«Caro Lula, in Italia di ergastolo si muore»

Lettera aperta di un gruppo di ergastolani italiani al presidente brasiliano: «In Italia l’ergastolo è reale. Non estradare Battisti»

Paolo Persichetti

Liberazione 26 marzo 2009

Un gruppo di ergastolani reduci dallo sciopero della fame contro l’ergastolo, che per tre mesi e mezzo ha coinvolto a staffetta tutte le prigioni italiane, ha indirizzato una lettera aperta al presidente del Brasile, Ignazio Lula da Silva. Lo rende noto l’associazione Liberarsi che ieri ne ha diffuso il contenuto. Con questo gesto quei detenuti che sul loro certificato penale trovano la dicitura “fine pena mai” hanno voluto esprimere apprezzamento per un Paese che ha abolito l’ergastolo dal proprio codice penale. Nel testo, gli autori criticano senza mezzi termini quei giornali e soprattutto quegli esponenti politici che, ignorando «la storia, le storie e persino gli atti processuali», hanno per settimane ingiustamente raffigurato il Brasile come un postribolo da «terzo mondo, privo di una solida cultura giuridica, terra che custodisce latitanti e criminali internazionali». Un Paese che all’uscita degli anni bui della dittatura militare ha saputo fare quel salto di civiltà giuridica che mancò all’Italia dopo il fascismo. Dopo aver letto che una delle ragioni che potrebbero condurre le autorità brasiliane a rifiutare l’estradizione verso l’Italia di Cesare Battisti, l’ex militante della sinistra armata degli anni 70 che ha ottenuto lo status di rifugiato politico dal ministro della Giustizia Genro, viene proprio dal fatto che il Brasile rifiuta l’ergastolo, e senza per questo «voler entrare nel merito della vicenda», gli autori del testo ringraziano Lula «per aver ribadito un principio giuridico internazionale che dovrebbe essere un atto politico essenziale nella storia sociale dei popoli». In Italia – spiegano ancora gli autori della lettera – uno sciopero della fame che ha coinvolto migliaia di persone contro una pena socialmente eliminativa, «figlia giuridica della pena di morte, non fa notizia come il fatto che siano stati depositati alla corte di Strasburgo ben 739 ricorsi contro l’ergastolo». Per tutta risposta, invece, si stanno approntando «leggi che prevedono carcere e pene severe per immigrati, tossicodipendenti, prostitute e persino giornalisti». Tanto che le condizioni di sovraffollamento delle carceri italiane «come ha dichiarato in questi giorni lo stesso ministro della Giustizia, non rispettano il dettato costituzionale né il diritto alla dignità». Con questa iniziativa gli ergastolani vogliono far sapere alla comunità internazionale che in Italia la pena dell’ergastolo resta a tutti gli effetti una pena perpetua. La concessione della liberazione condizionale dopo il ventiseiesimo anno di reclusione, evocata ipocritamente dai nostri rappresentanti istituzionali, resta solo un’ipotesi sottomessa alla discrezionalità della magistratura e sempre più impraticabile a causa di una giurisprudenza restrittiva. Mentre la legge esclude, di fatto, tutti quelli che sono sottoposti al carcere duro. Di ergastolo si muore. Lula ora lo sa.

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