Caso Moro, l’ossessione cospirativa e il pregiudizio storiografico

Qualche breve cenno bibliografico per districarsi con un po’ d’intelligenza tra i deliri complottistici e le menzogne costruite attorno alla storia del rapimento Moro

Libri – Marco Clementi, La pazzia di Aldo Moro (Rizzoli 2006, Rizzoli ora in BUR) Vladimiro Satta, Odissea del caso Moro. Viaggio controcorrente attraverso la documentazione della commissione stragi, Edup, Roma 2003, pp. 445, euro 16

Paolo Persichetti
Liberazione
domenica 28 settembre 2003

copj13-1-asp1Il tema della cospirazione ha dominato la letteratura storica dell’Italia recente. Concetti come “potere invisibile” o “Stato parallelo” sono entrati nel lessico corrente, ispirando ricostruzioni in cui la storia del dopoguerra viene interpretata unicamente come la trama oscura di un “doppio Stato”. Nel fitto intreccio di misteri e segreti intessuto da una fantasiosa pubblicistica, più vicina al mondo del romanzo giallo che a quello della ricerca socio-storica, il caso Moro più di ogni altro episodio ha alimentato la retorica del complotto. I primi segni di insofferenza nei confronti di questa vulgata dietrologica, che ha relegato la storiografia italiana contemporanea in una posizione periferica rispetto a quella di altri paesi europei, sono venuti da storici di scuola liberale come Giovanni Sabbatucci, “I misteri del caso Moro”, in Miti e Storia dell’Italia unita, Il Mulino 1999. Un risveglio storiografico che era stato preceduto dai sia pur parziali lavori di sociologia editi sempre dal Mulino nel corso degli anni 90, a cura di Raimondo Catanzaro e Donatella Della Porta. Ma la vera svolta è arrivata con il pionieristico lavoro di revisione storiografica realizzato da Marco Clementi, autore di una monografia sul rapimento Moro, La “pazzia” di Aldo Moro, Odradek 2001 (poi ristampato dalla Rizzoli). Storico di matrice culturale opposta a quella di Sabbatucci, Clementi evidenzia l’inconsistenza delle tesi del complotto architettato contro il Pci.
Questa giovane scuola storiografica si arricchisce oggi del fondamentale contributo fornito da Vladimiro Satta, documentarista del Senato incaricato 8817010359di seguire i lavori della commissione stragi dal 1989, Odissea del caso Moro, Edup 2003, euro 16,00. Fino ad oggi le tesi complottistiche si erano avvalse di una copiosa serie di analisi di dettaglio, di fatto poco accessibili e per questo al riparo delle molte possibili contestazioni. A ben guardare il vero mistero restavano le fonti dei teorici del mistero. Si pensi ai numerosi lavori pubblicati dall’ex senatore ad ex membro della Moro, Sergio Flamigni, che hanno largamente ispirato tutta la successiva narrazione dietrologica, fino al recente thriller Piazza delle cinque lune. Acquisizioni parziali, ricostruzioni lacunose, errori, manipolazioni, invenzioni, sentito dire, correlazioni arbitrarie, affermazioni ipotetiche, false equazioni, hanno nutrito per decenni le precostituite tesi cospirative. Mentre in passato la residua critica storiografica si era concentrata essenzialmente, attraverso il vaglio di inchieste altrui, sulle incongruenze logiche e la natura perfettamente reversibile delle tesi del complotto, il libro di Satta ribalta lo schema fornendo la più completa indagine documentale fino ad oggi disponibile. Accade così che gli esegeti della superstizione storiografica, gli alchimisti del complotto, i dietrologi di ogni natura e colore, 2566301esperti nell’arte di prevedere il passato, ne escano malconci. Grazie ad un sistematico e meticoloso lavoro di analisi e verifica documentale, vengono affrontate tutte le questioni irrisolte nonché le diverse tesi cospirative con relative varianti. Dopo aver passato al setaccio la pista atlantica, quella dell’Est e quella israeliana, l’autore conclude sulla decisione indipendente e sulla capacità autonoma delle Br nel rapire Moro.
Non trovano alcun riscontro, infatti, le tesi della “infiltrazione” durante il sequestro, né quella della “eterodirezione” (avanzata a suo tempo da Giuseppe Vacca) sia nella versione pregressa al rapimento che in quella successiva. Allo stesso modo sono prive di conferme la “teoria del doppio delitto” e quella del “doppio ostaggio”, cara all’ex presidente della commissione stragi, Giovanni Pellegrino.
Infinite sono le occasioni in cui la verità dei fatti viene ripristinata su aneddoti e dettagli che in passato, grazie al loro travisamento, erano divenuti pietre miliari del complotto. Valga per tutti l’episodio della doccia di via Gradoli, sul quale si è 9788806157395gcostruito per anni un edificio di strumentali congetture in continuo divenire. Sarebbe bastato osservare le foto della scientifica (da tutti trascurate) per constatare come il tubo della doccia fosse correttamente al suo posto e non disposto, come si è sempre maliziosamente postulato, in modo da provocare una volontaria perdita d’acqua (dovuta in realtà ad una banale quanto fatale dimenticanza del rubinetto aperto) che conducesse alla scoperta della base.eseguendo-la-sentenza Terminata la lettura del volume resta comunque in piedi una domanda: sarà sufficiente questo mastodontico lavoro di confutazione dettagliata e pignola per mettere a tacere definitivamente le tesi cospirative ed aprire la strada ad una matura stagione storiografica?
La risposta forse la si trova nello stesso volume di Satta (pp. 430). Infatti quando si appurò che il quarto uomo di via Montalcini, dove era stato nascosto Moro, non era affatto la tanto evocata “entità superiore”, il “livello occulto”, l’emissario di una potenza straniera”, ma “Gulliver”, al secolo Gennaro Maccari, ex militante di Potere operaio divenuto brigatista (si leggano in proposito la sua testimonianza raccolta da Giovanni Bianconi in, Mi dichiaro prigionieri politico. Storie delle Brigate rosse, Einaudi 2003; e Aldo Grandi, Il partito dell’insurrezione, Einaudi 2003), Sergio Flamigni sentenziò «se lui è il quarto uomo, allora erano cinque» (l’Unità 20 giugno 1996).
Purtroppo ci sarà sempre un uomo in più da scovare, mancherà comunque il personaggio decisivo, perché le teorie cospirative hanno un bisogno perenne di alibi che rendano le smentite ineffettuali. La retorica del complotto si alimenta di un pensiero circolare che rifiuta intromissioni perché prescinde dal fatto sociale. Per questo i modelli di cripto-storia non recepiscono la confutazione, ma introducono continuamente nuovi livelli di cospirazione. Benché decisivo per il rilancio della storiografia sugli anni 70, il libro di Satta rischia di restare isolato finché non si metterà mano ad una indagine che ricostruisca le matrici culturali ed i meccanismi ideologici che hanno consentito la diffusione delle teorie cospirative come spiegazione della realtà, facendone addirittura un elemento identitario della cultura di sinistra. E pensare che le moderne teorie del complotto hanno avuto origine in quell’abbé Barruel, esponente dell’emigrazione controrivoluzionaria che nel 1798 pubblicò un pamphlet sulle cause della rivoluzione francese spiegate attraverso il complotto ordito da logge massoniche infiltrate dai giacobini. Se non altro questo illustre precedente storico ci aiuta a capire quali sono gli schieramenti che si affrontano sui due lati della barricata.

