Stupro della Caffarella e Quartaccio: l’accanimento giudiziario

Stupri, Racz: ecco i miei alibi ma il giudice conferma il carcere
Dopo l’esito negativo dei nuovi test, nomi e circostanze lo scaggionerebbero dalle violenze di Primavalle e della Caffarella

Anita Cenci
Liberazione 7 marzo 2009

Dopo che il Dna ha messo alla berlina le indagini della mobile romana sullo stupro della Caffarella, la magistratura continua ad accanirsi, in particolare contro uno dei due cittadini romeni accusati fino ad oggi senza prove.
Nonostante la donna di 41 anni stuprata la sera del 21 gennaio scorso in viale Andersen, nel quartiere del Quartaccio, periferia nord di Roma, non fosse più tanto sicura di aver riconosciuto in Karol Racs uno dei suoi aggressori, la Gip Silvia Castagnoli ha emesso nei suoi confronti una seconda ordinanza di custodia cautelare. Dopo un primo riconoscimento abbastanza indeciso, avvenuto in sede d’incidente probatorio, in cui la donna fortemente provata l’aveva indicato tra molte esitazioni, la vittima della violenza era tornata sulle sue affermazioni prima su un quotidiano e poi nel corso del programma Anno zero. «Era buio, avevano il cappuccio. Non sono più tanto sicura». Il ripensamento si è fatto strada, una volta divenuta di dominio pubblico la notizia che il test del Dna scagionava la responsabilità di Racs nello stupro della Caffarella. L’incidente probatorio si era invece svolto in gran segreto proprio nei giorni in cui maggiore era la pressione mediatica nei confronti del romeno, indicato assieme al suo connazionale Alexandru Loyos Isztoika come uno dei responsabili della brutale violenza sessuale. L’avvocato difensore ha precisato che la donna «non ha riconosciuto Racs, ma ha solo detto che assomiglia a uno dei suoi aggressori». Molti precedenti dimostrano che un’identificazione così fragile difficilmente può reggere in sede di confronto dibattimentale, anche perché l’immagine del romeno ha subito un inquinamento mediatico irreparabile dopo essere stata diffusa per giorni e giorni su tutti i media come l’icona del mostro. La decisione del Gip lascia ancora più sconcertati perché l’incerto riconoscimento, come è già accaduto per la vicenda della Caffarella, non ha trovato altre conferme. Il Dna recuperato dalle tracce biologiche dello stupro al Quartaccio non coincide con quello di Racs. Insomma nonostante le prove oggettive lo scagionino di nuovo, il romeno non solo resta incriminato ma non esce dal carcere. È questa la giustizia di chi vuole la certezza della pena al posto della certezza del colpevole. C’è qualcuno, in procura o in questura, che non vuole abbandonare la pista romena e riaprire le indagini a 360 gradi. Il pregiudizio raziale, la colpa d’autore, sembrano ispirare le indagini. Questo sospetto trova conferma anche dalla notizia che alcuni investigatori sono volati in Romania per verificare la coincidenza del cromosoma y, isolato in alcune tracce organiche repertate nello stupro della Caffarella, con quelle di un romeno rinchiuso nelle carceri del suo paese. Chi ha lasciato trapelare l’indiscrezione suggerisce che questa pista può condurre ad un suo familiare in libertà, di cui si dovrebbe verificare l’alibi. Ma per avere valore di prova, la sequenza del Dna deve essere completa, non parziale. Questa storia del cromosoma sembra l’ennesima bufola. Ed in questa inchiesta ce ne sono state davvero troppe, come quella sulla traccia genetica che avrebbe consentito l’identificazione razziale degli stupratori. Oppure si tratta di un diversivo per non perdere la faccia e diffondere una finta impressione di azione investigativa. In queste ore la questura ha anche avviato un’offensiva mediatica, facendo visionare ad alcuni giornali amici le immagini videoregistrate della confessione, poi ritrattata, di Isztoika. Un tentativo di restaurare la propria immagine per dimostrare la buona fede di fronte alla «forza emotivamente suggestiva» delle autoaccuse del “biondino”, tanto naturale e convincente sarebbe apparsa ai loro occhi la sua deposizione. Si tratta di un film di 45 minuti, a quanto pare molto diverso dal caso di Marta Russo, l’inchiesta in cui fece scalpore il video che mostrava le pressioni su una teste affinché confermasse le tesi dell’accusa. Chi ha visto le immagini afferma che Isztoika parla in modo disteso e fluido, senza apparenti timori. Addirittura entrerebbe nei dettagli dello scempio con distratta indifferenza. Ciò tuttavia non fuga i dubbi sull’autenticità delle dichiarazioni. Solo degli esperti dell’analisi comportamentale e del linguaggio potrebbero fornire un giudizio competente su quelle immagini. Restano irrisolte le domande su quanto è accaduto prima; e non appaiono ancora con nettezza prove che in quella deposizione vengano davvero fornite circostanze ancora ignote alle indagini. Il mistero permane. Piuttosto una domanda: ma perché l’immagine di Isztoika era nell’album di 12 foto che venne subito mostrato alla ragazza violentata? A che titolo era tra i primi sospettati?


