Un mese di addìi, tre compagne e un compagno ci hanno lasciato

Ignazio, Claudine, Teresa e Laura ci hanno lasciato. Non sono molto bravo a parlare di addìi, sempre un po’ restio a voltarmi alle spalle, ma questo mese è stato terribile: un compagno e tre compagne se ne sono andati anzitempo. Storie di esilio, storie di acoglienza e solidarietà, storie di carcere, storie di lotte e di periferia. Di Ignazio parleremo un giorno, anzi confido che ci abbia lasciato qualche sua parola. La sua parabola è singolare, l’ho sfiorato da bambino per poi ritrovarlo sulle vie dell’esilio. Claudine Roméo è stata un pezzo del mio esilio, esuberante e straripante in tutti i sensi. Allieva di Althusser, nomaliènne di talento, era professoressa di filosofia. Negli ultimi anni faceva lezione anche agli anziani in una associazione a nord di Parigi, animava una trasmissione di impegno politico a Radio fréquence Paris pluriel da dove volgeva lo sguardo lontano, sempre attenta ad ogni sussulto di ribellione ed emancipazione. Teresa Scinica è stata una militante delle Brigate rosse, ha frequentato per lunghi anni il cacere speciale. Laura Blasi l’ho conosciuta quando ho cominciato a mettere i piedi fuori dal carcere, nel 2008. Da Milano era venuta a vivere in una periferia romana, quel Trullo di cui mi ha spiegato un po’ di cose. Percorso inverso al mio che un’altra periferia avevo laciato nel 1991 per riparare in Francia, senza mai più ritrovarla anche al ritorno. Diciassette anni dopo ho riattraversato spaesato quelle strade senza pià provare alcun sentimento di appartenenza. Non sono mai tornato dall’esilio, l’esilio è casa mia. Laura la voglio ricordare con questo articolo di cui fu una mia fonte. Domani c’è la marcia di Salvini su Roma: Laura, Ignazio, Teresa e Claudine sarebbero stati certo con noi a serrare le fila dei cordoni.
Ciao cari compagni!

Paolo Persichetti
Liberazione, 23 Novembre 2008

Al Trullo, zona della periferia romana che guarda verso il litorale, tira una brutta aria. Da un po’ di tempo alcuni giovani si divertono ad aggredire gli immigrati del quartiere che vivono del loro lavoro. Cinque ragazzi, tra i quali due minorenni, sono stati arrestati all’alba di ieri dai carabinieri. Altri quattro sono stati denunciati e un altro sottoposto all’obbligo di firma. In tutto dieci ragazzi tra i sedici e i ventuno anni, teste vuote accusate a vario titolo di ripetuti episodi di aggressione, pestaggi e intimidazione a sfondo razziale che sarebbero poi sfociati in rapine. Secondo quanto è stato riportato dalle agenzie, alcuni dei ragazzi avevano già dei precedenti penali.300px-roma_tiburtino_iii Di fronte alle reiterate violenze, al clima di sopraffazione e intimidazione e al timore di essere espulsi perché in situazione irregolare, gli immigrati evitavano di denunciare i fatti alla forze di polizia, fino allo scorso mese di settembre quando due egiziani hanno rotto gli indugi e sporto querela. I due erano stati malmenati e derubati ma si erano rifiutati di dare denaro alla banda. Le indagini condotte dalla locale caserma di Villa Bonelli hanno consentito di infrangere il muro di omertà e ricostruire almeno cinque episodi, ma potrebbero essere molti di più. Tra questi il violento pestaggio di un barista romeno che si era rifiutato di «offrire» ai ragazzi delle birre gratis. Il gruppo prendeva di mira anche le donne, come nel caso di una ragazza guatemalteca avvicinata in via del Trullo per ottenere del denaro e qui malmenata e rapinata. Le aggressioni avvenivano spesso a colpi di casco. «Qui non vi vogliamo, siete dei pezzi di merda», queste le frasi che rivolgevano contro gli extracomunitari. L’Arma tuttavia per bocca del comandante della compagnia dell’Eur ha subito tenuto ha precisare che «si tratta di bulli, non c’è alcun movente politico in queste azioni. Si tratta di violenze messe in atto per futili motivi, spesso perché le vittime si rifiutavano di dare pochi spiccioli», come se fosse un fatto minore andare in giro ad estorcere soldi, per giunta a dei poveracci che spesso vivono d’espedienti e lavori sottopagati. Una spoliticizzazione dei fatti in linea con i desiderata dell’attuale maggioranza di governo ed in particolare con il discorso tenuto dalla giunta Alemanno, che del razzismo e della xenofobia hanno fatto durante la campagna elettorale una merce politica. Il sindaco, esponente di primo piano di An e punto di riferimento della “destra sociale”, legato agli ambienti della destra radicale che in parte è riuscito a traghettare nella maggioranza municipale, non ha perso tempo per omaggiare l’operato dei carabinieri, augurandosi «una volta accertati i fatti di procedere in tempi brevi a una condanna esemplare». Quanto avvenuto riporta al clima dell’ottobre 2006, quando la tensione nel quartiere raggiunse livelli altissimi a causa di conflitti tra gruppi malavitosi che reggevano il mercato dello spaccio, extracomunitari appaltati per il traffico e giovani italiani emergenti che volevano ritagliarsi uno spazio. Allora finì con tre gambizzati e un bar dato alle fiamme.
Nella stessa giornata, in un’altra periferia romana, alla stazione ferroviaria di Ottavia, tre giovani srilankesi sono stati aggrediti a colpi di mazze da altri ragazzi italiani poi fuggiti. Episodi del genere sono ormai quotidiani. L’intolleranza razzista si è banalizzata. Ma davvero la politica non c’entra? La destra gioca sul fatto che chi commette questi atti non è un militante, non fa nemmeno politica. Obiezione fragile in un’epoca dove la politica ha perso i suoi confini tradizionali fino a dissolversi nei salotti e format televisivi. La realtà è che simboli, linguaggi e comportamenti rinviano ad uno stesso orizzonte comune che trova connivenze e momenti di contatto, per esempio nelle curve degli stadi. Queste teste bruciate mutuano gli stessi pregiudizi, condividono il medesimo odio e rancore, appartengono allo stesso universo valoriale identitario, superomista e razziale. Sono l’incarnazione dell’egemonia che la cultura di destra ha conquistato nel paese. Siamo di fronte ad un contagio sociologico, parola che assume un senso tutto particolare dopo l’ultimo libro di Walter Siti che descrive appunto la trasmutazione delle borgate, la realtà della nuova periferia dove codici sociali e identitari sono ormai sovrapposti e confusi. Il potere sociale della cocaina, i suoi percorsi, le relazioni sociali che si costruiscono attorno al suo mercato spiegano più di tante analisi socio-politiche.

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