Per saperne di più
La dietrologia nel rapimento Moro
Lotta armata e teorie del complotto
Doppio Stato e dietrologia nella narrazione storiografica della sinistra italiana – Paolo Persichetti
Doppio Stato? Una teoria in cattivo stato – Vladimiro Satta
La teoria del doppio Stato e i suoi sostenitori – Pierluigi Battista
La leggenda del doppio Stato – Marco Clementi
Italie, le thème du complot dans l’historiographie contemporaine – Paolo Persichetti
I marziani a Reggio Emilia – Paolo Nori
Ci chiameremo la Brigata rossa – Vincenzo Tessandori
Spazzatura, Sol dell’avvenir, il film sulle Brigate rosse e i complotti di Giovanni Fasanella Paolo Persichetti
Il caso Moro – Paolo Persichetti
Storia della dottrina Mitterrand – Paolo Persichetti

4 pensieri su “Caso Moro, l’ossessione cospirativa e il pregiudizio storiografico

  1. Mah…! Non saprei, ma è vero o no che il covo di via Gradoli era all’interno di un palazzo abitato da funzionari dei servizi segreti? E la famosa seduta spiritica? La storia della “seduta spiritica” in cui sarebbe saltato fuori il nome “Gradoli”, non può essere un timido tentativo, da parte di Prodi o qualcun altro “spiritista” presente, di far emergere qualcosa che aveva sentito da qualche parte?

