Come ti sequestro il manager

Gerarchie d’impresa costrette a misurarsi con la trattativa forzata imposta dai lavoratori in lotta

File picture of an employee of US tyre-maker Goodyear standing in front of burning tires at the entrance of the plant in Amiens, northern FranceI padroni non trattano? E noi facciamo in modo che non possano non farlo. In che modo? Impedendogli di alzarsi dal tavolo e uscire dagli uffici delle direzioni aziendali fintantoché non si è pervenuti ad un accordo accettabile. Si chiama «trattativa forzata» anche se loro, padroni, poliziotti e media, parlano di «sequestro», anzi di bossnapping.
In Francia è accaduto di frequente negli ultimi anni (vedi qui). L’ultimo episodio si è concluso ieri nello stabilimento della Goodyear di Amiens dove due manager dell’azienda sono stati trattenuti per oltre 30 ore. Immediatamente dopo la loro liberazione la Cgt, il sindacato maggioritario sul posto, ha annunciato l’intenzione di occupare la fabbrica. Difronte alla chiusura dello stabilimento, deciso dallo stato maggiore della grande marca di penumatici, i lavoratori hanno rivendicato una cospicua indennità di licenziamento. Secondo la Cgt, la direzione avrebbe proposto ai dipendenti una indennità di licenziamento che oscillerebbe tra i 20 mila e 40 mila euro. Gli operai reclamano dagli 80 ai 180 mila euro.
Se vuol licenziare il padrone deve pagare. «Quando si è difronte alla perdità del posto di lavoro – ha spiegato Franck Jurek, uno dei delegati Cgt – si difende quello che resta da difendere, cioè i soldi. Per questo andremo fino in fondo, anche contro la legge». E siccome lo staf dirigenziale ha fatto orecchie da mercante è partita la trattativa forzata. Nessuna violenza, i dirigenti erano liberi di circolare all’interno dell’edificio aziendale, avevano i loro telefonini, comunicavano con familiari e gerarchia, potevano rifocillarsi a volontà, ma non potevano abbandonare il posto sottraendosi al negoziato.

Manager sotto stress e kit antisequestro
Nel 2009, quando in Francia si scatenò un’ondata improvvisa di azioni del genere, Libération scrisse di una «nuova arma sociale dei lavoratori» che annunciava brutti tempi per le gerarchie d’impresa. In effetti si diffuse il panico tra i maneger timorosi di dover passare brutte nottate in bianco. Finita l’epopea borghese dei golden boys e degli yuppie con la crisi questi funzionari del capitale si ritrovavano sotto stress. Per fare fronte a questo trauma, Sylvain Niel, un avvocato francese esperto di diritto e relazioni sociali preparò un piccolo manuale pubblicato dal quotidiano economico la Tribune. Nell’opuscolo, l’esperto dispensava ai manager una decina di consigli «antisequestro» per «evitare di cadere in trappola durante una trattativa».
Prima regola: conservare un «kit di sopravvivenza», un telefono cellulare di scorta con numero criptato e recapiti d’emergenza (polizia, famiglia), trousse per la toilette, cambio di biancheria nel caso si dovesse passare la notte in ufficio. Ma, suggeriva l’esperto, «è meglio prevenire» per non finire come quel responsabile del personale di un’azienda che si vide costretto ad uscire disteso in una bara dalla sala in cui era “ospitato”. Fondamentale allora è «una stima del rischio di ammutinamento contro la direzione», «individuare sempre i leader della protesta», «non andare mai da soli a negoziare con le parti sociali, ricorrere sempre ad un mediatore». Infine, se dovesse andare male, «accettare tutte le richieste dei dipendenti perché gli impegni presi sotto costrizione non hanno valore giuridico».
Mancava però la cosa essenziale, qualche buon libro capace di aprire la testa dei manager per dare aria alle loro anguste visioni culturali nutrite solo di manuali sulla gestione delle risorse umane, la performatività delle prestazioni, l’economia aziendale. Magari Discours sur l’inégalité parmi les hommes di Jean-Jacques Rousseau e il primo libro del Capitale del dottor Marx, così tanto per cominciare.

Azioni legittime
Azioni legittime o azioni illegali? Il ricorso alla «trattativa forzata» da parte degli operai quando le aziende rifiutano di negoziare i piani di crisi, oppure nemmeno accettano di sedere al tavolo delle trattative comunicando semplicemente la lista dei dipendenti licenziati, fa discutere non solo la Francia. I media in lingua inglese hanno tuonato contro questo comeback del «bossnapping». Per il New York Time «questa strategia allontana le multinazionali intenzionate ad investire sul territorio francese». Anche se il settimanale Businessweek riconosce che «sequestrare i padroni è una strategia vincente». Durissimo Maurice Taylor, padrone di Titan, gigante americano dei penumatici che sembra interessato a rilevare il sito, «Negli Stati uniti – ha detto -un atto del genere sarebbe considerato un sequestro di persona. I loro autori sarebbero stati tutti arrestati e perseguiti. Si tratta di un crimine molto serio per il quale si rischia il carcere a vita».
Tuttavia in Francia questo modello di lotta – seppur attuato in un contesto ultradifensivo che mira unicamente a ridurre i danni – ha sempre riscontrato consenso nell’opinione pubblica ed è risultato “pagante”, come hanno dimostrato i molti episodi in cui è stato impiegato dal 2009 ad oggi.
Questo repertorio d’azione – come viene definito dal linguaggio asettico dei sociologi del conflitto che cercano di fotografare i comportamenti sociali senza caricarli di giudizi di valore –, si è diffuso seguendo un classico dispositivo d’emulazione investendo non solo siti operai ma anche centri studi, come è stato il caso dei dipendenti di Faurecia (circa mille, in prevalenza “colletti bianchi”, ingegneri, tecnici e amministrativi), azienda dell’indotto automobilistico filiale del gruppo Psa Peugeot Citroen, che nel 2009 bloccarono per 5 ore tre quadri dirigenti del gruppo. Episodio significativo poiché dimostrava come pratiche di lotta radicale potevano guadagnare anche i ceti medi colpiti dalla crisi. Azioni ritenute dai lavoratori più che legittime, capaci d’attirare per la loro alta simbolicità «microfoni e telecamere», se è vero che cortei, scioperi e picchetti non sono più sufficienti per costringere il padronato a trattare.

Conflitto negoziato
Il succo del ragionamento è semplice: quando le gerarchie aziendali chiudono ogni comunicazione pensando d’imporre il loro punto di vista senza ascoltare quello della controparte operaia, occorre imporre loro la trattativa. Lì dove non c’è negoziato si apre allora uno spazio di conflitto ulteriore. È il «conflitto negoziato» che in Francia, a differenza dell’Italia, non ha mai perso agibilità politica e sociale. Le azioni «coups de poing» (colpo di mano), non appartengono solo al repertorio d’azione della Cgt, ma sono condivise oltre che da altri sindacati collocati sul fronte della sinistra radicale e anticapitalista, come i coordinamenti e Sud, anche dalle associazioni rurali, dei contadini, pescatori e camionisti, spesso bacini elettorali delle forze moderate. Oltralpe la tradizione corporativa del conflitto ha mantenuto sempre piena legittimità. Fintantoché non vengono percepite come un attacco politico alla sicurezza dello Stato, queste forme d’azione collettiva sono ritenute domande sociali a cui la politica è chiamata a dare risposte. Semmai in quel che accade oggi emerge un forte deficit delle forze politiche della sinistra incapaci di fornire rappresentanza.

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