Napolitano: «Lo stupro è un’infamia, la nazionalità non conta»
Caffarella, ora cercano cinque pastori Rom

Anita Cenci
Liberazione
8 marzo 2009

In un discorso tenuto ieri al Quirinale, durante la celebrazione della Giornata internazionale della donna, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha affermato che la «vergogna e l’infamia delle violenze, gli stupri, le forme di molestia, vessazione e persecuzione nei confronti delle donne» sono «l’ombra più pesante di tutte» nel cammino che il genere femminile ha avviato verso la piena parità.
Napolitano ha precisato che «non fa differenza» la nazionalità delle vittime come degli aggressori. Parole che assumono un significato molto particolare all’indomani del clamoroso flop nelle indagini sugli stupri del 21 gennaio e del 14 febbraio, avvenuti al Quartaccio e nel parco della Caffarella, due località periferiche della capitale. La ferma condanna verso queste odiose violenze risuona nelle parole del presidente della Repubblica anche come un monito contro ogni possibile deriva razzista e xenofoba nella società come nelle istituzioni, soprattutto se dedite alla tutela dell’ordine pubblico. A tale proposito, Napolitano ha ricordato come il fascismo privò le donne «dei fondamentali ed elementari diritti e le costrinse, se ebree, con le infami leggi razziali» ad abbandonare le scuole pubbliche.
Le indagini sullo stupro della Caffarella non fanno discutere solo i Palazzi delle istituzioni, dove un’improvvisa conversione per le garanzie ha spinto diversi politici della destra a rettificare le entusiastiche dichiarazioni diffuse dopo la notizia della cattura dei due cittadini romeni accusati dello stupro: «Le indagini servono per trovare i colpevoli, non a tenere in carcere gli innocenti» (Alemanno), «la sola chiamata di correità non è sufficiente per fondare un’accusa» (La Russa), «se cambia il quadro investigativo, vanno scarcerati» (Mantovano).
La vicenda ha rischiato di diventare anche un caso diplomatico. Un quotidiano romeno, Evenimentul Zilei, ha dato voce ai malumori della polizia locale che non sembra aver gradito le ricostruzioni delle indagini fatte trapelare dagli ambienti della squadra mobile romana, in particolare dell’interrogatorio di Alexandru Isztoika. Dubbi erano emersi su cosa avessero detto al “biondino” gli uomini di Bucarest, durante le otto ore passate in questura. In un retroscena molto compiacente, apparso nei giorni scorsi su un quotidiano della Capitale, lo stesso capo della mobile, Vittorio Rizzi, aveva messo le mani avanti chiedendosi cosa fosse successo nell’unica ora in cui aveva lasciato la questura, dopo due giorni insonni. Una maniera poco elegante di scaricare eventuali responsabilità sui suoi uomini.
Per tutta risposta, due degli investigatori arrivati da Bucarest accusano i colleghi italiani di «aver avuto troppa fretta», di «trionfalismo ingiustificato» al momento degli arresti e rigettano il sospetto «di aver fatto pressioni fisiche o psicologiche su Alexandru Isztoika», per spingerlo a confessare. L’irritazione è tale che il capo della polizia, Antonio Manganelli, e il suo omologo romeno, Toba Petre, sono dovuti intervenire per spegnere il principio d’incendio.
Sul fronte delle indagini si registra la missione in Romania dei nostri funzionari, alla ricerca delle tracce del famoso cromosoma y. Più che una pista indiziaria, una scommessa costruita sul raffronto tra le tracce biologiche rinvenute alla Caffarella e la banca dati del Dna della polizia romena. L’operazione avrebbe portato ad individuare una similitudine con il cromosoma y di un detenuto condannato per stupro, rinchiuso nelle carceri romene da tempo. I poliziotti hanno ricostruito i suoi legami di parentela. Si tratterebbe di 5 pastori nomadi che vivrebbero nella regione della Moldavia ma che per il momento non sono stati rintracciati. La polizia vorrebbe verificare i loro alibi e confrontare il loro Dna. Solo una sequenza completa avrebbe infatti valore di prova. Secondo il giornale Adevarul, che ha diffuso la notizia, non vi sarebbe comunque alcun legame tra questa famiglia e Alexandru Isztoika.
Riemergono anche altre piste, come quella di Ciprian Chiosci, 22 anni, di Botosani, l’uomo senza tre dita entrato e subito uscito dale indagini. Chiosci fu la prima persona riconosciuta in una foto dall’adolescente violentata alla Caffarella. Un’informativa della polizia di Bucarest precisò che l’uomo era partito da Roma il 12 febbraio, due giorni prima dello stupro, con un pullman dalla Stazione Tiburtina. Ora sembra che la circostanza sia nuovamente da verificare, come il fatto che Isztoika lo conoscesse. Voci, indiscrezioni, brusii che si rincorrono. Nulla di veramente certo, se non che gli investigatori non schiodano dalla pista dell’est.
Intanto i due fidanzatini della Caffarella, nonostante il Dna smentisca il loro riconoscimento, sarebbero pronti a riconfermarlo nel corso di un incidente probatorio, già sollecitato dal loro avvocato, Teresa Manente, legale di “Differenza donna”. Se accolta, la richiesta darebbe luogo ad una situazione surreale: il nuovo riconoscimento avrebbe valore di prova processuale ma sarebbe smentito dal dna.

Link
Quartaccio-Caffarella, l’uso politico dello stupro
È razzismo parlare di Dna romeno
L’inchiesta sprofonda
Quando il teorema vince sulle prove
Tante botte per trovare prove che non ci sono
Non esiste il cromosoma romeno
La difesa di Racs denuncia maltrattamenti
Parlano i conoscenti di Racs
Non sono colpevoli ma restano in carcere
Racs non c’entra
Negativi i test del Dna fatti in Romania
Stupro della Caffarella
Stupro del Quartaccio, scarcerato Racs
Cosa si nasconde dietro la confessione di Loyos?
Racs innocente e senza lavoro
La fabbrica dei mostri
Loyos picchiato dalla polizia per confessare il falso


3 pensieri su “Stupro della Caffarella e Quartaccio: l’accanimento giudiziario

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