Croce e le fonti autorevoli di Saviano. 
Ecco perchè il caso non è affatto chiuso

La tutela della memoria e dell’immagine di Benedetto Croce e della sua famiglia. Sono queste le ragioni che 
muovono le contestazioni della signora Marta Herling a Roberto Saviano sulla ricostruzione da lui proposta – nel corso di una delle puntate televisive di “Vieni via con me” e del successivo libro edito da Feltrinelli – delle circostanze che portarono al salvataggio del futuro filosofo napoletano subito dopo il terremoto di Casamicciola.
Esiste tuttavia un secondo aspetto, a mio avviso ancora più rilevante, che 
investe il metodo e l’uso delle fonti. E’ qui che Saviano dimostra di 
non esserre all’altezza delle ambizioni. Per uno che vorrebbe correggere 
le “bozze di Dio”, l’errore è grossolano. Le fonti si citano in modo completo e si verificano. Le 100 mila lire che il padre del giovane Croce avrebbe consigliato al figlio di promettere ai soccorritori per farsi tirare fuori dalle macerie prima degli altri, sono un esempio. Il Papa dell’epoca, Leone XIII (siamo nel 1883), stanziò a nome del Vaticano 20 mila lire per venire in soccorso dei terremotati. E’ evidente che la cifra indicata nelle fonti di Saviano non tiene. C’è un errore macroscopico. Non solo, ma la storia di De Balzo, citata come fonte solo in seconda battuta da Saviano, dopo aver evocato all’inizio Ugo Pirro, che a sua volta citava un cronista anonimo, non porta elementi nuovi in grado di confutare la versione dell’autobiografia di Croce.
Ma a tutto voler concedere, un narratore onesto avrebbe quanto meno fatto riferimento alla controversia delle fonti, citandole tutte per intero. Il punto è questo: si può anche romanzare una vicenda riprendendo la fonte narrativamente più efficace. Basta precisarlo senza pretendere di voler in questo modo raccontare la versione storicamente più fedele.
Ancora una volta si ripropone l’ambiguità originaria del dispositivo narrativo di Saviano, già contestato in “Gomorra”.
Aggiungo che il tema vero che sottende questa polemica è quello del rapporto col passato. Per Saviano, e l’apparato che lo sostiene, si tratta di amministrare una sorta di monopolio del passato sottraendosi ai criteri di verifica e confutazione esistenti nella comunità storico-scentifica.
Esiste un’altra concezioe che ritiene l’approccio al passato un processo, una costruzione plurale che risponde a criteri di verifica pubblica.
Per usare dei paradigmi semplificatori: da una parte si propone una verità di tipo orwelliano, come fa Saviano; dall’altra una verità sul modello galileiano.


L’opinione del direttore del «Corriere del Mezzogiorno»

«La nipote del filosofo pone questioni rilevanti a cui Saviano non risponde. Le sue fonti sono due anonimi»

