Cosa è veramente accaduto quel 27 giugno 1980?
Paolo Persichetti
27 giugno 2010
A trent’anni dalla strage di Ustica è ancora guerra feroce. Lo «scenario bellico», che secondo una delle ricostruzioni – che attualmente appaiono più plausibili – avrebbe portato un missile lanciato da un aereo militare occidentale a colpire la sera del 27 giugno 1980, il Dc9 dell’Itavia deflagrato in volo (si parla anche di un razzo ad implosione) e poi inabissatosi tra le isole di Ponza e Ustica con 81 persone a bordo, si è tramutato in una pluridecennale guerra di depistaggi, ipotesi e ricostruzioni contrapposte che pezzi d’apparato, gruppi di potere, gangli delle istituzioni hanno cominciato a scagliarsi l’uno contro l’altro già dalle prime ore che hanno seguito la tragedia.
In questa babele di verità e ragion di Stato contrapposte, il presidente della Repubblica è intervenuto con un messaggio indirizzato alla presidente dell’Associazione parenti vittime della strage di Ustica, senatrice Daria Bonfietti, ricordando come «i processi sin qui celebrati non hanno consentito di fare luce sulla dinamica del drammatico evento e di individuarne i responsabili», auspicando per questo «il contributo di tutte le istituzioni a un ulteriore sforzo per pervenire a una ricostruzione esauriente e veritiera di quanto accaduto, che rimuova le ambiguità e dipani le ombre e i dubbi accumulati in questi anni». Chi ha voluto leggere nelle prudenti parole di Napolitano una replica alle dichiarazioni del sottosegretario alla presidenza del consiglio Giovanardi, che ha provato a rilanciare, a nome del governo, la tesi dell’esplosione interna e dunque della bomba a bordo, è rimasto deluso. In effetti Napolitano non cita solo la mancata individuazione dei responsabili, ma anche la mancata chiarezza sulle dinamiche, nonostante sul piano processuale sia stata accertata l’infondatezza dell’esplosione a bordo e quella del cedimento strutturale, madre di tutti i depistaggi.
Per questo ragione Giovanardi ha dichiarato di «condividere» l’appello del Quirinale, aggiungendo che «fra le opacità non possono essere annoverati i comportamenti degli uomini dell’Aeronautica militare italiana». Priorità dell’attuale governo, infatti, è difendere il comportamento omertoso della lobby militare, il cinismo in stellette della ragion di Stato che ha portato i vertici militari a distruggere prove, far sparire i registri delle presenze nelle postazioni di controllo e i tracciati radar, tappare la bocca ai sottoposti che quella notte hanno visto cosa è accaduto in pieno Mediterraneo. Anche Giuliana De Faveri Tron, che perse la madre nella tragedia di Ustica, e che non fa parte dell’Associazione dei parenti presieduta da Daria Bonfietti, ha voluto ringraziare «il capo dello Stato per l’affettuoso messaggio» ma soprattutto il senatore Carlo Giovanardi, «per l’impegno profuso dal Governo nella ricerca di una verità troppe volte sacrificata a pregiudizi di parte». Ormai anche i familiari delle vittime sono lottizzati. Ci sono i governativi e gli antigovernativi. Il vittimismo divenuto uno dei repertori legittimi della politica non ha più un solo colore e si declina in forme partigiane opposte. Con la sua formula salomonica Napolitano ha evitato di prendere partito nella disputa delle “verità contrapposte”, ripiegando sulla retorica dei misteri.
Ma se la via che può portare alla verità va ormai cercata, come sembrano suggerire le parole del Presidente della repubblica, in quella sfera riservata dello Stato che Alessandro Pizzorno ha chiamato “nucleo cesareo della politica”, Napolitano dovrebbe usare ben altri toni e trarre ben altre conseguenze. Rosario Priore, giudice istruttore che ha condotto l’inchiesta, sostiene che dietro la «verità indicibile» sulla strage di Ustica vi sarebbe la politica estera mediterranea condotta dall’Italia in autonomia rispetto alle direttive Nato. Il nostro sostegno a Gheddafi, la guerra segreta con Francia e Inghilterra per l’influenza nel Nord Africa, l’intervento dei nostri piloti nei bombardamenti in Ciad, la rappresaglia francese contro i mig libici (autorizzati segretamente dall’Italia a sorvolare alcuni corridoi Nato non sorvegliati) che dovevano scortare Gheddafi. Rappresaglia che avrebbe involontariamente provocato la tragedia. Priore estende il suo paradigma interpretativo ben oltre la vicenda di Ustica per retrocederlo all’intera storia degli anni 70. Vicissitudini che troverebbero una spiegazione all’interno dei conflitti geopolitici: non quelli della guerra fredda ma tra rive opposte del Mediterraneo, rispolverando quelli che erano stati gli assi tradizionali del conflitto interimperialistico europeo del primo Novecento. Tuttavia più che un nuovo canone storiografico quello proposto sembra un’ennesima declinazione del paradigma dietrologico. La complessità evocata si perde in mille rivoli inconcludenti e contraddittori fino a diventare dissolvenza. Priore non fornisce alcuna prova decisiva, nessun fatto nuovo, ma chiede in qualche modo di affidarsi al principio autoritativo ricavato della sua esperienza. Di piste internazionali sulla strage di Ustica ne esistono diverse e sul piano logico tutte egualmente plausibili: da quella francese, indicata da Priore come la più certa, a quella statunitense. Ne esiste addirittura una israeliana (l’aviazione di Telaviv avrebbe voluto colpire un velivolo francese che portava uranio arricchito in Iraq).
