Fukushima, il livello di radioattività nell’edificio del reattore 2 è 10 milioni di volte superiore alla norma

Il livello di radioattività nell’edificio del reattore 2 dell’impianto nucleare di Fukushima è 10 milioni di volte superiore alla norma. Lo ha reso noto la compagnia che gestisce l’impianto, la Tepco, spiegando che vi è dell’acqua radioattiva nei sotterranei dell’edificio della turbina collegata al reattore numero 2. Gli alti livelli radioattivi, afferma la Tepco, potrebbero originare dal nucleo del reattore, che potrebbe essere stato danneggiato dalle conseguenze del sisma e lo tsunami dell’11 marzo, riferisce l’emittente pubblica Nhk. Acqua contaminata si trova vicino a quattro dei sei reattori dell’impianto.La Tepco si è impegnata ad eliminarla il più presto possibile per permettere l’accesso dei tecnici al sistema e riavviare il sistema di raffreddamento. (Adnkronos) 27-MAR-11 10:50

Fukushima, «Se si arriva alla fusione del nucleo è la catastrofe radioattiva». Parla Pier Luigi Adami, ingegnere, esponente del comitato “Vota si per fermare il nucleare”

Paolo Persichetti
Liberazione
16 marzo 2011

Uno dei reattori danneggiati nella centrale nucleare di Kukushima

La favola del nucleare sicuro si sta ormai tragicamente dissolvendo in una nuvola di vapore radioattivo, come quelle fuoriuscite dopo le ripetute esplosioni che hanno colpito i reattori della centrale di Fukushima. «Sono ormai quattro i reattori in emergenza», sottolinea Pier Luigi Adami, ingegnere e membro del comitato scientifico “Vota si per fermare il nucleare”. Mentre un nuovo sisma di magnitudo 6,4 ha fatto nuovamente tremare la terra, in uno dei reattori si è giunti alla fusione di una parte del nucleo con un forte rilascio di radioattività in forma di vapore contaminato. «Il livello dell’incidente – ci spiega sempre Adami – è gravissimo, ha raggiunto il grado 6 sui 7 che comporta la scala stabilita dalla stessa agenzia internazionale per l’energia atomica».

Cosa significa esattamente la fusione del nucleo?
Contrariamente a quanto si crede, la tecnologia nucleare ha una bassa efficienza termodinamica. In altri termini l’immensa quantità di calore prodotto attraverso il processo di fissione dell’atomo viene solo in parte convertito in energia elettrica (30% appena rispetto al 54% degli impianti a gas). Resta quindi una enorme massa di calore che deve essere smaltita attraverso i sistemi di refrigerazione. Se per una qualsiasi ragione anche banale, come il blocco di una valvola (accadde nel 1979 nella centrale di Three Mile Island in Pennsylvania), o un incendio come accaduto in Russia lo scorso anno, oppure per un terremoto, il sistema di raffreddamento va fuori uso, il calore che non si riesce più a disperdere provoca un surriscaldamento del combustibile presente nel nucleo del reattore. A questo punto se i sistemi di emergenza vanno in tilt, per esempio perché l’energia elettrica viene a mancare in maniera prolungata e le pompe non possono più immettere i milioni di metri cubi di acqua che giornalmente vengono utilizzati per il raffreddamento, si innesca un processo di surriscaldamento inarrestabile che può arrivare alla fusione del metallo di rivestimento delle barre, lo zirconio. Questo metallo liquefatto insieme al materiale fissile precipita nel vaso di contenimento dove la presenza di acqua di raffreddamento genera vapore e idrogeno a forte pressione che può dare luogo ad esplosioni con rilascio di forti emissioni radioattive nell’atmosfera, come avvenne a Cernobyl. Per evitarle non c’è altro modo che rilasciare gradualmente questo gas radioattivo nell’ambiente.

Ma non basterebbe spegnere per tempo il reattore?
Sulla stampa spesso si usa questa espressione del tutto impropria. In realtà un reattore nucleare non può essere mai spento. Diciamo che viene “addormentato”. Si introducono delle barre di contenimento che servono a rallentare il processo di fissione. Ma senza refrigerazione il surriscaldamento non si ferma e le barre si squagliano.

Si rischia questo perché di Fukushima è una centrale vecchia, di seconda generazione?
Anche le centrali di terza generazione che dovrebbero essere costruite in Italia non sono concepite per fare fronte ad eventi catastrofici di questa portata.

 I sostenitori del nucleare obiettano che lo tzunami non ha danneggiato solo le centrali nucleari ma ha abbattuto anche dighe provocando morti e danni ingenti.
 E’ vero, ma la rottura di una diga produce devastazioni immediate. La contaminazione nucleare è di lunga durata, oltre ad essere irreparabile per la salute umana, può traversare confini e continenti, inquinare il mare, la fauna.

