Strage di Bologna, una commissione d’inchiesta per cancellare lo stragismo fascista

Foto Gaggioli

All’alba del quarantatreesimo anniversario della strage alla stazione centrale di Bologna incombe una nuova stagione di strumentalizzazione politica della storia. L’attentato esplosivo che fece saltare in aria circa trecento persone provocandone la morte di 85 è ancora un campo di battaglia giudiziario, politico e storico.
Diversi esponenti dell’attuale maggioranza di governo hanno depositato all’inizio del mese di luglio una proposta di indagine parlamentare sulle «connessioni del terrorismo interno e internazionale con gli attentati, le stragi e i tentativi di destabilizzazione delle istituzioni democratiche avvenuti in Italia dal 1953 al 1992 e sulle attività svolte dai servizi segreti nazionali e stranieri, anche relativamente alla scomparsa di Graziella De Palo e Italo Toni e all’attentato del 1982 alla Sinagoga di Roma».
Già nel precedente mese di febbraio, Fabio Rampelli, vicepresidente della Camera di Fratelli d’Italia, aveva lanciato la singolare proposta di una inchiesta sulla violenza politica avvenuta in Italia tra il 1970 e il 1989. Furbescamente Rampelli aggirava la madre di tutte le stragi, ovvero la bomba esplosa il 12 dicembre 1969 all’interno della banca dell’agricoltura di piazza Fontana a Milano. Vicenda in cui la responsabilità della destra neofascista, in combutta con alcuni apparati Nato del Triveneto, è stata accertata in sede giudiziaria e storica.
La destra italiana ha una tara genetica, quella dello stragismo intrecciato alle velleità golpiste messe in campo negli anni 70. L’attuale destra di governo, erede di quella stagione, ha tra gli obiettivi la ripulitura della propria storia, il lavaggio dei propri crimini e misfatti. La storia del primo cinquantennio repubblicano deve essere immersa nella candeggina delle commissioni d’inchiesta parlamentare per essere sbiancata, cancellata e riscritta, o meglio rovesciata. L’obiettivo è il capovolgimento del paradigma storico dello stragismo fascista e statale (democristiano), una sorta di risarcimento simbolico che in qualche modo deve riequilibrare e riabilitare in forma vittimistica la sua immagine macchiata dall’infamia indelebile per il ruolo giocato in quella sporca stagione di bombe nelle piazze, sui treni e nelle stazioni.

Washing storiografico
La proposta di Rampelli è stata così sussunta nel nuovo progetto che mira a rileggere il secolo breve della repubblica italiana. Sul portale istituzionale del parlamento non è ancora possibile conoscere il testo integrale del disegno di legge perché in fase di assegnazione, tuttavia il titolo è più che emblematico poiché propone la rilettura di un intero periodo storico che va dai moti triestini del novembre 1953, repressi dal governo militare alleato, fino alle stragi mafiose di Capaci e via D’Amelio. Il tutto – sembrano suggerire i promotori, tra cui compare anche il nome di Rita Dalla Chiesa (Forza Italia) insieme a quello di Sasso (Lega), Antoniozzi, Mollicone e Foti (Fratelli d’Italia) – sorretto da un’unica trama in cui nuclei di terrorismo interno erano sovradeterminati da forze straniere. Se per decenni la narrazione complottista della sinistra, elaborata dalla cultura cattocomunista, aveva designato l’atlantismo Nato, con tutti i suoi derivati e subordinate, come responsabile di ogni cosa, per la destra si deve semplicemente rovesciare la narrazione. Ennesima prova di subalternità culturale e assenza di capacità critica. La complessità del mondo, delle relazioni sociali, dei processi e dei conflitti che muovono la storia può restare materia di una piccola cerchia di studiosi, quel che conta è costruire una diversa egemonia culturale fatta di bugie, favole e leggende da spacciare come nuovo oppio dei popoli.
Giunta finalmente al governo del Paese in una condizione di vuoto pneumatico dell’opposizione politica e di fragilità dell’opposizione sociale, per un periodo che salvo errori macroscopici o drastici rivolgimenti internazionali ha tutte le opportunità di non esser breve, la destra erede del regime sconfitto nel 1945 deve riscrivere la propria storia. Per realizzare la propria visione autoritaria e disciplinare della società e dare corpo al più sfrenato liberismo economico ha ormai tra le mani le leve dello Stato, deve dunque cancellare ogni memoria del proprio passato sporco e cospirativo, dove nell’ombra si proponeva strumento del potere per portare a termine le azioni più indicibili pur di fermare il protagonismo del movimento operaio e delle sinistre.

