Vincenzo Ruggiero, l’anticriminologia come sapere

La morte di Vincenzo Ruggiero, «anticriminologo» come amava definirsi, lascia un vuoto importante. La collaborazione col bollettino Senza galere e la rivista Controinformazione l’avevano spinto a lasciare l’Italia e approdare a Londra, per tenersi alla larga dalle inchieste giudiziarie che a metà degli anni 70 colpirono anche gli organi legali di informazione e dibattito, ritenuti dai magistrati «strutture di cerniera» tra le formazioni armate e il resto del movimento rivoluzionario di quegli anni. 
A Londra era approdato alla Middlesex University come professore di sociologia. Con Ermanno Gallo, anche lui tra i redattori incarcerati di Controinformazione, aveva dato vita negli anni 80 a un fertile sodalizio intellettuale, con volumi come Gli ostelli dello sciamano, alle radice della tossicomania, edizioni senza galere 1980, Il carcere in Europa, Bertani 1983 e ancora Il carcere immateriale. La detenzione come fabbrica di handicap, uscito nel 1989 per le edizioni Sonda.


L’avevo conosciuto a Parigi verso la fine degli anni 90 a casa di Roberto Silvi, anche lui esiliato e ormai malato, suo compagno nell’impresa di Senza galere. Quando poteva Vincenzo faceva tappa volentieri a casa di Roberto per ritrovare il suo amico e rivedere gli altri compagni dell’esilio. Era ormai un professore affermato e dell’esilio di quei militanti fuggiti alla repressione dell’emergenza giudiziaria degli anni 70 scrisse con parole da studioso, “Condannati alla normalità”.
Autore di pubblicazioni importanti nelle quali esercitava una critica spietata del pensiero criminologico, ritenuto una disciplina «ormai esausta» e per questo alla disperata ricerca di nuovi temi per rilanciarsi, come la «vittimologia», Il delitto, la legge, la pena. La contro-idea abolizionista, edizioni gruppo Abele 2011. Ha scritto pagine decisive sull’economia come crimine, non sui crimini economici come la vulgata corrente etichetta l’economia illegale, ma sull’economia legale, l’etica degli affari, «le condotte di routine dei mercati che sono suscettibili di ogni tipo di irruzione illegittima». Un filone di pensiero fecondo che produsse numerosi lavori: Economie sporche, Bollati Boringhieri 1996; Dei delitti dei deboli e dei potenti. Esercizi di anticriminologia, Bollati Boringhieri 1999; I crimini dell’economia. Una lettura criminologica del pensiero economico, Feltrinelli 2013; Perché i potenti delinquono, Feltrinelli 2015. Lavori nei quali Ruggiero ribalta completamente lo sguardo sul pensiero economico, dimostrando come ciascuna delle grandi scuole economiche giustifica, se non addirittura incoraggi, i delitti dei potenti che sono il risultato dell’iniziativa economica.
Ricordo con nostalgia le conversazioni avute con lui. Gli avevo chiesto di essere uno dei miei relatori per il dottorato sui «momenti costituenti», grandi assenti nelle teorie politico-giuridiche. Volevo indagare i momenti di rottura e fondazione nei sistemi politici, pensati quasi sempre nella loro condizione di normalità. Una normalità che rifugge l’inizio. Poi quella tesi non c’è più stata, progetto di studi bruscamente interrotto dalla «riconsegna straordinaria» alle autorità italiane.
Uscito dal carcere non ho più avuto modo di incontrarlo, sono riuscito però una volta a chiedergli un articolo per uno speciale, «Cemerto e castigo», uscito su di Liberazione, quotidiano dove lavoravo durante la semilibertà, L’abolizionismo penale è possibile ora e qui.
Uno dei suoi libri che ho apprezzato di più, forse perché letto in una cella del Mammagialla, è stato Crimini dell’immaginazione. Devianza e letteratura, il Saggiatore 2003, dove Ruggiero proponeva una rilettura socio-criminologica dei grandi classici dimostrando che non c’era miglior realtà della finzione: attraverso Baudelaire e London raccontava l’emergere dei mercati illeciti e del consumo delle droghe, in Moby Dick si scoprivano i crimini dell’economia, con Twain la corruzione nella città, in Hugo e Mirabeau la realtà del carcere, in Manzoni la modernità della sofferenza legale, i processi inquisitori…
Un’altro suo lavoro importante è stato La violenza politica, uscito per Laterza nel 2006 e Movimenti nella città, Bollati 2000, che propone una visione urbanistica del conflitto: la città come risultato dell’azione collettiva.
Anche se Vincenzo Ruggiero non c’è più, ci restano i suoi libri, per pensare, agire, costruire. Leggeteli!