    • Per quanto riguarda la seduta spiritica sarebbe il caso di rivolgere la domanda a Prodi. Non credi?
      C’è chi pensa che si sia trattato di una soffiata arrivata da ambienti dell’autonomia, in senso lato, che ruotavano attorno all’università di Bologna. Il mistero lo serba Prodi in ogni caso.

      Su via Gradoli invece non è vero nulla! Sulla vicenda è stata fatta già ampia chiarezza da tempo. Per un sunto rapido ma efficace si consiglia la lettura del libro di Vladimiro Satta, “Il caso Moro e i suoi falsi misteri”, Rubettino 2006, pp. 483-486.
      Tutto nasce da una classica operazione di intossicazione della verità costruita dal dietrologo Sergi Flamigni che in un libro, omettendo il fondamentale elemento cronologico, afferma che alcune soscietà di copertura del Sisde avevano stabilito rapporti con delle società immobiliari che gestivano, o avrebbero avuto la propietà di più appartamenti o interi immobili in via Gradoli.
      Tale rapporto, che venne alla luce negli anni 90 durante lo scandalo che investi l’uso improprio delle casse nere del servizio segreto civile, coinvolgendo anche l’allora presidentte della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro (massimo esponente – sempre all’epoca – del fronte antiberlusconiano; tanto per ricordare quali fossero gli schiaramenti), era però successivo alla vicenda Moro. Circostanza decisiva che Flamigni omette di citare.

      Punto uno
      L‘appartamento di via Gradoli 96, interno 11 scala A, venne affittato dalle Br nel dicembre 1975, quando fu costituita la colonna romana, con contratto intestato all’ingegnere Borghi (nome di copertura di Mario Moretti) ed abitato alternativamente dalla coppia Morucci-Faranda e successivamente ma per brevi periodi da Moretti e Balzerani (cf. anche il resoconto stenografico dell’audizione di Valerio Morucci davanti alla Commissione parlamentare presieduta dal senatore Pellegrino http://www.parlamento.it/service/PDF/…/DF/16053.pdfSimilar). Per altro Morucci nel suo “Ritratto di un giovane terrorista”, Piemme 1999, pp. 79-80 racconta di come già nel 1972, quando era il responsabile militare di Potere operaio, attraverso la struttura del “Lavoro illegale” (il braccio clandestino dell’organizzazione) che lui stesso aveva organizzato, ma era in procinto di passare con il gruppo di Feltrinelli, avesse preso in affitto nella stessa zona una garçonière con i soldi che gli aveva dato proprio Feltrinelli. Ciò a dimostrazione che la zona era ritenuta ideale per una base.
      Coproprietari dell’appartamento erano Luciana Bozzi e il marito Gianfranco Ferrero, (milanese, ingegnere dell’Ibm). Le indagini appurarono che fu Luciana Bozzi a firmare il contratto d’affitto con l’ingegner Borghi. La Bozzi era in stretti rapporti con Giuliana Conforto, nella cui abitazione di viale Giulio Cesare vennero arrestati nel maggio 1979 Valerio Morucci e Adriana Faranda.
      Le due donne gravitavano nell’area di Potere Operaio ed avevano avuto contatti politici con Franco Piperno, Lanfranco Pace.
      Il legame tra le due donne fu accertato già in un rapporto della Digos del 6 luglio 1979 nel quale si affermava che il loro incontro “risalirebbe al 1969, quando frequentavano il Centro Ricerche nucleari della Casaccia. Entrambe avrebbero avuto frequenti contatti con Franco Piperno, il leader di Potere operaio, all’epoca latitante”. La Digos di Roma concludeva: “Tali circostanze inducono a rivedere le vicende che hanno condotto le Br ad istallare i loro covi in via Gradoli e in viale Giulio Cesare, in quanto sembra non possano ritenersi casuali e senza alcun rilievo i rapporti che intercorrono tra le proprietarie dei due appartamenti”.
      Detta in altri termini, le due donne erano parte di un’area politica, all’occorrenza disposta a fornire sostegno logistico, che aveva seguito le evoluzioni di alcuni membri di Potere operaio contigui, solidali o confluiti poi nelle Br.
      Una evidenza questa che smonta alla radice le elucubrazioni complottistiche costruite da Sergio Flamigni (nel suo “Convergenze Parallele”), sulla proprietà reale dell’appartamento di via Gradoli e sulla carriera del marito della Bozzi, Gianfranco Ferrero. Nonostante ciò i teorici del complotto hanno continuato a fare finta di nulla evitando di integrare le smentite a ripetizione che sono piovute sulle loro asserzioni.

