mercoledì 1 febbraio 2012
La voglia d’oblio. Il tentativo di restare anonimi, di nascondersi tra le rughe del passato sperando di poter cancellare la propria storia. A Marcello Basili, oggi professore associato di Economia politica presso l’Università di Siena, il passato pesa come un macigno.
Nel 1982 fu arrestato per appartenenza alle Brigate rosse, brigata di Torre spaccata. Non attese molto per pentirsi. Vestì subito i panni del collaboratore di giustizia e da bravo «ravveduto» si adoperò nell’arte dell’autocritica degli altri scaricando sui suoi coimputati accuse e chiamate di correo. Mentre parlava molti dei suoi ex compagni venivano torturati con le stesse modalità impiegate da quel Nicola Ciocia, alias professor De Tormentis, capo di una squadra (i cinque dell’Ave Maria) specializzata negli interrogatori con l’acqua e sale, la tecnica del waterboarding impiegata per estorcere dichiarazioni.
Il pentito che vuole farsi dimenticare
Scrive Giovanni Bianconi sul Corriere della sera di oggi, 1° febbraio, che Basili ha chiesto attraverso il suo avvocato che il suo passato di militante della lotta armata sia cancellato dagli archivi telematici, invocando la legge sulla privacy e il «diritto all’oblio» per «non vedere incrinata o distrutta la propria riconquistata considerazione sociale».
Questione seria quella del diritto all’oblio che avrebbe meritato ben altro dibattito ma che appare del tutto inappropriata in casi come quello di Marcello Basili o di Nicola Ciocia.
Sempre secondo quanto rivela il Corriere, Basili si è rivolto al Centro di documentazione della Fondazione Flamigni intimando di eliminare il suo nome dagli indici e comunicando di opporsi «al trattamento dei dati» connessi ai suoi trascorsi sovversivi. Precedenti che, sostiene sempre l’insegnante universitario, «appartengono ormai al passato, sono già stati resi noti all’epoca e hanno perso quel carattere di attualità che ne potrebbe giustificare l’ulteriore pubblicazione».
A dire il vero la Fondazione Flamigni andrebbe stigmatizzata per altre ragioni, essendo il più grande collettore delle teorie del complotto, la più grande banca dati della menzogna storica sulla lotta armata per il comunismo.
Ma torniamo a Basili: se i dati in questione fossero impiegati con uno scopo discriminatorio, il docente dell’università di Siena avrebbe tutte le ragioni per lamentarsene. Tuttavia non sembra, fino a prova contraria, che Basili ne abbia ricevuto fino ad oggi un qualche svantaggio. I reati per cui subì un processo e la condanna prevedono, per chi non collabora con la giustizia, oltre ad una lunga reclusione in carceri speciali anche l’interdizione automatica dai pubblici uffici una volta terminata la pena.
Basili al contrario, grazie allo status di pentito che gli ha permesso di esportare ogni responsabilità sulle spalle altrui, mandando in galera altri, ha avuto da parte dello Stato un trattamento di tutto favore: una reclusione breve e l’interdizione venuta meno. Circostanze che gli hanno consentito di svolgere una brillante carriera universitaria mentre i suoi compagni di brigata erano, e in alcuni casi sono tuttora, in carcere.
Certo Basili potrebbe ricordare le tante amnesie e rimozioni che hanno avvolto e avvolgono le biografie dei molti padri della patria, la lunga fila di redenti con militanze giovanili infrequentabili che riempiono i ranghi della prima e della seconda Repubblica, compreso il nostro attuale capo dello Stato. Ma l’essersi buttato pentito, purtroppo per lui, non gli dà comunque il diritto di vantare un posto di prima classe sul carro dei vincitori.
La storia non si imbavaglia e tantomeno si rimuove: si elabora
La richiesta avanzata da Basili, anche se ha qualcosa di abietto, non deve tuttavia sorprendere più di tanto perché resta coerente con quella cultura del ravvedimento contenuta nella legislazione premiale introdotta dallo Stato per fronteggiare i movimenti sociali sovversivi. Nel corso degli anni 80 e 90 pentiti e dissociati ricevettero il mandato di amministrare la memoria degli anni 70, scritta e divulgata attraverso un fiume di delazioni, ricostruzioni ammaestrate e testimoninaze ammansite.
