Report e il caso Moro, il silenzio di Ranucci e le rivelazioni di Pazienza

Ho posto ieri a Sigfrido Ranucci delle domande molto semplici a cui ha ritenuto di non dover rispondere convinto che la precedente smentita fornita all’Adnkronos fosse più che sufficiente.

La bugia di Ranucci

Ranucci sostiene che «La puntata gli è arrivata chiusa» è che il programma sia «stato realizzato in piena autonomia dal collega Paolo Mondani», senza alcun intervento da parte sua. 
Ranucci glissa sulla questione essenziale: non dice se c’è stato un contatto tra lui e Pazienza durante la preparazione del servizio, dice di non sapere chi sia Lovatelli Ravarino ma non smentisce il rapporto con Pazienza. Omette imbarazzato la vicenda e sposta il discorso altrove.

«Se abbiamo ricalcato la Commissione Moro 2 non possiamo aver depistato»
Siccome tra le critiche ricevute c’è chi gli ha fatto notare che non c’erano grandi novità nella inchiesta andata in onda, poiché questa «ricalca molto il lavoro della seconda commissione Moro», Ranucci ne ha concluso che non può «esserci stato alcun depistaggio». Lasciando intendere che il lavoro della commissione Moro 2 presieduta da Giuseppe Fioroni abbia dimostrato delle verità storicamente valide e incontestabili e non abbia fatto, come è accaduto, molta confusione, tanti errori, numerosi falsi, ignorando persino le conclusioni delle nuove perizie svolte dalla polizia scientifica e dal Ris dei carabinieri con l’ausilio delle più moderne tecniche forensi.
Ranucci si mostra impreparato sul tema poiché la Moro 2 non ha prodotto alcuna relazione conclusiva sulle indagini svolte, ma ha pubblicato tre relazioni annuali di natura provvisoria che riportavano l’andamento dei lavori. Tanto che uno dei suoi consulenti, l’allora magistrato ancora in attività Guido Salvini, profondamente frustrato per la chiusura anticipata della legislatura e la fine dei lavori della commissione, è riuscito a strappare un incarico ad personam dalla commissione antimafia istituita nella legislatura successiva per portare avanti il suo personale teorema, ripreso pedissequamente da Report (leggi qui).

Le verità contrapposte dei commissari della Moro 2
La mancata conclusione dei lavori con una relazione conclusiva, come già avvenne per la Pellegrino, ha spinto i diversi membri che vi hanno preso parte a pubblicare considerazioni personali in libri e interviste in forte contrasto tra loro (come per altro già avviene tra le varie pubblicazioni dietrologiche che si smentiscono reciprocamente) e che riassumiamo in tre sostanziali posizioni:

  1. La linea Fornaro-Gotor, ricalcata da Report e che in sostanza rilancia la tesi di una interferenza diretta delle forze atlantiche sulla vicenda (Usa-Nato-Inglesi-Israele-P2-Massoneria-Vaticano-Ior-‘Ndrangheta). Narrazione tanto cara all’ex senatore Flamigni ed elaborata per conto del Pci. Tesi che vorrebbe Moro rapito e ucciso per impedire una svolta democratica e progressista nella politica dell’Italia, «l’alleanza rivoluzionaria tra Dc-Pci» come l’ha definita Ranucci.

2. La linea Fioroni-Grassi del tutto ignorata da Report che invece attribuiva le interferenze nel sequestro all’asse geopolitico opposto, ovvero i Paesi del campo socialista (Urss-Rdt-Cecoslovacchia-Bulgaria-Vaticano-Nicaragua con tanto di palestinesi e Libia di Gheddafi con il Lodo Moro sullo sfondo).

3. La posizione condotta dall’allora onorevole Lavagno che ha criticato il metodo approssimativo, per tesi precostituite, portato avanti dalla commissione che ignorava sistematicamente le smentite interessata unicamente a dimostrare i propri pregiudizi complottisti.

L’invenzione della verità ufficiale e la menzogna del patto di omertà
Va detto che le due linee complottiste convenivano su un punto comune, ovvero che esistesse una fantomatica «verità ufficiale» espressa – a loro dire – nelle sentenze giudiziarie (4 processi con relativi gradi di giudizio più 5 inchieste) sommate al «memoriale» dei dissociati-collaboranti Morucci-Faranda, eletto a ricostruzione unica della vicenda, presentato come il frutto di un accordo, un patto di omertà reciproca tra Stato e Br, tra Dc e brigatisti tutti senza distinzione di sorta (in proposito leggi qui).

Si tratta dello schema narrativo costruito negli ultimi anni sulla vicenda e che anche Report ha riprodotto senza particolare originalità. Un schema che consente di presentarsi come i disvelatori di una menzogna pattuita, coloro che fanno riemergere una verità occultata. L’invenzione del «patto», la tesi che i brigatisti abbiano sempre sostenuto un verità che fosse sovrapponibile con la versione delle istituzioni è la prima grande falsificazione di questa narrazione sul sequestro Moro.

Chi conosce l’immensa mole documentale che riguarda la vicenda, chi ha letto le varie sentenze, sa – per esempio – che esse sono in contrasto tra loro, che ci sono errori e inesattezze nelle ricostruzioni dovute alle carenze informative e di indagine che si sono colmate nel tempo, ma mai del tutto, grazie alle successive inchieste e processi. Basti pensare alla dinamica dell’agguato di via Fani descritta nel primo processo e agli accertamenti successivi che l’hanno in parte corretta. O ancora, al numero spropositato di condannati per la partecipazione al sequestro che non corrisponde al numero ben minore dei reali partecipanti, o alle condanne per un fatto mai accaduto, come il tentato omicidio contro il testimone Alessandro Marini, un mentitore seriale alla fine smentito anche dalla Moro 2.