Utilizzare la strage di Bologna per costruire un nuovo paradigma stragista
L’attuale proposta di una commissione d’inchiesta ricalca una precedente iniziativa depositata sempre da esponenti di Fratelli d’Italia nel 2021, anche se allora l’indagine si fermava al 1989. Il testo dell’epoca faceva riferimento a saggi e studi fautori della esistenza di «collegamenti internazionali del terrorismo italiano» con chiaro riferimento all’attività delle formazioni combattenti palestinesi, senza risparmiare accuse alla sinistra armata italiana, sulla scorta dei lavori di “autori d’area” come Enzo Raisi, Valerio Cutonilli o giornalisti come Gian Marco Chiocci, oggi direttore del Tg1, Gian paolo Pelizzaro e altri. Tra i temi centrali da rivedere c’era la responsabilità neofascista nella strage di Bologna, a seguito di un documento del capo centro Sismi a Beirut, Stefano Giovannone, del 27 giugno 1980. Dalla parziale e fuorviante lettura di quel testo e dal clamoroso errore dell’ex parlamentare Carlo Giovanardi, che aveva confuso la data di un documento dell’aprile 1981, nel quale si riferivano minacce da parte palestinese, antidatandolo all’aprile 80, si elaborava il teorema della ritorsione palestinese come movente della strage giustificata – a detta degli esponenti della destra – dal sequestro, nel novembre del 1979 davanti al porto di Ortona, dei due lanciamissili non armati appartenenti al Fronte popolare per la liberazione della Palestina.
La successiva desecretazione di una cospicua parte carteggio (195 documenti resi accessibili in due momenti diversi tra giugno 2022 e aprile 2023) proveniente dal centro Sismi di Beirut metteva fine alla cosiddetta pista palestinese, proposta come verità alternativa alle sentenze giudiziarie che indicano, sia pur tra lacune, prove indiziarie e ricostruzioni storiche dietrologiche, la responsabilità della destra neofascista nella strage alla stazione. Le carte di Giovannone dimostrano, infatti, che la crisi dei lanciamissili si era conclusa già il 2 luglio 1980.

Le recriminazioni della destra per le attese andate deluse
Recentemente l’avvocato di estrema destra Valerio Cutonilli ha dato voce alla cocente delusione della destra nei confronti del carteggio Giovannone-Olp puntando il dito su ciò che a suo dire manca: «C’è un buco temporale inverosimile, a mio avviso non casuale, che copre proprio il periodo più utile per la ricerca sulla strage di Bologna. Quello che va dai primi di luglio alla metà di settembre 1980». Prendersela con le presunte «carte mancanti», magari «sottratte», è una vecchia risorsa della retorica complottista che ha sempre pensato di risolvere con questo facile escamotage le proprie defaillances, anche in questo Cutonilli manca di originalità e copia pedissequamente gli inarrivabili maestri del complottismo di sinistra. Quello dell’estate ’80 è in realtà il periodo di silenzio più breve, nel carteggio ce ne sono di ben più lunghi, ma a Cutonilli – posto che lo sappia – non interessano perché non sono strumentalizzabili. Ancora Cutonilli, si è detto «sconvolto» per aver appreso solo recentemente che il palestinese Abu Saleh, coinvolto nella vicenda degli Strela, nel 1981 fu trasferito dal carcere speciale di Trani a quello di Pianosa, dove subì insieme a decine di altri detenuti un brutale pestaggio. Cutonilli insinua che l’episodio sia collegato alla strage di Bologna, dimenticando che il trasferimento in massa da Trani avvenne dopo la rivolta seguita al sequestro D’Urso, rapito dalle Brigate rosse. Una parte dei detenuti vennero trasferiti a Pianosa e qui pestati per rappresaglia, come Saleh che nella rivolta non ebbe alcun ruolo. Nel carteggio del Sismi gli esponenti del Fplp, ben consapevoli delle ragioni del pestaggio, si lamentarono con Giovannone e chiesero il trasferimento a Rebibbia che avvenne di lì a poco, testimoniando netta condanna nei confronti delle Brigate rosse e solidarietà verso il magistrato D’Urso, che al ministero della Giustizia si occupava degli Istituti penitenziari. Basterebbe leggerli i documenti o attenersi ai fatti ma per alcuni, come ricordava Nietzsche, «non esistono i fatti ma solo interpretazioni».