La magistratura, che ha gestito in Italia lo stato di emergenza, si è servita di questo personale fatto di ex militanti ravveduti e collaboranti trasmettendo loro un irrefrenabile sentimento d’impunità che oggi porta quelli come Basili, o i funzionari di polizia addetti al lavoro sporco come Ciocia, privi del coraggio delle loro idee e delle loro azioni, a pretendere che la storia resti muta, senza traccia del loro passaggio.
Questa richiesta di trasformare un passato pubblico in un fatto privato è la conseguenza anche di quel processo di privatizzazione della giustizia che ha portato nell’ultimo decennio magistratura e sistema politico a delegare, sovraccaricare sulle spalle delle parti civili, la gestione della sanzione penale nei confronti dei prigionieri politici.
Il torturatore di Stato che continua a nascondersi
Esiste un parallelo tra l’atteggiamento di Marcello Basili è il comportamento di Nicola Ciocia, già funzionario dell’Ucigos e capo del gruppo di torturatori che per tutto il 1982 (ma anche prima per sua stessa ammissione, vedi il caso di Enrico Triaca nel maggio 1978 e ancora prima quello di Alberto Buonoconto nel 1975), ha imperversato tra caserme, questure e chiese sconsacrate d’Italia praticando l’acqua e sale contro persone arrestate con imputazioni di banda armata.
Questo signore, ora pensionato settantasettenne, nonostante sia stato chiamato in causa da un suo collega (Salvatore Genova), nonostante diversi articoli e un libro recente che ne hanno raccontato l’attività di seviziatore agli ordini dello Stato, indicandolo sotto l’eteronimo di professor De Tormentis, copertura sotto la quale lui stesso ha riconosciuto a mezzabocca le sevizie commesse, pur non rischiando più nulla sul piano penale non vuole venire allo scoperto.
Recentemente, dopo un esposto inviato all’ordine, il suo nome è scomparso anche dall’albo degli avvocati napoletani (attività a cui si era dedicato dopo aver lasciato il ministero dell’Interno con la qualifica di questore), dove compariva regolarmente fino a poche settimane fa.
Di “Nicola Ciocia-De Tormentis” ci siamo diffusamente occupati in questo blog (per gli approfondimenti rinviamo ai diversi link) e continueremo a farlo ancora. C’è infatti molto da raccontare: dall’organigramma delle torture, alla filiera di comando, al decisivo ruolo di copertura svolto dalla magistratura fino ad un illuminante dibattito sull’opportunità del ricorso alla tortura e sulla particolare forma di stato di eccezione che si è avuto in Italia sul finire degli anni 70. Discussione che si è tenuta alcuni anni fa sui maggiori quotidiani italiani.
La vicenda Basili-Ciocia (alias De Tormentis) dimostra come l’Italia abbia dato forma ad un singolare paradosso: alla memoria storica svuotata dei fatti sociali è stata sostituita la memoria giudiziaria; all’oblio penale si è sovrapposto l’oblio dei fatti sociali. Così un decennio di speranze e di lotte è divenuto l’icona del male contemporaneo, un simbolo negativo che cristallizza odii e risentimenti, sofferenze e malintesi.
Per saperne di più
Le torture contro i militanti della lotta armata
http://www.facebook.com/notes/davide-steccanella/caro-professore-mb-la-storia-non-si-oblia-by-stecca/10150523147882562
Pingback: Cosa accomuna Marcello Basili, pentito della lotta armata e oggi docente universitario, a Nicola Ciocia (alias professor De Tormentis), ex funzionario dell’Ucigos torturatore di brigatisti? « Polvere da sparo
Mi dispiace che abbiate avuto dei “compagni” così… 😦
dici che “la Fondazione Flamigni andrebbe stigmatizzata per altre ragioni, essendo il più grande collettore delle teorie del complotto, la più grande banca dati della menzogna storica sulla lotta armata per il comunismo.”
