Poche parole per dire molto. Il mito di Euridice reiventato come metafora del decennio 70. E’ l’immagine scelta da Erri De Luca per narrare il tentativo rivoluzionario che ha chiuso il 900 italiano. Carico di densità poetica, il testo ha rappresentato una vera e propria sfida poiché destinato ad apparire sull’agenda 2014 di Magistratura democratica. Non a caso – hanno ammesso i curatori nell’introduzione al brano – «Dopo aver ricevuto e letto questo contributo è stata forte la tentazione di non pubblicarlo perché alcuni passaggi si prestano a interpretazioni ambigue che non vogliamo in alcun modo avallare. Ma povero è il gruppo che censura uno scritto così bello anche se altrettanto controverso». Decisione finale che ha mandato su tutte le furie Giancarlo Caselli. Il procuratore di Torino ha colto a pretesto l’episodio per dare le dimissioni lo scorso novembre dall’organo sindacale di cui è stato per decenni uno dei membri di spicco, anticipando di poco la sua dipartita definitiva dalla magistratura per raggiunti limiti di età.
Caselli si era già scontrato questa estate con De Luca e Vattimo, dopo che questi avevano sostenuto il movimento No tav di fronte alla contestazione da parte della procura piemontese di reati come “l’attentato contro lo Stato” e il ricorso all’aggravante della “finalità di terrorismo”.
De Luca aveva rivendicato, e Vattimo appoggiato, le azioni di sabotaggio dei cantieri e contro l’occupazione militare della Valle Susa. Per tutta risposta Caselli aveva lanciato un appello alla cultura italiana affinché si mobilitasse a sostegno delle indagini della sua procura e contro il «laboratorio di violenza politica» che – a detta sempre della procura da lui guidata – sarebbe rappresentato dal movimento No tav, visto come un pericoloso modello di sperimentazione politica sovversiva capace di forti potenzialità espansive.
Ovviamente gli intellettuali si sono ben guardati dal calarsi in trincea. Solo alcuni ex militanti di Lc sono scesi nella mischia cercando di regolare i conti con De Luca, sostenuti dai soliti grandi organi di stampa, Repubblica, Corriere e gazzette giustizialiste. Da qui la ferocia repressiva contro la carica simbolica che agli occhi di Caselli incarna la vertenza No tav. Una manifesta proiezione della vicenda degli anni 70 su contesti e dinamiche sociali profondamente diversi, solo che stavolta non è più il progetto rivoluzionario il nemico da combattere ma la possibilità stessa di opporsi, la libertà di dire no, di esprimere dissenso.
Notizie su Euridice di Erri De Luca
Euridice alla lettera significa trovare giustizia. Orfeo va oltre il confine dei vivi per riportarla in terra. Ho conosciuto e fatto parte di una generazione politica appassionata di giustizia, perciò innamorata di lei al punto di imbracciare le armi per ottenerla. Intorno bolliva il 1900, secolo che spostava i rapporti di forza tra oppressori e oppressi con le rivoluzioni. Orfeo scende impugnando il suo strumento e il suo canto solista. La mia generazione e scesa in coro dentro la rivolta di piazza. Non dichiaro qui le sue ragioni: per gli sconfitti nelle aule dei tribunali speciali quelle ragioni erano delle circostanze aggravanti, usate contro di loro.
C’è nella formazione di un carattere rivoluzionario il lievito delle commozioni. Il loro accumulo forma una valanga. Rivoluzionario non è un ribelle, che sfoga un suo temperamento, è invece un’alleanza stretta con uguali con lo scopo di ottenere giustizia, liberare Euridice.
Innamorati di lei, accettammo l’urto frontale con i poteri costituiti. Nel parlamento italiano che allora ospitava il più forte partito comunista di occidente, nessuno di loro era con noi. Fummo liberi da ipoteche, tutori, padri adottivi. Andammo da soli, però in massa, sulle piste di Euridice. Conoscemmo le prigioni e le condanne sommarie costruite sopra reati associativi che non avevano bisogno di accertare responsabilità individuali. Ognuno era colpevole di tutto. Il nostro Orfeo collettivo e stato il più imprigionato per motivi
politici di tutta la storia d’Italia, molto di più della generazione passata nelle carceri fasciste.
Il nostro Orfeo ha scontato i sotterranei, per molti un viaggio di sola andata. La nostra variante al mito: la nostra Euridice usciva alla luce dentro qualche vittoria presa di forza all’aria aperta e pubblica, ma Orfeo finiva ostaggio.
Cos’altro ha di meglio da fare una gioventù, se non scendere a liberare dai ceppi la sua Euridice? Chi della mia generazione si astenne, disertò. Gli altri fecero corpo con i poteri forti e costituiti e oggi sono la classe dirigente politica italiana. Cambiammo allora i connotati del nostro paese, nelle fabbriche, nelle prigioni, nei ranghi dell’esercito, nella aule scolastiche e delle università. Perfino allo stadio i tifosi imitavano gli slogan, i ritmi scanditi dentro le nostre manifestazioni. L’Orfeo che siamo stati fu contagioso, riempì di sé il decennio settanta. Chi lo nomina sotto la voce “sessantotto” vuole abrogare una dozzina di anni dal calendario. Si consumò una guerra civile di bassa intensità ma con migliaia di detenuti politici. Una parte di noi si specializzò in agguati e in clandestinità. Ci furono azioni micidiali e clamorose ma senza futuro. Quella parte di Orfeo credette di essere seguito da Euridice, ma quando si voltò nel buio delle celle dell’isolamento, lei non c’era.
Ho conosciuto questa versione di quei due e del loro rapporto, li ho incontrati all’aperto nelle strade. Povera è una generazione nuova che non s’innamora di Euridice e non la va a cercare anche all’inferno.
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