Marco Demarco
Corriere del Mezzogiorno 15 marzo 2011

Se il mondo si dovesse dividere in due, da una parte gli amici di Saviano e dall’altra i nemici, io non avrei dubbi: come ho già detto mille volte, starei con i primi. Ma vivaddio non siamo ancora a questo punto e dunque mi sento sciolto da un simile dualismo. Sto con Saviano spesso, anzi spessissimo, specialmente quando guida la rivolta civile contro i poteri criminali; ma non sempre. Sulla storia di Croce, tanto per esser chiari, io sono più vicino alle posizioni di Marta Herling che alle sue. Per la semplice ragione che, proprio sulle colonne di questo giornale, Marta Herling ha sollevato due questioni non irrilevanti.
La prima. Perché romanzare la morte della famiglia Croce nel terremoto di Casamicciola del luglio 1883, quando quell’evento era stato già dettagliatamente descritto dall’unico testimone oculare, e cioè dallo stesso Croce? Insomma, perché Saviano si è fidato più di altri che di Croce stesso? È la domanda che lunedì sera, dal Tg1, gli ha rivolto anche il vicedirettore Genny Sangiuliano. La seconda. Perché prendere per buona la storia delle centomila lire offerte chi avrebbe tirato fuori il giovane Croce dalle macerie? La prima questione riguarda la narrazione in sé, suo rapporto con la realtà, se sia giusto o meno arrotondare gli eventi in modo da colpire di più il lettore: da «accileccare» avrebbe detto Gadda. Su questo, Marta Herling ha esposto i suoi dubbi, ma Saviano non le ha risposto. La seconda questione riguarda invece l’uso delle fonti. Saviano, intervistato da Mentana, dice che quel particolare sulle centomila lire offerte tra le macerie e nel vivo di una ferita personale e collettiva, non è una sua invenzione, avendolo tratto da un articolo di Ugo Pirro, scrittore e sceneggiatore autorevolissimo, apparso sul numero di Oggi del 13 aprile 1950. Il che è assolutamente vero, come i lettori del Corriere del Mezzogiorno ben sanno, giacché è stato proprio su queste colonne che Giancristiano Desiderio ha rivelato dove Saviano avesse attinto per il suo racconto.
Almeno su questo punto, dunque, si ammetterà che la lezioncina di Saviano sulla scorrettezza dei giornalisti a tutti può essere rivolta tranne che a noi. Sta di fatto, però, che lo stesso Pirro riporta quel particolare alla stregua di una voce e la fa risalire a un giornalista anonimo che al tempo del terremoto di Casamicciola girava tra gli ospedali e intervistava i feriti. La stessa voce, a quanto si capisce, riferita in un libro intitolato Disastri, Ischia come Giava, edito nel 1883, di autore anonimo. Due anonimi: il giornalista citato da Pirro e l’autore del libro. Probabilmente la stessa persona. Francamente, un po’ poco per non nutrire qualche dubbio. Tanto più che lo stesso Pirro ricorda che, per le vittime di quel terremoto, il Papa «stanziò ventimila lire per gli aiuti più urgenti». Ripeto: ventimila, e parliamo di Leone XIII, il cui nome è legato alla Rerum novarum alla dottrina sociale della Chiesa. Possibile che il papà di Benedetto abbia invece indotto il figlio a offrire cinque volte di più e solo per salvare se stesso? Lo ha detto Pirro, dice Saviano. E allora? E poi, perché offrire tanto? Forse per indurre i soccorritori a salvare il giovane Benedetto prima di altri? Capite quale assurdo dubbio morale pone quel particolare apparentemente così irrilevante? E capisce, Saviano, perché Marta Herling sia rimasta tanto colpita?
Ma Saviano afferma anche che la storia delle centomila lire non è stata mai smentita da Croce stesso, che tra l’altro è morto due anni dopo la pubblicazione dell’articolo di Pirro, cioè nel 1952. Attenzione! Non averlo smentito, con tutte le cose che al tempo si scrivevano sul filosofo, vuol dire farlo passare per vero? E se così fosse, come mai Croce non ne ha mai parlato, nei libri e nelle interviste, ogni qualvolta gli è capitato di tornare su quella tragica vicenda personale? Si è forse autocensurato? E magari lo avrà fatto con la consapevolezza di chi si portava dentro l’atroce ambiguità morale di quell’atteggiamento? Lo dico in modo molto semplice. A me colpisce che Saviano non abbia avuto la sensibilità di capire quale nervo il suo racconto andava a scoprire. E colpisce anche che non si sia rivolto alla Herling con le sole parole che andavano pronunciate. E cioè: cara signora Herling, le ho spiegato le mie ragioni, ma le chiedo scusa se, al di là di esse, il mio racconto abbia potuto ingenerare qualche equivoco e se questo equivoco l’abbia irreparabilmente offesa. E invece no. Saviano ha messo tutti sullo stesso piano: la Herling, i giornalisti che hanno scrupolosamente fatto il loro mestiere e quelli che, come si dice, ci hanno invece «marciato» per partito preso. Ma ripeto: il mondo non si taglia a fette. E meno male.
P. S.— Saviano e Mentana si sono meravigliati per il fatto che i giornalisti abbiano scritto di questa vicenda senza mai consultare lo stesso Saviano. Ma come? Possibile? Prima che qualcuno avverta puzza di fango, mi chiedo: ma Saviano ha forse consultato la Herling prima di scrivere su Croce? Non mi pare.