Tuttavia il motivo per cui oggi alcuni settori dello Stato, di cui il giudice Priore si fa portavoce, privilegino apertamente la pista francese non è dettato dall’emergere di circostanze nuove. Si tratta piuttosto di una vecchia ossessione portata avanti fin dalle inchieste sulla lotta armata. Secondo l’ex giudice istruttore del pool antiterrorismo della Capitale le insorgenze armate apparse nell’Italia degli anni 70 avrebbero trovato complicità culturale e aperto sostegno materiale nelle autorità parigine. Quella somma di fattori che presero forma nel dopoguerra, congelando per lungo tempo il sistema politico italiano fino a renderlo privo d’alternanza per 49 anni, una fissità di sistema che secondo la sociologia più avvertita non poteva che facilitare l’apparizione di spinte rivoluzionarie in presenza di una potente tradizione sovversiva e di condizioni sociali ed economiche particolari, contesto riassunto nella formula dell’«anomalia italiana», si capovolge nel suo contrario: l’«eccezione francese». In Intrigo internazionale, Chiarelettere 2010, la Francia viene dipinta come un «santuario del terrorismo», una centrale che avrebbe sistematicamente promosso la destabilizzazione della democrazia italiana. L’obiettivo preso di mira è la cosiddetta «dottrina Mitterrand»: Ancora prima della caduta del muro di Berlino, Parigi sarebbe stata un vero incrocio d’intrighi internazionali, sostituendosi a Washington e Mosca nel ruolo di piattaforma destabilizzante dell’Italia. Un asse socialdemocratico, guidato da Mitterrand, avrebbe tentato di giocare il ruolo della “terza forza” tra le due maggiori potenze, destabilizzando volutamente la penisola italiana grazie alla protezione offerta ai militanti della lotta armata.
Deciso a seguire le tracce de l’abbé Augustin Barruel, il giudice Priore trasforma il vecchio istituto di lingue Hyperion in una nuova loggia degli Illuminati di Baviera. «Con ogni probabilità – aveva affermato in precedente pubblicazione nella quale anticipava le tesi esposte in Intrigo internazionale * – il cervello parigino è esistito. In accordo con le istituzioni di questo paese, come fu provato dalle inchieste romane, esercitava una funzione d’assistenza e di controllo, quando non agiva come una guida, nel mondo eteroclita della sovversione politica. E’ a Parigi che hanno luogo questi grandi incontri di forze venute dai quattro angoli del pianeta[…] Quella che potrebbe apparire una semplice riunione tra amici, si rivela, in realtà, una macchina efficace diretta da istanze istituzionali, e serve a distribuire armi, individuare luoghi dove nascondersi e prepararsi, suddividere le risorse finanziarie[…] si tratta del luogo in cui si decidono il livello dell’attacco, il grado delle tensioni e, conseguentemente, quello della destabilizzazione, cioè quello dell’indebolimento di paesi o intere zone, in diversi continenti[…] Si può pensare molto seriamente – numerosi indizi conducono in tal senso – che un terzo giocatore sia intervenuto: un asse europeo guidato dalla Francia, ancora presente nello scacchiere mondiale. Questo asse si presentava come una terza forza, accanto all’ideologia capitalista dell’Ovest e all’ideologia comunista dell’Est. Un asse a forte dominante socialista, al quale avrebbero sicuramente cooperato i paesi scandinavi, con la Svezia di Olof Palme in testa, la Germania e l’Austria guidate da socialdemocratici, oltre ad Israele, governata dalla sinistra. Senza dimenticare i grandi paesi non-allineati, a cominciare dalla Iugoslavia, che fin dagli anni 40, ha condotto una propria strategia indipendente nello scenario europeo e svolto un ruolo fondamentale nello sviluppo di conflitti all’interno di diverse regioni italiane».
Quando la storia si trasforma in noir, il racconto può avvalersi di facili licenze narrative e trascurare persino il rigore cronologico degli eventi, fino a dimenticare che negli anni 70 la Francia era sotto la presidenza di Giscard D’Estaing e Palme arriva al governo nel 1982. Lo scenario proposto dall’ex giudice istruttore è privo di pudore e richiama il vecchio mito fascista del complotto pluto-giudaico-massonico, con l’aggiunta questa volta di una componente socialista giustificata dalla presenza della Iugoslavia. Un agglomerato assai fantasioso che mette insieme Paesi con politiche estere, attività d’influenza e d’intelligence in netto contrasto strategico, in fortissima competizione e aperto conflitto tra loro.