Accordo segreto con Israele, l’altra faccia del lodo Moro

«Operazione venti», era questo il nome in codice del patto segreto tra intelligence italiana e Mossad stipulato nel 1975. Il capocentro a Beirut Giovannone aveva il compito di raccogliere informazioni per conto del servizio israeliano sui dispositivi militari di Libano, Siria, Iraq e Egitto. Una sorta di contrappeso all’accordo riservato raggiunto tempo prima con l’Olp. Questi documenti, presenti nell’ultimo versamento depositato in aprile presso l’Archivio centrale dello Stato precisano meglio quello che fu il cosiddetto «lodo Moro»: una linea di politica estera parallela che prevedeva una serie di accordi informali e riservati con i vari attori del teatro mediorientale. Vennero coinvolti Stati come Israele e organizzazioni politiche che incarnavano forme di Stato nascente, come l’Olp, ma anche altre formazioni minori che vedremo più avanti, con l’obiettivo di smilitarizzare lo scontro e ripoliticizzare il conflitto mediorientale.

Paolo Persichetti, l’Unità 16 giugno 2023

Nel 1975 Italia e Israele stipularono un lodo segreto con lo scopo di rafforzare la sicurezza dei confini dello Stato ebraico prevenendo eventuali attacchi militari nei suoi confronti. Si tratta dell’ultima clamorosa novità venuta fuori dalla seconda tranche dell’incartamento Sismi-Olp versato lo scorso 19 aprile 2023 presso l’Archivio centrale dello Stato.
Il Servizio segreto militare, grazie agli ottimi rapporti intrecciati con le maggiori organizzazioni palestinesi e alla rete di informatori messa in piedi in Medioriente, aveva il compito di raccogliere informazioni sui dispositivi militari di alcuni paesi arabi, in particolare Libano, Siria, Iraq e Egitto. Notizie che poi avrebbe trasmesso al Mossad. Una sorta di contrappeso all’accordo riservato raggiunto tempo prima con l’Olp e che aveva come obiettivo la messa in sicurezza del territorio italiano e dei suoi interessi oltre i confini nazionali evitando che l’Italia fosse travolta dal conflitto israelo-palestinese, come era già accaduto in più circostanze. In cambio, le autorità italiane avrebbero fornito sostegno internazionale e riconoscimento politico all’attività dell’Olp. Del lodo Israele, definito in codice «Operazione Venti», si trova una prima traccia in una dichiarazione inviata al Cesis dal generale Silvio Di Napoli il 19 settembre 1985 (doc. 192). Questo documento, il cui contenuto è confermato da una lettera dell’Ammiraglio Fulvio Marini, Direttore del Sismi, al Presidente del consiglio Bettino Craxi e al Cesis, del 1 ottobre 1985 (doc. 193), consente di precisare meglio quello che fu il cosiddetto «lodo Moro»: una linea di politica estera parallela che prevedeva una serie di accordi informali e riservati con i vari attori del teatro mediorientale. Vennero coinvolti Stati come Israele e organizzazioni politiche che incarnavano forme di Stato nascente, come l’Olp, ma anche altre formazioni minori che vedremo più avanti, con l’obiettivo di smilitarizzare lo scontro e ripoliticizzare il conflitto mediorientale.