Su questa frase c’è una sola cosa parzialmente giusta, ovvero che la fondazione è una grande banca dati, ma certamente non è la più grande. I documenti che trovi all’Archivio Flamigni li trovi e li puoi consultare, (per intercessione di qualche Santo in Paradiso), anche nei centri documentali della Camera e del Senato della Repubblica, nonchè nei vari tribunali o procure d’Italia, come ad esempio quelli relativi alle diverse commissioni di inchiesta svoltesi nel nostro Paese.
All’Archivio puoi trovare libri, saggi e quant’altro sia stato scritto riguardante la politica, i movimenti e le associazioni affaciatesi nello scenario politico-sociale italiano ma non solo. Molto materiale riguarda il terrorismo e le stragi. Ma la cosa forse scomoda è che ne permette la consultazione, ovviamente nei limiti e nel rispetto delle norme di tutela. Se esiste qualche menzogna in tali carte, dovresti “stigmatizzare” chi le ha scritte, non certo chi le conserva (e aggiungerei “a proprie spese!”), altrimenti dovresti “stigmatizzare” ogni biblioteca, libreria, e perchè no, l’Archivio di Stato, visto che molta della documentazione posseduta in copia è presente anche lì.
Secondo me le cose da stigmatizzare sono altre, ad esempio il fatto che un ex-brigatista faccia il professore universitario e pretenda di cancellare la sua “brutta storia” dal ricordo degli archivi e soprattutto di internet.
Ribadisco quanto scritto sulla Fondazione Flamigni senza togliere nemmeno una virgola, anzi se vuoi te lo sottolineo, ci metto il grassetto e pure il rosso. La Fondazione che difendi (e per la quale forse lavori pure, leggo infatti che sei il webmaster del portale della Rete degli archivi per non dimenticare finalizzato (sic!) a promuovere una storia condivisa, cioè embedded… invece la storia, guarda un po’, è bene che resti aperta e plurale) non porta il nome di Marc Bloch o di Walter Benjamin che avrebbero avuto orrore della vostra iniziativa, ma quello di Sergio Flamigni, che non è certo un nome neutro ma al contrario pieno di significato: quello della dietrologia, delle teorie del complotto più ossessive e astruse che in barba a qualsiasi logica, buon senso e inesorabile smentita dei fatti, si ostina a sostenere tesi dimostratesi col passar degli eventi, delle mode e delle maggioranze, non solo infondate o peggio ridicole, ma addirittura reversibili. Insomma Flamigni è stato uno dei maggiori intossicatori della verità. Tutti i suoi libri sono stati inesorabilmente smentiti senza che il povero senatore abbia mai avuto il coraggio e l’onestà intellettuale di prenderne atto. Tutte le teorie del complotto contengono una logica paranoica, un divenire circolare che resta chiuso e insensibile ad ogni verifica. La smentita, al contrario funziona come un’ulteriore riprova del complotto demoniaco che cela la verità rivelata.
Aver messo in rete i vari centri di documentazione e archivi distribuiti nel territorio è in via teorica, come soluzione tecnica, una buona cosa. Ma la domanda che si pone é: chi decide? Chi accetta i nuovi ingressi e la catalogazione dei materiali? Ho letto i nomi del vostro comitato scientifico, lasciano molto a desiderare. «Chi controlla il passato controlla il futuro; chi controlla il presente controlla il passato».
Le categorie che voi utilizzate non sono per nulla neutre, parlate di terrorismo al posto di violenza politica, mettete in un unico calderone stragi, mafia, lotta armata, movimenti come se tutto possa essere unito da un’unica narrazione.
Guarda caso l’iniziativa prende le mosse dall’istituzione della giornata della memoria delle vittime del terrorismo del 9 maggio, momento di massima espressione di quella memoria di Stato di cui siete degli acritici e zelanti diffusori.