* Che cosa sono le Br, Franceschini-Fasanella, Rizzoli 2004
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Strage di Ustica, quando Giovannardi fu sputtanato da wikileaks
Leggo che vengo citata a riprova della lottizzazione dei parenti delle vittime di Ustica. Vorrei precisare che sull’incidente di Ustica non ho costruito una carriera politica come la Senatrice Bonfietti, nè ho amici o parenti nell’ Aeronautica Italiana. Trovo che le indagini vadano fatte a TUTTO CAMPO sul serio, e invito il redattore dell’articolo ad informarsi del tipo di risarcimento MILIONARIO che le vittime e ITAVIA potrebbero richiedere allo Stato Italiano in caso di attacco o “azione di guerra” rivolto al DC9 di Ustica, e che non sarebbe previsto in caso di esplosione a bordo o altro. Dietro questa battaglia contro l’aeronautica c’è soltanto, come sempre, interesse economico e non desiderio di verità, ed è questa strumentalizzazione che mi indigna e mi porta a prendere le distanze dall’associazione parenti vittime di Ustica.Non voglio usare la morte di mia madre per fare soldi, tutto qui. Grazie dell’attenzione.
Gentile signora Giuliana De faveri Tron,
quanto Lei scrive nella sua precisazione conferma in realtà quel processo di “lottizzazione politica” che ormai ha fatto dei familiari delle vittime una delle risorse impiegate dalla politica istituzionale (per essa intendo le diverse componenti di governo e d’opposizione) per legittimare le proprie posizioni.
Questa pluralità d’altronde appartiene alla normale fisiologia del mercato politico democratico. Certo è che nel momento in cui una posizione etica, come quella precedentemente impersonata dal discorso vittimario, scende sul terreno dell’arena politica per fornire una propria legittimazione morale alle diverse ipotesi in campo perde inevitabilmente lo status di super partes per divenire una posizione tra le altre.
Ha completamente ragione, invece, quando sottolinea che la posizione vittimaria si è trasformata nel tempo in una sorta di professionismo del vittimismo che è servito a taluni da trampolino di lancio per avviare carriere politiche e/o mediatiche.
Le ricordo invece che fu proprio l’iniziale intenzione di circoscrivere a tutti i costi l’inabissamento del volo Itavia ad un cedimento strutturale una prova del tentativo di evitare indagini a tutto campo.
La sua posizione è paradossale poiché tenta di rovesciare la realtà storica dei fatti. C’è voluto molto tempo perché si cominciassero ad esplorare seriamente altre ipotesi e piste. Nel fratempo i depistaggi, l’omertà mafiosa di chi sapeva, in primis i vertici dell’Areonautica, del governo e dei Servizi, hanno allontanato se non cancellato molte delle tracce, prove e indizzi.
Anche l’ipotesi dell’esplosione interna non ha mai trovato i riscontri tecnici necessari. Le perizie hanno tutte dimostrato l’assenza di tracce d’esplosivo presenti all’interno del mezzo e i reperti dell’areomobile mostrano tutti una deflagrazione la cui onda d’urto proviene dall’esterno.
Carenti sono anche gli eventuali moventi a sostegno di una simile ipotesi.
Al contrario le tracce radar mostrano l’inquietante affollamento che circondava il Dc9, e la manovra d’attacco dei misteriosi aviogetti di cui si sa solo che appartengono a forze Nato.
Si parla dell’uso di missili a implosione.
E’ probabile, come scrive lei, che possa anche esserci una posta in gioco economica che tuttavia mi appare più che legittima. La compagnia Itavia venne chiusa per un fatto di cui non aveva nessuna colpa. Le vittime civili hanno comunque diritto ai risarcimenti previsti dalla legge qualunque sia lo scenario individuato: attenato terroristico e danno collaterale di guerra.
Insomma il suo non mi sembra un argomento felice.
Piuttosto colpisce il fatto che lei privilegi la tutela della memoria di uno stato maggiore militare, un covo di generali felloni abituati a sprezzare la vita dei civili che nelle loro scuole di guerra vengono considerate solo “danni collaterali” dei bombardamenti aerei, e non quella di sua madre.
Una sorprendente circostanza che forse può trovare una ragione solo nei meandri della psicanalisi, non certo in quelli della storia.
Paolo Persichetti
Caro Paolo Persichetti, forse non le è risultato chiaro il fatto che io non intendo tutelare la memoria dell’aeronautica militare italiana, anche perchè non spetta a me. Inoltre penso sarebbe interessante e salutare per tutti noi riflettere su cosa si intenda per tutela della memoria dei propri morti. La ringrazio per la sollecitudine riguardo alla memoria di mia madre, che tuttavia non ne ha bisogno, in quanto quello che ha lasciato a noi è l’esempio della sua vita, e non la disgrazia della morte. La ringrazio per avermi voluto rispondere. Cordialmente G.de’ Faveri Tron