      Punto due
      Per quanto riguarda invece la supposta presenza nel civico 96 e/o negli immobili vicini di appartamenti di proprietà dei Servizi segreti all’epoca dei fatti, anche qui non sono emerse conferme. Come al solito la tecnica dell’insinuazione, cui ricorre solitamente Flamigni (essa consiste nell’adombrare dubbi, seminare il veleno del sospetto disseminando indizi, segmenti, circostanze del tutto parziali o incomplete, in questo caso la contemporaneità cronologica), appena sottoposta verifica ha fatto acqua da tutte le parti.
      Flamigni nel suo “Convergenze parallele” sostiene di aver scoperto che i Servizi avrebbero controllato o posseduto, per il mezzo di una complessa ragnatela di società di copertura, una serie di appartamenti e immobili in via Gradoli a ridosso, se non nello stesso civico 96.
      Ma una volta ricostruita questa rete di società si è accertato che le uniche due società facenti capo al Sisde, la “Gus” e la “Gattel”, coinvolte nello scandalo dei fondi neri del servizio segreto, furono costituite tutte in tempi successivi alla conclusione dell’operazione Moro: la Gus venne creata con decreto del presidente del Consiglio Giulio Andreotti solo il 1° giugno del 1978 e la Gattel addirittura nel luglio dell’80, per decreto dell’allora ministro dell’Interno Virginio Rognoni. La loro operatività è dunque largamente successiva ai fatti in questione. Basterebbe già solo questo per mettere fine ad ogni illazione, ma a Flamigni non va giù.
      L’attenzione dell’architetto della dietrologia sul caso Moro si sposta infatti su un’altra società: la Fidrev, che forniva consulenza finanziaria alla Gus e alla Gattel. Siamo già ad un rapporto indiretto che non dimentichiamolo nasce solo dopo il 79. Ora la Fidrev era a sua volta controllata dall’Immobiliare Gradoli. Come si vede il legame si diluisce ulteriormente ma per Flamigni non conta perché nel collegio sindacale dell’immobiliare Gradoli, e per quasi sei anni (ma dall’ottobre dell’88 all’aprile del ’94), era presente un ragioniere che successivamente è stato commercialista di fiducia dello Sisde.
      Attenzione alla date però: non solo il ragioniere (sic!) diventa commercialista del Sisde “successivamente”, cioè ben 10 anni dopo il rapimento Moro, ma entra nel collegio sindacale della immobiliare Gradoli solo due anni dopo che le Br avevano affittato la garçonière al civico 96, e molto dopo che i coniugi Bozzi-Ferrero l’avessero acquistata.
      Non si percepisce dunque alcun nesso con le società dei Servizi che non esistevano al momento ed entrano in scena, direttamente o indirettamente per il mezzo di alcune figure di secondo piano, anni dopo i fatti in questione.
      Non finisce qui, perché Flamigni edifica il suo castello sul fatto che l’Immobiliare Gradoli avesse come amministratore unico il socio fondatore della Caseroma srl, che a sua volta aveva sede proprio in via Gradoli 96, dimenticando che in ogni caso il nesso con i Servizi (la consulenza finanziaria) è sempre successivo alla conclusione della vicenda Moro e che stiamo parlando di due immobiliari che lavoravano in una specifica zona della Capitale, caratteristica per l’offerta di garçonière e residence ultrariservati, locazioni discrete dove professionisti e ceto medioalto cercavano riparo da occhi indiscreti, il più delle volte per scappatelle extraconiugali, e professioniste del sesso di altobordo avevano le loro alcove (cf. il clamore delle cronache per il caso Marrazzo).
      Quali che fossero a quel punto le proprietà immobiliari delle società in questione conta poco, visto che in ogni caso sarebbero successive al caso Moro. In ogni caso
      in un rapporto del 1998 l’allora direttore del Sisde non fu in grado di rintracciare quante abitazioni o stabili queste società avesserò posseduto sino alla loro liquidazione.
      L’unica fatto accertato riguarda il capo della polizia dell’epoca, prefetto Parisi, che risultò avere acquistato per sè e la famiglia, con atto [notarile] del 10 settembre 1979, un appartamento al civico 75 di via Gradoli e, successivamente, sempre al civico 75, altri due appartamenti e un box. Inoltre nel 1986 acquistò, intestandolo alla figlia Maria Rosaria, un appartamento sito al civico 96, e nel 1987 un altro appartamento sito allo stesso civico intestandolo alla figlia Daniela. Tutti in epoca successiva alla vicenda Moro e grazie evidentemente a quei rapporti stabiliti con le immobiliari in questione.

