momento dell’arresto (leggi qui), nel ricordare la storia di Prospero Gallinari pone giustamente l’accento su questo aspetto

di Sandro Padula

Quattordici gennaio 2013. Cielo grigio e piovoso.
“Stamattina è morto Prospero”, leggo in una mail.
“La brutta notizia, – precisa qualche minuto dopo un amico al telefono – è confermata da Sante che vive a Bologna”.
Sante Notarnicola, l’autore del libro “L’evasione impossibile”, conosceva bene Prospero Gallinari, colui che si definì “un contadino nella metropoli” nell’omonimo testo di memorie.
Ex brigatista rosso, 62 anni, in sospensione della pena carceraria per motivi di salute dal 1996, Prospero abitava a Reggio Emilia e, pur essendo stato arrestato l’ultima volta nel 1979, non aveva nemmeno ottenuto la libertà condizionale, la cui istanza fu da lui indirizzata qualche anno fa al tribunale di sorveglianza di Bologna e mai discussa. Sì, mai discussa.
Della libertà condizionale, il beneficio che funge da ultimo tunnel penale prima della libertà, non ha visto nemmeno l’ombra.
La sospensione della sua pena carceraria in senso stretto corrispondeva ad una misura ibrida fra gli arresti domiciliari e la semilibertà: Prospero poteva uscire di casa, in alcuni orari prestabiliti della giornata lavorativa, ma non di notte.
Agli amanti dei misteri non fa scandalo la realtà italiana per cui dopo 3 decenni ci sono ancora dei detenuti politici. Fa scandalo se da ragazzino Prospero era un marxista-leninista ortodosso o se, nei primissimi anni ’70 e per breve tempo, ebbe dei rapporti con Corrado Simioni, il teorico della “superclandestinità” abbandonato al suo destino da tutti i militanti delle Br – nessuno escluso – perché ritenuto megalomane, maldestro e inconcludente.
Prospero ha maturato le proprie idee a Reggio Emilia in un determinato periodo storico e le ha sviluppate nelle metropoli operaie del Nord Italia, nell’esperienza carceraria fra il 1974 e il 1976 e poi, dopo un’evasione, a Roma.
Fu sempre fedele alle persone amiche, condividendo con loro la propria vita e dimostrandosi particolarmente sensibile anche nei momenti più difficili, ad esempio dopo la seconda carcerazione quando, assieme a Linda Santilli, scrisse il primo libro italiano sull’effetto estensivo della pena detentiva ai parenti dei detenuti: “Dall’altra parte: l’odissea quotidiana delle donne dei detenuti politici” (Feltrinelli, 1995).
Prospero sapeva che in una organizzazione politica come le Br le responsabilità erano collettive e rimase coerente rispetto a tale consapevolezza fino all’ultimo giorno della sua vita.
Nel 2009 ha elaborato la postfazione di “Andate e ritorni. Conversazioni tra passato presente e futuro” (Colibrì editore), un libro dell’ex br Loris Tonino Paroli a cura di Giovanna Panigadi e Romano Giuffrida e con prefazione di Renato Curcio.
Nel 2011 ha partecipato a “Ils étaient les Brigades rouges“, un documentario trasmesso a puntate in una televisione francese (vedasi l’estratto: http://www.dailymotion.com/video/xkua7m_extrait-du-film-ils-etaient-les-brigades-rouges_shortfilms#.UPVDHfI5gcY ).
Prospero resta quindi una figura limpida, una specie di libro multimediale aperto, per tutte le persone che, all’interno e all’esterno delle carceri, ne hanno conosciuto il coraggio, l’umiltà e l’altruismo.

Link
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“Eravamo le Brigate rosse”, l’ultima intervista di Prospero Gallinari
A Prospero Gallinari volato via troppo presto
Ciao Prospero
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Per saperne qualcosa di più
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