Torno su Flamigni che è stato il massimo diffusore delle teorie del complotto per spiegare le insorgenze rivoluzionarie degli anni 70 (non il teorico però, merito che va riconosciuto al professor Giorgio Galli). Un atteggiamento che assomiglia molto a una sorta di malattia della conoscenza, una incapacità ontologica che impedisce di accettare non solo la possibilità, ma la pensabilità stessa che dei gruppi sociali (siano stati essi grandi o piccoli non importa; come non importa ora un giudizio di valore di natura etico-politica) possano aver concepito e tentato di mettere in pratica una via rivoluzionaria.
La dietrologia, il cospirazionismo, hanno come essenza filosofica un atteggiamento negazionista verso la capacità del soggetto di agire, pensare in piena autonomia secondo interessi legati alla propria condizione sociale, ideologica, politica, culturale, religiosa, di genere…
C’è una terribile idea di sovradeterminazione geopolitica, divina o del maligno, a seconda delle epoche, che non riconosce ai soggetti, quindi alla specie umana, questa possibilità. Siamo alla diminuzione della specie. Un ritorno all’epoca prekantiana, all’uomo sovradeterminato da una potenza trascendente.
Quanto scrivi alla fine del tuo commento è molto significativo. Non c’entra nulla con la pretesa del pentito Marcello Basili, che è roba vostra, uno che è rientrato nei vostri ranghi, un ravveduto coccolato dalle leggi speciali dello Stato che Sergio Flamigni sostenne e votò col suo partito, dunque tenetevelo. In fondo gli mostrate poca gratitudine, l’avete utilizzato e ora lo abbandonate a se stesso. Un po’ di gratitudine dovreste concedergliela visto la gente che vi ha consegnato.
Sostieni invece che un’ex brigatista, in quanto ex brigatista, cioè una persona che ha finito di scontare la sua pena, non può fare il professore universitario. Un argomento esemplare, della stessa natura delle leggi razziali con le quali il regime fascista pretese che una determinata categoria di cittadini venisse esclusa per quello che erano, in questo caso sono stati, dalla vita pubblica e civile. Si chiama tipologia d’autore. Complimenti, sei in buona compagnia.
Il diritto in dottrina e nel codice penale vigente prevede l’oblio giudiziario che è altra cosa dall’oblio storico. Voi e Basili siete molto simili: confondete le due cose. Siete l’uno lo specchio dell’altro.
Paolo Persichetti, condannato per appartenenza alle Br-Udcc
Hai scritto un poema ma non hai capito il concetto, forse mi sono espresso male. L’Archivio, in quanto tale, è un centro di raccolta di documenti. Tu esprimi dei giudizi in merito ai contenuti dei libri del Senatore, ed è un tuo diritto certo, puoi condividere o meno. Io i suoi libri non li ho manco letti, mi interesso di tutt’altro nella vita e nel lavoro. Ma per il resto secondo me non ci hai preso. L’archivio è lì per chi vuole accedere ai documenti, non “diffonde” bensì “conserva”. La storia poi può essere interpretata, ma di certo non dimenticata. Il compito degli archivi da sempre è quello di conservare “per non dimenticare”. E’ compito degli storici e dei comitati scientifici quello di approfondire e studiare le carte per cercare di capire. Poi i risultati possono essere condivisibili o meno. Piuttosto mi sembra che tu abbia un sacco di idee preconcette, ma vista la mia ignoranza storica e politica non saprei nemmeno collocarle. Ma è solo una mia opinione.
Dimenticavo, non lavoro per l’archivio pur avendo scritto qualche pagina per il sito della rete.
Marco Brizi, consulente informatico.
E’ buona regola prima di addentrarsi in discussioni o commenti conoscere l’argomento di cui si vuole parlare, documentarsi quel minimo necessario. Diceva Gigi Proietti: “Si le cose nun le sai, salle!”. Dunque giovanotto facciamo una cosa: rivediamoci a settembre!
Distinti saluti
…complimenti per come l’hai chiusa la discussione! Io non mi sono addentrato proprio in niente, perchè non è il mio campo e lo ho chiaramente dichiarato, ho solo detto che la storia non può e non deve essere “mai” dimenticata, tantomeno modificata se non ci piace. Evidentemente per te non è così, pazienza, me ne farò una ragione! E poi, essere rimandato a settembre da uno che la pensa come te non può fare che piacere.