1975-1985 dieci anni di diplomazia parallela
Questo secondo versamento, più voluminoso di quello depositato lo scorso anno, conta 429 fogli, pari a 163 documenti, anche se quelli indicizzati sono in realtà 193. Ne mancano all’appello 30, solo in parte compensati dai precedenti 32 che smentivano clamorosamente la narrazione tossica diffusa dalla destra su un presunto ruolo palestinese nella strage di Bologna: si veda in proposito l’approfondita analisi svolta da chi scrive insieme a Paolo Morando su Insorgenze.net (1, 2, 3, 4). Considerando i doppioni (ne abbiamo contati tre) e i sei documenti mancanti all’appello, nel complesso gli studiosi hanno a disposizione un bacino di 186 documenti che sul piano cronologico si integrano perfettamente coprendo circa un decennio, dal 21 novembre 1975 al 3 ottobre 1985. Non ci sono le informative utili a comprendere il periodo di formazione della politica dei lodi, se è vero – come riferisce Giovannone nel suo interrogatorio del 20 giugno 1984 (doc. 191) davanti al pm Giancarlo Armati – che su mandato del Sismi nel 1972 allacciò rapporti con i vertici palestinesi «disponibili a intavolare un dialogo». Manca ancora un nucleo documentale di almeno tre anni molto importante per capire come lo Stato italiano ha costruito questa diplomazia parallela, il cui attore principale in loco non era l’ambasciatore ma il capocentro del Sismi a Beirut.

Vicenda Toni-De Palo
Un paio di dispacci accennano di sfuggita alla vicenda dei due giornalisti, Italo Toni e Gabriella De Palo, scomparsi in Libano nel settembre del 1980. Anche se molto più interessanti sono le dichiarazioni del colonnello Giovannone rese davanti al magistrato che indagava sulla loro scomparsa e nelle quali riferisce di un flusso di informative inviate dall’ambasciatore italiano a Beirut, D’Andrea, che seguiva personalmente le indagini. Dispacci intercettati da Giovannone per conto del Sismi. Documenti, non presenti in questo versamento, nonostante le rassicurazioni della presidente del consiglio Giorgia Meloni, ma che dovrebbero trovarsi presso l’archivio del ministero degli Esteri e, almeno quelli intercettati, presso l’archivio dell’Aise che ha ereditato le carte del Sismi.

Abu Nidal e la messa in sicurezza dell’Olp
Un altro tema rilevante riguarda la figura di Abu Nidal, ovvero Sabri Khalil al-Banna, l’esponente palestinese che fu rappresentante dell’Olp al Cairo. Brillante, ambizioso, profondo conoscitore della situazione egiziana, prima della sua rottura con i vertici di Fatah a causa della svolta «moderata» impressa da Arafat, fu individuato da Giovannone come una potenziale fonte da arruolare per ottenere informazioni di prima mano. Le carte raccontano dei primi contatti con Nidal, forse addirittura una sua iniziale collaborazione col Sismi, e poi la lunga caccia condotta in stretta collaborazione con l’Olp per prevenire i suoi attacchi in Europa e in Italia e mettere in sicurezza la sede diplomatica palestinese a Roma e i suoi esponenti.

L’«Operazione Aquila»
Il grosso del carteggio è una integrazione dei dispacci e degli appunti sulla vicenda del sequestro dei due lanciamissili del Fplp a Ortona nel novembre del 1979 e l’arresto dei tre autonomi romani e del palestinese Abu Anzeh Saleh. Le nuove carte arricchiscono i passaggi dell’inchiesta inizialmente condotta dal Sismi per comprendere la natura dei fatti e verificare la veridicità della versione palestinese, quindi la laboriosa trattativa che ne seguì e la realizzazione di una seconda operazione speciale, l’«operazione Aquila», finalizzata alla scarcerazione di Saleh. Documentazione che conferma il fitto intreccio intessuto dal Sismi e che vede il coinvolgimento diretto degli avvocati degli imputati ma soprattutto la scansione temporale della trattativa con l’Fplp dettata dai passaggi processuali. Quello che ne esce fuori è una quadro arricchito da numerose altre conferme che ribadisce, senza possibilità di appello, l’assoluta estraneità dei palestinesi nella vicenda dell’attentato alla stazione di Bologna e il naufragio della operazione di intossicazione messa in piedi dalla destra da oltre un decennio.