Fonte: Corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli

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di Giancristiano Desiderio
Corriere del Mezogiorno 17 marzo 2011

Il povero Pasquale Croce, morto nel tremendo terremoto di Casamicciola con la moglie Luisa e la figlioletta Maria, prima di morire disse o no al figlio Benedetto la frase, ormai famosa: «Offri centomila lire a chi ti salva»? No, non la disse, perché l’unico testimone oculare di quella notte calma e stellata è proprio Croce e nelle opere in cui ricorda e ricostruisce quelle ore che mai gli uscirono dalla testa non fa mai alcuna menzione della leggenda delle centomila lire.
«Vidi in un baleno mio padre levarsi in piedi, e mia sorella gettarsi nelle braccia di mia madre», scrive nelle Memorie della mia vita, «io istintivamente sbalzai dalla terrazza, che mi si aprì sotto i piedi, e perdetti ogni coscienza. Rinvenni a notte alta, e mi trovai sepolto fino al collo e sul mio capo scintillavano le stelle, e vedevo intorno il terriccio giallo, e non riuscivo a raccapezzarmi su ciò che era accaduto, e mi pareva di sognare. Compresi dopo un poco». Il terremoto gli cambiò la vita degli affetti e dei pensieri. «Quegli anni furono miei più dolorosi e cupi», Scrive durante la Prima guerra mondiale nel Contributo alla critica di me stesso, «i soli nei quali assai volte la sera, posando la testa sul guanciale, abbia fortemente bramato di non svegliarmi al mattino, e mi siano sorti persino pensieri di suicidio». L’idea della morte come fine della sofferenza ritornerà in Croce nelle settimane prima della morte corporale, avvenuta il 20 novembre 1952, quando il giovane Raffaello Franchini lo intervistava: «Solo per questo desidero la morte, perché allora finirò di ricordarmi di quella notte» .
Ma se di quel tragico evento e di ciò che comportò nella vita di Croce conosciamo l’unica versione possibile che, per nostra fortuna è anche la più autorevole, perché ci interessiamo della inutile «questione delle centomila lire»? Per il semplice motivo che Roberto Saviano nel suo monologo nella trasmissione «Vieni via con me», ora diventato libro, racconta Casamicciola secondo la versione infondata delle centomila lire e non considera l’unica fonte certa: Benedetto Croce. Anche quando la nipote del filosofo, Marta Herling gli ha fatto notare di mistificare la storia e la memoria lui, Saviano, non ha accettato le critiche suffragate da fatti e riscontri, ma ha ritenuto che la sua versione delle centomila lire sia quella vera perché «Croce non la smentì» . Ma Croce non smentì nulla perché non c’era nulla da smentire. L’unica cosa che qui si smentisce da sola è la versione di Saviano che dal punto di vista della filologia e della storia è infondata. Tutto nasce da questo «fatto» : Saviano nel libro dà una versione romanzata o sceneggiata del terremoto di Casamicciola. È bene riprenderla pari pari: «Nel luglio del 1883 il filosofo Benedetto Croce si trovava in vacanza con la famiglia a Casamicciola, Ischia. Era un ragazzo di diciassette anni. Era a tavola per la cena con la mamma, la sorella e il padre e si accingeva a prendere posto. A un tratto, come alleggerito, vide suo padre ondeggiare e subito sprofondare sul pavimento, mentre sua sorella schizzava in alto verso il tetto. Terrorizzato, cercò con lo sguardo la madre e la raggiunse sul balcone, da cui insieme precipitarono. Svenne e rimase sepolto fino al collo nelle macerie. Per molte ore il padre gli parlò, prima di spegnersi. Gli disse: “Offri centomila lire a chi ti salva”. Benedetto sarà l’unico supersite della sua famiglia massacrata dal terremoto».