Ciao e alla prossima.
A modificare la storia, anzi a stuprala si è già abbondantemente dedicato Sergio Flamigni, uno che quando Germano Maccari riconobbe di essere stato il quarto uomo di via Montalcini, e che quindi non esisteva il misterioso emissario dei servizi, pur di non ammettere la sonora smentita si inventò che doveva essercene per forza un quinto…. uno che è andato in carcere a chiedere a Moretti di quale marca era il water chimico usato da Moro, convinto così di smascherarlo. La storia ridotta ad un cesso ecco chi è Flamigni.
Avevo detto settembre per darle una chance. Mi sbagliavo. Ci rivediamo l’anno prossimo.
Nicola Ciocia lo stesso nome a cui sono arrivato io incrociando qualche dato
Tana per il “combattente”
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Caro Marco scusa se mi intrometto ma del resto è una discussione pubblica quindi peggio per voi, ma sei stato tu ad obiettare le considerazioni di Paolo sulla fondazione Flamigni e lui ti ha mi pare spiegato le sue di ragioni per le quali ritiene che avere intitolato tale fondazione a quel nome sia per lui cosa nè buona nè giusta. Se tu però dici di sconoscere totalmente quel preciso periodo storico cui alla evidenza Paolo (vd. anche analogia con il professore in cerca di oblio) si riferiva con precisa indicazione delle tante dietrologie con cui il predetto Flamigni ha riempito libri e pubblicazioni a cominciare da quella idiozia patentata scusa tanto della sfinge Moretti (tale il titolo di un suo fortunato best seller) eterodiretto nel caso Moro, cosa poteva risponderTi di diverso il tuo interlocutore se non ne riparliamo quando deciderai di interessarti alla cosa informandoti ? Piuttosto sei TU a chiudere un pò inelegantemente la disputa con quel “da uno che la pensa come te non può fare che piacere” perchè puzza tanto di pregiudizio, Paolo Ti ha detto con apprezzabile sincerità e onestà cosa ha fatto e in cosa crede e non credo siano in tanti nel nostro paese a sapere fare così. Ciò posto il tema del pezzo era un altro e lo trovo stracondivisibile in entrambe le figure citate se questo Ti fa ritenere poco meritevole di considerazione anche il mio di pensiero pazienza. Un saluto Davide steccanella
Gentile Persichetti, può spiegare come quegli anni possano essere definiti ” un decennio di speranze e di lotte”?
Che qualcuno sognasse che sparando e anche ammazzando si potesse fare una rivoluzione è ben possibile ma di speranza non ne ho mai sentito neppure l’eco allora.
Anche l’idea che sparando e ammazzando si “lottasse” mi sembra possibile che qualcuno potesse pensarlo ma, di nuovo, furono azioni spontaneamente percepite come semplicemente criminali dalla quasi totalità della popolazione e sottolineo spontaneamente.
Lei mi dirà: fummo un corpo sociale che pensò di agire così e tant’è: sperammo e lottammo.
Non ne so abbastanza di sociologia, materia peraltro proteiforme e frequentata anche da soggetti tra il pittoresco e il deprecabile, ma fu un “corpo sociale” o una setta ideologica, poi diventate molte sette?
Ci sono studi sui profili psicologici e temperamentali dei terroristi (o come vuole chiamarli va benissimo)?
Come e perchè più di troppi imboccarono quella strada come scelta di vita personale al di là di giustificazioni politiche o ideologiche?
Il torturatore Ciocia, alla fine, per quanto ambiguo e pavido, si è attribuito il medesimo diritto di disporre delle vite dei singoli che aveva di fronte e delle quali aveva la disponibilità in nome di una sua ideologia e nascondendosi dietro la difesa dello stato.
Questo mi è sempre stato evidente al di là di ogni considerazione politica o ideologica, secondo lei c’è un errore in questo modo di capire le cose?
Cordialità