Grecia, scioperi e proteste contro la «politica dei sacrifici»

I lavoratori dicono «no» al taglio secco di salari e pensioni chiesto da Fmi-Bce

Paolo Persichetti
Liberazione 27 aprile 2010


«Fmi go home», gridavano questo slogan i manifestanti che venerdì scorso hanno traversato le strade del centro di Atene per protestare contro l’annunciato coinvolgimento del Fondo monetario internazionale, insieme all’Ue, nel piano di salvataggio dell’economia greca. Austerità, taglio secco dei salari e delle pensioni, riduzione dei diritti dei lavoratori sono le misure choc richieste al governo guidato dal Pasok. La risposta nelle piazze non si è fatta attendere: scioperi, occupazioni di sedi istituzionali, mobilitazione generale. Lavoratori, precari, migranti non sono affatto disposti a pagare sulla propria pelle il prezzo del risanamento economico mentre l’altra metà del Paese sfugge alla crisi, protetto da un’economia sommersa che raggiunge il 25,1% del pil, specula, evade le tasse e s’ingrassa ancora di più grazie alla crisi, come dimostrano i picchi di rendimento, oltre il 9%, dei bond decennali.

Clima preinsurrezionale
Uno stato permanente di rivolta sociale si prolunga da oltre un anno, da quel 6 dicembre 2008 quando nel quartiere ateniese di Exarchia venne ucciso da un poliziotto il giovane Alexis. Scioperi generali, manifestazioni, occupazioni, scontri di piazza, azioni dirette si susseguono giorno dopo giorno. Syntagma, la piazza davanti al parlamento, è teatro continuo di contrasti violenti con le forze dell’ordine mentre scene di guerriglia urbana traversano le altre città.
Anarchici, nuova sinistra, gruppi studenteschi, comunisti ortodossi, base dei sindacati socialisti, la società greca giorno dopo giorno vede crescere il fuoco della rivolta mostrando forme di politicizzazione che non lasciano spazio al populismo e al qualunquismo, in netta controtendenza col resto d’Europa. La destra parlamentare gioca la carta della difesa dell’indipendenza nazionale contro la messa «sotto dipendenza della plutocrazia» del Paese, per fortuna senza grande successo.
Gruppi ultraradicali non esitano ad invitare al sabotaggio e all’esproprio facendo leva sulla rabbia di un ceto precario giovanile, «generazione perduta e derubata di futuro», come ha scritto Mike Devis. Si respira un clima preinsurrezionale che preoccupa non poco le cancellerie europee attente non solo a quadrare i conti, ma anche ai contagi sovversivi che possono traversare le frontiere. Lo scorso anno rapporti riservati dei renseignements francesi segnalavano il rischio che il Meltemi, il vento secco dell’Egeo, provocasse suggestioni e contaminazioni che possono estendersi a macchia d’olio e trovare nelle banlieues terreno fertile.
Ieri si è tenuto uno sciopero di 24 ore convocato dal maggiore sindacato del settore pubblico, Adedy, accompagnato da manifestazioni contro la decisione del governo di ricorrere agli aiuti Ue-Bce-Fmi. Anche i lavoratori del trasporto urbano hanno incrociato le braccia dalle 11.00 alle 17.00 paralizzando il traffico. Mancava all’appello l’altra grande confederazione del settore privato, Gsee, che ha chiesto una riunione al governo, tra il 23 e il 26 aprile, facendo dipendere da questa un eventuale sciopero e suscitando così le critiche e il sospetto di tradimento degli altri lavoratori. Le proteste di ieri coincidono con i colloqui della missione Ue-Fmi, rinviati a causa dell’emergenza provocata dalla nube di cenere del vulcano islandese, con cui Atene vuol definire le condizioni finanziarie ed economiche per un eventuale aiuto. Il ministro delle Finanze, Giorgio Papaconstantinou, ha avvertito che «non necessariamente le trattative culmineranno con un accordo», e ha detto che il governo non introdurrà nuove misure di austerity nel 2010. Affermazioni che non convincono molto i manifestanti.
Sempre ieri Il trasporto marittimo del porto ateniese del Pireo è stato paralizzato da uno sciopero. Nel frattempo alcune decine i militanti e sindacalisti comunisti del Pame hanno occupato il ministero del Lavoro, al Pireo, per chiedere un incontro con il ministro Andreas Loverdos. Gli occupanti, secondo quanto si è appreso, rappresentano i lavoratori del settore alberghiero.
La mobilitazione sociale ha raggiunto un tale livello che perfino i piloti militari hanno deciso di scendere in agitazione attuando uno sciopero bianco, «contro la decisione di tassare le loro indennità di volo nel quadro della riforma fiscale». I piloti, secondo quanto fonti militari avrebbero riferito ad alcune agenzie, «si astengono dalle missioni di volo per ragioni di salute». La protesta dei marittimi fa seguito a quella della scorsa settimana da parte di lavoratori portuali iscritti al sindacato comunista Pame che denunciavano le conseguenze per l’occupazione derivanti dall’annunciata liberalizzazione del settore. I lavoratori hanno sfidato la decisione di un tribunale che ha dichiarato illegale l’iniziativa. Alla loro protesta si sono aggiunti i medici che contestano la riduzione dei fondi per gli ospedali pubblici.