Storia di Giorgio Napolitano, riformista, crociano, liberista, prima filosovietico e poi atlantista

La vita politica di Giorgio Napolitano riassume ed estremizza tutti gli aspetti più negativi che hanno caratterizzato la formazione culturale del gruppo dirigente del Pci del dopoguerra.
Origini alto borghesi addirittura con quarti di nobiltà. Il padre, un avvocato liberale e poeta; la madre, Carolina Bobbio, figlia di nobili piemontesi trapiantati a Napoli. Circostanza che ha alimentato negli anni voci mai confermate su presunti legami di sangue con la famiglia Savoia che avrebbero investito la reale paternità del piccolo Giorgio.
Formazione culturale crociana, studi di giurisprudenza con una laurea in economia politica e una tesi sul mancato sviluppo economico del Meridione. Militanza giovanile nei Guf, i gruppi universitari fascisti. Insomma il classico cursus honorem di un giovane rampollo della buona borghesia partenopea che ha vissuto la sua prima gioventù sotto il regime fascista senza particolari tormenti. Nel 1945 entra a far parte del Partito comunista in una Napoli già insorta e occupata dalle truppe angloamericane. L’alto livello culturale gli apre subito la strada nel gruppo dirigente locale: nel 1947 viene inviato a guidare la federazione di Caserta per farsi le ossa prima di diventare deputato nel 1953 e restarlo ininterrottamente fino al 1996, per poi passare al parlamento europeo, essere nominato senatore a vita nel 2005 e assumere per due volte la carica di Presidente della repubblica dal 2006 fino alle dimissioni del maggio 2015. E’ stato anche Presidente della camera e ministro dell’Interno del primo governo Prodi dal 1996 al 1998.

Riformista, crociano e liberista
Lo stile felpato, l’atteggiamento prudente, il linguaggio forbito, il perfetto controllo della lingua inglese, lo hanno reso da subito un cavallo di razza non solo nel Pci ma nella scena politica italiana. Moderato politicamente è cresciuto all’ombra della scuola politica di Giorgio Amendola incarnando le tradizionali linee guida della destra del partito: un iniziale filosovietismo in politica estera sfumato dopo i fatti di Praga del 1968. Nel 1956 appoggiò la repressione sovietica in Ungheria e pronunciò il discorso di espulsione dal partito del dissidente Antonio Giolitti a cui chiese scusa, omaggiandolo, una volta salito al Quirinale; grande attenzione in politica interna per i ceti produttivi, i circoli finanziari, la grande borghesia e le ricette economiche liberali. Quando fu responsabile economico del Pci negli anni dell’austerità berlingueriana predicava i sacrifici per la classe operaia come soluzione alla crisi economica. Nemico feroce della sinistra interna che sconfisse nell’XI congresso del 1966, detestava l’operaismo politico ritenuto una forma di estremismo che rasentava il sovversivismo. I tratti liberali della sua formazione culturale lo resero allergico al giustizialismo, anche se questo non gli impedì di essere un feroce sostenitore dell’emergenza giudiziaria antisovversiva. Da capogruppo dei deputati del Pci nel 1994 lanciò la stagione della dietrologia con una mozione parlamentare divenuta il manifesto del complottismo sul sequestro Moro, atteggiamento che rinforzò negli anni della sua permanenza al Quirinale quando inaugurò la giornata della memoria delle vittime del terrorismo e delle stragi, il 9 maggio 2008, con un discorso che avviava la stagione della vittimocrazia, attribuendo ad associazioni vittimarie accreditate l’amministrazione della memoria pubblica del decennio 70 e decretando il bavaglio per gli ex militanti, prigionieri ed ex prigionieri della sinistra armata e sovversiva dell’epoca.

Il battesimo negli Usa
Il punto di svolta della carriera politica di Napolitano risale tuttavia ai giorni del sequestro Moro, al mese di aprile del 1978 quando fu autorizzato a tenere un ciclo di conferenze in alcune università degli Stati Uniti, incontrare circoli politici, culturali e finanziari americani. Primo dirigente comunista occidentale autorizzato ad entrare negli Usa in quanto tale e non in una delegazione parlamentare, come era già avvenuto per altri prima di lui.
Il retroscena di quel viaggio che potete leggere di seguito (qui) fu lungo ed elaborato con un visto rifiutato tre anni prima. Quella missione ebbe una importanza decisiva nella successiva carriera politica del futuro capo della corrente «migliorista» del Pci. Napolitano, che bruciò sul tempo Berlinguer, anche lui invitato negli Usa al pari Carrillo (leggi qui), il segretario del Partito comunista spagnolo, per spiegare cos’era l’eurocomunismo, ebbe il compito di chiarire all’establishment statunitense cosa era diventato il Pci, cosa avrebbe fatto in caso di vittoria elettorale, tranquillizando investitori e politici nordamericani sulla fedeltà atlantica dei comunisti italiani e sulla tutela delle libertà economiche e della proprietà privata, ricevendo il placet Usa sulla linea della fermezza da tenere durante il sequestro del leader della Dc Moro da parte delle Brigate rosse.