      In realtà tutta questa inutile dietrologia porta a pensare una sola cosa: ovvero al fatto che si sia diffusa una sorta di malattia della conoscenza, una sorta di incapacità ontologica che impedisce di accettare non solo la possibilità ma la pensabilità stessa che dei gruppi sociali, siano essi grandi o piccoli, non importa, come non importa ora un giudizio di valore di natura etico-politica, possano aver concepito e tentato di mettere in pratica una via rivoluzionaria. La dietrologia, il cospirazionismo hanno come essenza filosofica il negazionismo della capacità del soggetto di agire, pensare in piena autonomia secondo interessi legati alla propria condizione sociale, ideologica, politica, culturale, religiosa, di genere…
      C’è una terribile idea di sovradeterminazione geopolitica, divina o del maligno, a seconda delle epoche, che non riconosce ai soggetti, quindi alla specie umana, questa possibilità, tantomeno il diritto. Siamo alla diminuzione della specie. Un ritorno all’epoca prekantiana, all’uomo sovradeterminato da una potenza trascendente.

  2. io questo sito l’ho trovato per caso,e mi interessa leggerne alcune opinioni e punti di vista che effettivamente a volte mi sconcertano, a volte invece tendono a farmi vedere alcune cose in maniera diversa……
    Rimane comunque il fatto, come in questo articolo, che i brigatisti “veri” oggi tacciono, qui invece si tende ad omologare situazioni che solo i brigatisti potrebbero omologare, o analizzare o semplicemente raccontare……. resta il fatto che il brigatismo rosso in Italia è stato un affare molto serio e relativamente esteso, ma ha avuto delle incongruenze comunque serie e strane da credere che molte cose fecero comodo a molti.

  3. Che il terrorismo (come piace chiamarlo al Potere) sia scomodo e nello stesso tempo comodo al potere, è un fatto antico.

    Il Potere ha oggi ancora di più gli strumenti e i mezzi, di far volgere qualsiasi atto di lotta a suo favore. Come spostare l’attenzione di un governo non autorizzato guidato da un uomo di Goldman Sachs, di Banchitalia e BCE che stà finendo di fare a pezzi lo stato, la TAV è un ottimo devia attenzione, così invece che essere in 25.000 DENTRO a palazzo CHIGI, ci si sposta verso la Val di Susa. (Massima solidarietà al movimento NO-TAV).

    La lotta armata, come invece piace a me, chiamare quell’esperienza, è un fenomeno complesso da analizzare.

    Hanno tentato in tutti i modi di infangare il movimento e la lotta, lo fanno ancora oggi, cercando di criminalizzare per esempio Cesare Battisti, per un omicidio che non ha commesso, ma soprattutto, si tende facilmente a incolparlo anche per il figlio rimasto in carrozzina (il colpo alle sua gambe, fu sparato da suo padre, non da Battisti).

    Adoro questo blog, perchè finalmente si cerca di analizzare un periodo storico fondamentale per l’italia, che fa comodo ricordare come anni di piombo o periodo di terrore.

    Il terrore questi signori che ci governano ce lo portano da 70 anni nelle nostre case !

    To be continued…

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