“La controriforma Gelmini non è solo un carro armato lanciato contro chi fa ricerca, ma è una vero tentativo di guerra finale contro il diritto allo studio”
Paolo Persichetti
Liberazione 16 settembre 2010
Si chiamava Norman Zancone, aveva 27 anni ed era dottorando presso l’università di Palermo. Si è ucciso gettandosi da un terrazzo del settimo piano della facoltà di lettere. «Per me non c’è futuro», ha detto prima di lanciarsi nel vuoto. Il giovane stava ultimando un dottorato in filosofia del linguaggio ma negli ultimi tempi era molto depresso di fronte all’assenza di prospettive per il suo futuro. Questo gesto estremo da voce in modo drammatico al malessere profondo che attraversa il mondo della scuola e dell’università dopo l’arrivo della “controriforma” Gelmini. Spiega Stefania Tuzi, ricercatrice alla Sapienza, che i ricercatori sono tra le figure più penalizzate dai nuovi dispositivi legislativi. «Abbiamo il futuro assolutamente sbarrato», dice. I prossimi concorsi causa la penuria economica non partiranno prima di dieci anni e nel frattempo ci sarà l’introduzione del ricercatore a tempo determinato, 3+3, assunto per chiamata. «Non è vero che questa riforma metterà fine al baronaggio favorendo il merito, accadrà l’esatto contrario». Nella legge si parla di nuovi criteri di valutazione sulla ricerca qualificata ma con l’obbligo di fare didattica, «ma in questo modo non si capisce dove si potrà trovare il tempo di fare ricerca». Come se non bastasse, a decidere saranno i privati e non più di tre-quattro docenti ordinari che avranno in mano l’intera governance delle università. I ricercatori sono estromessi da qualsiasi decisione. Non solo, «ma i privati – aggiunge – avranno la possibilità di aprire e chiudere corsi di laurea, chiamare persone sulla base di criteri costruiti ad hoc». In sostanza subentra la privatizzazione del reclutamento. «Per vincere un concorso ho fatto anni di precariato. Dottorato, postdottorato, master e il concorso è durato tre giorni. Noi chiediamo di esser valutati non l’arbìtrio». La controriforma Gelmini non è solo un carro armato lanciato contro chi fa ricerca, ma è una vero tentativo di guerra finale contro il diritto allo studio. «Per gli studenti è previsto il prestito d’onore. Per studiare dovranno indebitarsi. Secondo i calcoli fatti dal Consiglio nazionale universitario i figli degli impiegati non potranno più accedere all’università». I privati avranno anche il potere di vendere le proprietà immobiliari delle università. «Hai idea di quanti terreni possiede l’università di Tor Vergata? Nessun privato concede finanziamenti all’università a fondo perduto. Lo dimostra il fatto che già oggi le università private vivono con i finanziamenti pubblici, più le rette. I privati sono interessati a poche cose, principalmente i beni immobili degli atenei che sono enormi e pregiati, situati in zone della città con un alto valore immobiliare. Questi vogliono soltanto smantellare l’università pubblica». A chi li accusa di non voler insegnare, rispondono che l’indisponibilità alla didattica «non è uno sciopero. Semplicemente abbiamo cessato da fare volontariato a titolo assolutamente gratuito». Oggi l’università italiana si regge grazie alla buona volontà. «L’unico modo per farlo capire è stato smettere di fare quello che la legge non prevede. Dopodiché siamo 24 mila e così si fermano gli atenei. Qualcuno dovrà pur rendersi conto che l’università è fatta solo di precari e di gente che fa volontariato». C’è un dato impressionante: a breve andranno in pensione il 35% dei professori che non saranno sostituiti. «Questo vuol dire che i prossimi anni accademici non saranno più in grado di portare a termine le lauree. La nostra è una battaglia per una università libera, pubblica e aperta». I ricercatori si danno appuntamento per un incontro nazionale venerdì 17, ore 10,30, alla Sapienza (facoltà di Chimica).
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