Gli Armeni e il lodo Cossiga
In questa ultima tornata di documenti si parla anche del lodo armeno, messo a punto sempre dal Sismi con l’Asala, l’organizzazione armata segreta armena – grazie alla supervisione decisiva dell’Olp – per prevenire eventuali suoi attacchi contro gli interessi turchi presenti sul suolo italiano e contro sedi diplomatiche o aziende italiane estere.
Nell’aprile del 1980 – scrive il generale Ninetto Lugaresi, allora capo del Sismi, in una lettera al ministro dell’Interno Scalfaro del 19 agosto 1983 (doc. 189) – «allo scopo di bloccare le azioni terroristiche armene contro l’Italia, sono stati presi contatti tramite l’Olp, con l’Asala, conclusi nel dicembre dello stesso anno». Le date sono significative poiché l’accordo venne stipulato sotto la presidenza del consiglio Cossiga nello stesso arco di tempo in cui avvenne la strage di Bologna. Si tratta di una ulteriore prova, indiretta e logica, della assoluta assenza di sospetti da parte del Sismi e delle autorità politiche italiane nei confronti dei palestinesi, in caso contrario difficilmente sarebbe stata riposta tanta fiducia verso i palestinesi, addirittura incaricandoli di una missione volta a prevenire rischi per la sicurezza interna dell’Italia.
L’Asala, in realtà, non aveva commesso grosse azioni contro l’Italia, solo l’incendio di un magazzino della Mondadori per rappresaglia nei confronti di una intervista poco apprezzata uscita su Panorama. Gli attentati più gravi vennero realizzati a Parigi nel 1981, con l’attacco all’ambasciata turca, e nel luglio 1983 con l’assalto all’aeroporto di Orly. Episodio che spiega il ritorno di attenzione da parte del Sismi diretto da Lugaresi e la messa a punto del lodo stipulato tre anni prima. Anche in Francia si attivò un’azione politica simile da parte delle autorità che avviarono una trattativa segreta per accogliere e ricondurre su canali politici le rivendicazioni del gruppo armeno. La vicenda è raccontata da Louis Joinet, il consigliere giuridico di Mitterrand, che fu uno degli artefici principali di questa trattativa, nel suo libro Mes raisons d’Etat, La Découverte, 2013.

Il lodo Israele
Sia il colonnello Giovannone che il generale Di Napoli, avevano opposto il «segreto di Stato» davanti ai magistrati che li avevano interrogati tra il 1984 e il 1985, segreto poi confermato dal presidente del consiglio Bettino Craxi. In una informativa inviata al Cesis, del 19 settembre 1985 (doc. 192), Di Napoli spiegava il contenuto delle «operazioni speciali» di cui era stato a conoscenza nel periodo tra il 30 aprile 1979 e l’11 ottobre dello stesso anno.
Si trattava – scrisse al Cesis – della «Operazione Venti condotta dal col. Giovannone di concerto con l’allora Direttore del Servizio, gen. Santovito, finalizzata ad acquisire notizie politico-economiche e militari (con specifica attenzione ai dispositivi militari) a riguardo del Libano, della Siria, dell’Iraq ed Egitto. Tali notizie venivano raccolte a favore del Servizio Israeliano (Mossad) nell’ambito di un particolare rapporto di collaborazione». Il 3 ottobre successivo in una informativa diretta alla presidenza del consiglio, l’Ammiraglio Marini, nuovo capo del Sismi aggiungeva, «Nel 1975 dopo la guerra del Kippur fu concordato con il Servizio israeliano un accordo di collaborazione in campo intelligence finalizzato alla raccolta di dati prevalentemente militari nei paesi circondanti Israele. In detto accordo venivano individuati prevalentemente gli “indizi di attacco” che avrebbero potuto segnalare una operazione militare congiunta di sorpresa contro Israele creando una situazione analoga a quanto avvenuto prima della Yom Kippur. Detta operazione fu chiamata “Operazione Venti”». Attività che nel 1985 – precisava Martini alla luce della mutata situazione internazionale dopo gli accordi di Camp David – era «limitata alla sola Siria».