Link
Mario Tozzi: “Il nucleare costa troppo e non offre sicurezza”

La terra muore di capitalismo

Carla Ravaioli, «È un errore ridurre la crisi ecologica al solo mutamento climatico. il vero problema sta nel modello di sviluppo»

Paolo Persichetti

Liberazione 10 luglio 2009

Alla fine è uscito fuori il solito topolino. Tra i temi in agenda nel summit del G8 di L’Aquila c’era la necessità di trovare un nuovo accordo sul riscaldamento climatico per predisporre al meglio la prossima conferenza Onu sul clima, che si terrà in dicembre a Copenaghen. Riunione che dovrà decidere il nuovo sistema globale per la riduzione delle emissioni di Co2, in sostituzione del Protocollo di Kyoto che scade nel 2012. Tuttavia nel documento approvato non si va oltre il generico impegno per una riduzione del 50% delle emissioni di gas serra entro il 2050 e il controllo della temperatura del pianeta affinché non siano superati i 2 gradi centigradi al di sopra dei livelli preindustriali. Molto poco, quasi nulla. Una data, quella del 2050, che «cancella ogni impegno», spiega Carla Ravaioli.

pianetaTerra_002


Che validità reale hanno accordi del genere? 40 anni sono un tempo infinitamente lungo per la politica. Non si tratta forse di semplici petizioni di principio dietro le quali nascondere il fallimento di un accordo?

«Assumere il dimezzamento delle emissioni di Co2 per il 2050 è una data che cancella l’impegno. È in realtà un modo per scaricarsi da ogni obbligo e chi, tra 40 anni, sarà al posto degli attuali governanti potrà non sentirsi vincolato da decisioni che non ha preso. D’altra parte, qualora si potesse anche dimezzare l’emissione di valori di Co2, non sarebbe ancora sufficiente. Secondo l’agenzia internazionale che si occupa del cambiamento climatico, l’accelerazione del processo di liquefazione dei poli fa pensare che lo scioglimento di tutti i ghiacci sarà concluso attorno al 2020. Molto prima dunque. Vorrei però spostare l’attenzione su un aspetto, a mio avviso ancora più strutturale».

Quale?
«È un errore ridurre la crisi ecologica al mutamento climatico, come purtroppo fa la maggioranza del movimento ecologista. Il riscaldamento climatico è sicuramente oggi la manifestazione più clamorosa del dissesto ecologico complessivo. Non solo, ci sono altri fenomeni, come l’inquinamento delle falde acquifere, degli Oceani, il disboscamento delle foreste fluviuali (che per giunta è accompagnato dalla repressione più feroce di chi vi si oppone), la tossicità diffusa di materiali d’uso comune dispersi nell’ambiente, e che secondo l’Oms spiegano l’aumento di determinate patologie. Ma il vero problema sta nel modello di sviluppo. Non basta correggerlo, pensando che la soluzione possa venire unicamente dalla sia pur necessaria rivoluzione tecnologica delle energie pulite e rinnovabili. Se si arriva a produrre automobili capaci di emettere sempre meno Co2, è un indubbio passo avanti, ma se contemporaneamente viene raddoppiato il parco macchine la situazione torna ad essere quella di partenza. Il nodo è dunque legato ad un modello di sviluppo incentrato sulla crescita. Non c’è niente da fare, il problema ecologico è connesso al sistema capitalistico, ai sui cicli d’accumulazione continua in uno spazio, quello del nostro Pianeta, che ha una misura data. Lo sviluppo illimitato non esiste.

Il Mef (Major Economies Forum), l’organismo che raccoglie i paesi responsabili per l’80% delle emissioni nocive, si è concluso con un nulla di fatto. Con i paesi del Mef «non siamo riusciti a formulare target di riduzione del Co2 entro il 2050 e neppure target di medio termine, ha dichiarato il premier svedese, presidente di turno della Ue, Fredrik Reinfeldt. Come leggi il contrasto tra il blocco dei Paesi emergenti, rappresentati nel G5, (Sudafrica, Brasile, Cina, India e Messico), più Corea del Sud, Australia, Indonesia, e i Paesi del G8?
I Paesi emergenti ritengono di aver diritto ad un identico standard di crescita pro capite, non solo in termini aggregati. In questo modo ricalcano in tutto e per tutto la strada seguita in precedenza dalle potenze che li hanno sfruttati e spremuti nell’epoca coloniale. Ne introiettano acriticamente il modello sviluppista e consumista, squilibrando pesantemente l’ecosistema viste le dimensioni in termini di popolazione. Ma così entrano in una evidente contraddizione. Credo che questo tema vada affrontato con loro.

I Paesi emergenti impiegano una tecnologia industriale vecchia e inquinante. L’unico modo che hanno per ridurre l’emissione di gas nocivi, in assenza di know how moderno, è quello di rallentare i tassi di crescita. Non c’è forse una dose di strumentalità nell’avanzare questa pretesa da parte dei Paesi del G8, che in questo modo possono protrarre la loro supremazia stagnante sui mercati?
I Paesi del G8 trasferiscono le loro produzioni più obsolete e inquinanti verso i paesi emergenti contribuendo a quell’inquinamento che poi chiedono di ridurre. Come spiega Loretta Napoleoni nel suo Economia canaglia, gli aiuti dell’Occidente non sono altro che  regalie che avvantaggiano unicamente le multinazionali che investono in loco, a costi di produzione e tutela sociale infinitamente più bassi. Ancora una volta il problema sta nel modello di sviluppo prescelto. L’economia capitalista non da soluzioni alternative.

Il senato ha appena approvato in via definitiva il ritorno all’energia nucleare.
È un’altra follia. Anche a voler dare per scontato che questi impianti di nuova generazione siano affidabili, presto saranno antieconomici perché l’uranio è in via di esaurimento. Cosa faremo allora di queste cattedrali nel deserto, per giunta contaminate? Infine resta irrisolto il problema dello stoccaggio e della neutralizzazione delle scorie radioattive.