Un memoriale eletto a verità ufficiale
Non esiste una verità ufficiale monolitica, come al tempo stesso il cosiddetto memoriale Morucci-Faranda costruito attraverso il collage delle varie deposizioni fornite durante l’istruttoria e poi nei vari gradi di giudizio, con l’aggiunta finale dei nomi lì dove in precedenza erano stati indicati solo dei numeri (per ottenere ulteriori vantaggi nel trattamento penitenziario), rappresenta la ricostruzione di Moruci e Faranda non delle Brigate rosse, i cui partecipanti al sequestro hanno fornito nel tempo, attraverso libri, interviste, alcuni anche in sede processuale, la loro versione dei fatti. Una poliedricità testimoniale raccolta e ristudiata recentemente da diversi ricercatori che Report si è ben guardata dal consultare. La parola degli storici come quella dei protagonisti ancora in vita, brigatisti da una parte, poliziotti, carabinieri e giudici dall’altra, è l’unica assente nell’inchiesta.

Le versione di Pazienza
L’Adnkronos ha ascoltato anche Francesco Pazienza che ha smentito di esser stato contattato da Ranucci in occasione della inchiesta in preparazione su Report: «Avevo saputo solo – spiega – che (Report ndr.) doveva fare un servizio su Moro». 
Come lo avrebbe saputo non lo dice e sarebbe utile saperlo, visto che non lavora in Rai. Pazienza spiega di essersi mosso autonomamente, rivolgendosi a Lovatelli Ravarino per chiedergli notizie su una vicenda collegata al sequestro per «dare una mano». Nello scambio whatsapp con Lovatelli Ravarino, documentato dallo screenshot (vedi qui), scrive però «Ti contatterà Sigfrido Ranucci se mi dai l’ok per dargli il tuo numero». Lovatelli lo autorizza.

Le rivelazioni di Dark Side

Non vorremmo essere troppo puntigliosi ma l’espressione «Ti contatterà» lascia intendere che ci sia stato un pregresso accordo con Ranucci o comunque l’intenzione di contattarlo immediatamente. Di questo parleremo meglio in una prossima puntata, per ora limitiamoci ad una grossa novità emersa ieri nel corso di una nuova intervista a Pazienza trasmessa sul sito di Dark Side, un format complottista che si occupa della «storia segreta d’Italia», curato da Gianluca Zanella, agente letterario che ha promosso il libro, La versione di Pazienza, scritto da Pazienza stesso, e si occupava di inchieste sul Giornale.it insieme al suo amico Marcello Altamura, giornalista su Cronache di Napoli e in passato sul Giornale, autore di un libro su Maradona e di uno su Senzani.
Nel corso della intervista, Pazienza ribadisce quanto già detto all’Adnkronos sul rapporto nato «un paio di anni fa» con Ranucci. Ma dal minuto 4 possiamo sentire (clicca qui):

«Conosco Ranucci da due anni e mezzo perché Ranucci scrisse alcune imprecisioni su di me, io gli dimostrai che quello che aveva detto era assolutamente contrario alla verità con documenti alla mano e lui molto onestamente rilasciò una dichiarazione Ansa in cui diceva chiaramente che era incorso in una imprecisione nei miei confronti. Da quel momento è nato un rapporto amichevole con Ranucci, è tutto qui né più né meno […] Adesso io non faccio la lista ma ci sono alcuni enormi scoop fatti dalla Rai che sono stati fatti grazie a me».

Zanella non incalza Pazienza, non gli pone subito la domanda giusta: quali sarebbero questi scoop e per quali trasmissioni della Rai li avrebbe forniti?

Ricapitoliamo
Pazienza conosce Ranucci da due anni e mezzo, si sono sentiti più volte. Ranucci è il conduttore di Report dal 2017 e vicedirettore di Rai Tre dal 2020.
Credo che tutti cittadini che pagano il canone Rai vorrebbero sapere quale sia la natura dei rapporti che intercorre tra Ranucci e Pazienza e quali scoop egli ha fornito alla Rai o a Report?

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3 pensieri su “Report e il caso Moro, il silenzio di Ranucci e le rivelazioni di Pazienza

  1. Caro Paolo su Moro non ce la faremo mai. Ormai la separazione fra la ricerca storica seria e una vulgata secondo la quale fra gli anni 60 e 70 in Italia non è successo nulla. Le brigate rosse non sono mai esistite, sono apparse nel 1978 e non dopo quasi dieci anni di attività militare. Moro non avrebbe fatto nessun governo con il PCI e infatti non lo era quello del 16 marzo. Ma ormai il livello è questo.

  2. La Verita’ e’ abbastanza chiara, ma bisogna cercarla tra i tanti libri pubblicati e le ricostruzioni fatte. A distanza di tanti anni continuano a rimestare la solita minestra, adesso con lo scoop di Via Massimi che si era gia’ sentito da Grassi e la sabbia nei calzoni di Moro con testimonianza ai tempi in merito della Balzarani. Continui il suo lavoro da storico sull’ argomento sperando che Albamonte le restituisca gli archivi.

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