La doppiezza culturale di Napolitano
Nel corso del viaggio emerse con forza tutta la doppiezza politica di Napolitano e del gruppo dirigente del Pci: la doppia morale e il doppio linguaggio. Napolitano incontrò in gran segreto Gianni Agnelli nella sua casa di Parck Avenue a New York. L’episodio, omesso dal resoconto apparso su Rinascita al suo ritorno, fu ignorato anche dal corrispondente dell’Unità Jacoviello. Elettori e militanti del Pci non dovevano saperlo. Napolitano rivelò la circostanza, che diede il via a una consuetudine tra i due, solo nel 2003 alla morte di Agnelli. Il viaggio negli Usa aprì al futuro presidente della Repubblica l’ingresso in circoli molto riservati, salotti dove esponenti politici, statisti e uomini della finanza più influenti, i decisori del mondo, si incontravano e discutevano. Dopo il viaggio negli Usa per Napilitano si aprirono anche le porte dell’ambasciata Usa per incontri riservati, tenuti anche con Pajetta, e il cui contenuto sia l’ambasciatore dell’epoca Gardner che lo stesso Napolitano riferivano unicamente di persona ai loro rispettivi superiori: il capo del Dipartimento di Stato e il presidente Usa per Gardenr, il segretario del Pci Berlinguer per Napolitano.
Se c’è un aspetto che riassume la storia politica di Giorgio Napolitano è questo elitismo, questa visione oligarchica, inside, di una politica per soli eletti di cui ha dato mostra con i governi tecnici e gli incarichi attribuiti a grandi comis di Stato e della finanza. Visione antica, liberale, predemocratica nella quale Napolitano si trovava a suo agio.

Ognuno ride a modo suo, storia di un bambino irriverente e sbilenco

«Mi chiamo Sirio e per parlare uso un tablet e i segni delle mani, per ascoltare due protesi acustiche, per respirare una tracheostomia, per mangiare una gastrostomia, per camminare una sedia a rotelle e due bei tutori colorati.
Mi chiamo Sirio, è questo il nome che non mi chiedete mai, che fate fatica a domandare, identico a quello di una stella.
Mi chiamo Sirio e quando lo pronuncio mi capisco solo io, perché la mia bocca aperta che osservate interdetti non mi fa parlare come vorrei, come parla la mia testa.
Però mi presento lo stesso e il mio nome lo dico indicandomi, mostrandovi che son qui, sono proprio questo bimbo buffo che avete davanti, così diverso da tutti quelli che avete sempre visto, così diverso da tutti quelli a cui sorridete e fate le vocine cretine.
Sono quello che guardate ammutoliti, quello che fa calare il silenzio quando passa, quello che vi fa un po’ impressione, un po’ senso, un po’ ribrezzo, e magari anche simpatia, chissà.
Sono quello a cui non sapete come dire le cose, non sapete se potete, non sapete se è il caso: e allora vengo a rompere il ghiaccio da solo, mi vengo a presentare senza badare al vostro stupore, tantomeno alla compassione, che ha smesso di scalfirmi. Vengo davanti a voi, con la mia irriverenza, a presentarmi ai vostri sguardi fatti di filo spinato, ai vostri sguardi confine, i vostri sguardi muro. Vengo a divertirmi con le vostre reazioni, a provocarvi, a vedere se siete capaci di capire che vi sto prendendo in giro, che in me e nel mio corpo sbilenco non c’è niente di drammatico, niente di serio o di abominevole, che la mia bava non può farvi nulla, è solo mia.
Non posso mica perturbarvi solo perché esisto, perché ho osato resistere alla morte e ho deciso di innamorarmi della vita e di voler attraversare il mondo, presentandovi la diversità e la mia voglia di divertirmi e ridere in faccia alla sfiga.
E allora eccomi qui, sono Sirio, il re sbilenco dei Tetrabondi, tetraplegico e vagabondo, bavoso e felice, che vuole riaprire le porte della città per far entrare tutti quelli lasciati fuori: il meraviglioso e storto esercito di corpi non adeguati e non conformi, di corpi esclusi, rinchiusi, declassati, innominabili, che vogliono raccontare tutto quello che non hanno potuto mai.
Eccomi qui ad aprire questa porta pesantissima per attraversare strade che sentite solo vostre e invece son di tutti, strade che sembrano essere state disegnate solo per voi e invece son dei corpi che volano leggeri, come di quelli che san solo strisciare.
Lasciate lontano la paura, lasciate lontano l’orrore della deformazione, della malattia, della disabilità, della pazzia, della diversità e venite a giocare con me, a parlare con me, a ballare.

Biol

Ciao Biol, architetto geniale, compagno solidale, amico, fratello. Il tuo tetto è stato per anni un riparo sicuro. Te ne sei andato ma gli uomini scompaiono soltanto quando si perde la loro memoria. Saremo in tanti a tenerti vivo nei nostri ricordi.

Ciao Biol, architecte génial, camarade solidaire, amis et frère. Pendants des années ton toit a été un abri sûr. Tu nous as laissé mais les hommes disparaissent seulement quand on perd leur mémoire. Tu seras toujours dans nôtre souvenirs.