La nipote del filosofo dopo aver letto si è arrabbiata perché ha trovato completamente stravolta la verità della storia familiare e ha detto a Saviano di «inventare storie» . Infatti, inventare storie significa inserire nella realtà la fantasia o leggende non accertate e suffragate da fatti. È proprio quanto avvenuto. La cosa più grave, però, è un’altra. Questa: Saviano non accetta di essere corretto e criticato perché ritiene di avere la patente dell’infallibilità. E la cosa allora diventa anche ridicola perché quando lo scrittore di Gomorra cita le fonti della sua cronaca romanzata si avviluppa in una serie di insensatezze e inventa il metodo delle fonti a posteriori e a rate. Un giorno – domenica 13 marzo – va al Tg di Mentana e rivela la sua fonte: un articolo di Ugo Pirro comparso su Oggi il 13 aprile 1950 in cui lo sceneggiatore intervistava Croce. Saviano, però, come è già stato rilevato sul Corriere del Mezzogiorno, dimentica di dire alcune cose fondamentali: che la storia delle centomila lire non esce dalla bocca di Croce e neanche dalla bocca di Pirro. Dimentica di dire che l’intervista di Pirro fa riferimento a un cronista anonimo del 1883. Saviano, però, non dimentica di fare una lezione ai giornalisti che non sanno fare il loro mestiere perché non ricercano e non verificano e critica anche la Herling che, invece, altro non ha fatto che richiamarsi all’unica fonte valida in materia: il nonno.
Passano due giorni e dopo che il Corriere gli ha fatto notare che alla sua fonte manca la cosa più importante, il riscontro certo dei fatti, Saviano va di nuovo in televisione, questa volta da Lilli Gruber, e dice: «La mia fonte è Carlo Del Balzo» . A questo punto il lettore si aspetta che Saviano riveli finalmente una fonte certa e sicura in cui l’unico testimone, cioè Croce, parli e dica come andarono le cose. E invece no perché la cronaca di Carlo Del Balzo dal suo libro del 1883 edito a Napoli nella Tipografia Carluccio, De Blasio &C. intitolato Cronaca del tremuoto di Casamicciola è molto deludente. Eccola qui per i nostri appassionati lettori che potranno venire a capo della vicenda: «Era anche a villa Verde tutta la famiglia Croce di Foggia. Erano nella loro camera la signora Croce e la figliuoletta, il sig. Croce e il primogenito, seduti presso un tavolino, scrivevano, in una stanza attigua; la porta di comunicazione era aperta. La signora Croce e la fanciullina cadono travolte nel pavimento, che crolla tutto: non un grido, non un lamento, muoiono istantaneamente. Al contrario, il sig. Croce, sebbene del tutto sepolto, parla di sotto le pietre. Il suo figliuolo gli è daccanto, coperto fino al collo dalle pietre e dai calcinacci. E il povero padre gli dice: offri centomila lire a chi ti salva; e parla col figlio, che non può fare nulla per sé, nulla pel babbo, tutta la notte!».
Chi disse a Carlo Del Balzo, uomo politico e romanziere, che il povero Pasquale Croce disse al figlio l’idea delle centomila lire? Non lo sappiamo perché Del Balzo non lo dice. Ma è certo che non lo dice Croce dal momento che Del Balzo non afferma neanche che fu il primogenito del signor Croce a riportagli le parole del padre. Ciò nonostante, Saviano crede a Del Balzo e non a Croce. E forse nei prossimi giorni rivelerà un’altra fonte. Magari può citare Casamicciola di Dantone sempre del 1883 oppure un articolo di Gianni Artieri La notte di Casamicciola, ma non vi troverà nulla di buono per suffragare il suo racconto semplicemente perché è sbagliato. Dunque, la filologia del testo di Saviano conduce a un nulla di fatto e a un nulla di vero. Marta Herling gli ha semplicemente ricordato la verità. Saviano poteva chiedere scusa e chiuderla lì. E invece no. Pretende di avere la verità in tasca anche quando in tasca ha il resto di niente (o di centomila lire).

Fonte: corrieredelmezzogiorno.corriere.it

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