Paolo Giovagnoli, quando il Pm faceva le autoriduzioni

Gli anni 70 e l’ autoriduzione, due amici contro. Sansonetti: c’ era pure lui. Il magistrato: è falso. Il direttore di «Liberazione» chiama in causa il pm di Bologna Giovagnoli. La replica: sbaglia o mente

Marco Imarisio
Corriere della sera 24 aprile 2006

Vecchi amici, come no. Per celebrare adeguatamente il nobile sentimento che lo lega al magistrato Paolo Giovagnoli, il giornalista Piero Sansonetti scrive un editoriale sul giornale da lui diretto, Liberazione, quotidiano di Rifondazione Comunista, per dire con dichiarata malizia che da ragazzi andavano insieme all’ università, sono entrambi romani, spesso prendevano la pizza insieme – 500 lire birra compresa a San Lorenzo – e una volta addirittura «bloccammo la mensa e imponemmo il prezzo politico di 100 lire… arrivò la polizia, ci fu po’ di bordello».
L’ altra campana, ovvero il magistrato, è meno espansiva, e ha ricordi diversi: «Mi dispiace che si raccontino fatti completamente falsi e inventati per trattare un tema serio, che meriterebbe di essere discusso politicamente». Interpellato, Giovagnoli smentisce, piuttosto indignato. Dice di avere buona memoria. Non nega la passata amicizia con Sansonetti, spiega che entrambi frequentavano la segreteria della sezione universitaria del Pci, ovviamente non nasconde la sua passata militanza di sinistra, ricorda tanti episodi sulle lotte tra rossi e neri, ma la storia della mensa, proprio no. Riconosce che Sansonetti non abusa del termine «vecchio amico», nel senso che lo erano davvero, ma sul punto «sbaglia, oppure mente».
Il chissenefrega sarebbe doveroso, se la vedessero loro e basta con questi amarcord generazionali. Piccolo dettaglio, che ovviamente non sfugge a nessuno e tantomeno a Sansonetti quando scrive di questo fondamentale revival: il suo vecchio amico Giovagnoli è il magistrato che ha indagato alcuni militanti del Movimento (quello di oggi) per l’occupazione e l’ autoriduzione in una mensa universitaria di Bologna, contestandogli anche l’ aggravante dell’eversione. Il segretario cittadino di Rifondazione Comunista e alcuni consiglieri ne hanno fatto una questione personale, attaccando Giovagnoli e chiedendo provvedimenti nei suoi confronti al governo che verrà, atteggiamento definito «berlusconiano» dai Ds bolognesi.
La faccenda sta provocando qualche imbarazzo, perché impila una serie di questioni aperte sul rapporto tra sinistra radicale e magistratura. Sansonetti non entra nel merito, ma si limita a ricordare che da giovane quel magistrato faceva le cose che oggi condanna con accuse piuttosto pesanti. «Non vorrei aver messo nei guai Paolo con questo racconto che è quasi una confessione» è il rovello del direttore di Liberazione. Giovagnoli più di questo non può dire. Nuovamente tirato in ballo, stavolta a mezzo stampa, smentisce che quell’ episodio sia mai avvenuto. I vertici della Procura di Bologna tirano le conclusioni di giornata, con replica a Sansonetti e Fausto Bertinotti («La magistratura ha sbagliato»): «Tutti quelli che intervengono nel dibattito fingono di non capire che il problema non è l’aggravante dell’eversione ma l’impiego delle minacce per fare politica».
Rimane il fondamentale dubbio su quale dei due vecchi amici abbia la miglior memoria. Ma così, a spanne, non sembra essere il punto fondamentale della storia. Quella attuale.

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Un vecchio ricordo sul procuratore Giovagnoli…. un giudice che fu eversore…


Liberazione
24 aprile 2006
di Piero Sansonetti

Vorrei brevemente, e senza eccessiva malizia, raccontarvi la storia di un mio vecchio amico, e poi polemizzare con un altro mio amico più recente. I nomi di queste due persone sono da un po’ di tempo alla ribalta della cronaca: il giudice Paolo Giovagnoli di Bologna e Marco Travaglio.
Cominciamo con la polemica, che è con Marco Travaglio. Giornalista di grande bravura, arguto, pieno di informazioni, forte di una memoria d’acciaio, polemista di notevoli capacità (maturate alla scuola pungente e molto aggressiva di Indro Montanelli) ma – da sempre (come del resto il suo maestro) – di idee alquanto reazionarie. Travaglio è un liberale di stampo asburgico. Ed è un personaggio un po’ originale, non per le sue posizioni – che io trovo quasi abominevoli, lo dico con affetto, e tuttavia sono legittimissime e molto lineari – ma perché gli scherzi della vita lo hanno collocato, nella geografia della politica e della intellettualità italiana in un luogo a lui del tutto inadatto: a sinistra. Da diversi anni Marco è diventato quasi un idolo di un “pezzo” di sinistra italiana, ed è stato leader indiscusso del cosiddetto movimento dei “girotondi”, e cioè anche di ragazzetti – orrore, orrore – che indossavano magliette col volto di Che Guevara o che portavano al collo la kefiah di Arafat. Eppure lui, onestamente, non lo ha mai negato: «Sono di destra – dice spesso -, lo giuro, sono di destra». Come è successo questo fraintendimento? Colpa di Berlusconi. Travaglio, liberale e asburgico, è molto legalitario, e non sopporta l’illegalismo berlusconiano. Questo ha spinto tutti all’equivoco. Ma Travaglio non ce l’ha mai avuta con Berlusconi – come succede a noi – perché Berlusconi è ricco e reazionario: ce l’ha avuta e ce l’ha con Berlusconi, e non lo molla di un centimetro, perchè Berlusconi gabba la legge. E se la legge la gabba un poveretto, un bimbo rom, uno studente ribelle, o una nonna povera, per Travaglio (un po’ come per Cofferati) è esattamente la stessa cosa. E grida: «In prigione, in prigione…». Ieri, in un’intervista al Corriere della Sera, Marco si è indignato per le proteste avanzate della sinistra bolognese contro il giudice Giovagnoli, cioè quello che ha incriminato per eversione alcuni studenti che si erano autoridotti il costo del pranzo alla mensa universitaria. E’ inammissibile – ha detto Travaglio-: «la legge è legge, deve essere uguale per tutti, per Previti e per gli studenti». Non si possono fare favoritismi. E’ una protesta curiosa: Travaglio saprà – perché, appunto, ha un archivio molto ricco – che le carceri sono strapiene di poveracci, specialmente di giovanetti e di migranti, e sono quasi prive di ospiti altolocati – avvocati, medici o ricconi – se si fa l’eccezione del povero Ricucci. E dunque la sua polemica è un po’ stonata: stia tranquillo, perché è raro che la magistratura chiuda un occhio a favore del disgraziato per accanirsi sul potente. E’ raro, è molto raro. Ma chi è questo giudice Giovagnoli che sospetta che quei ragazzi di Bologna volessero sovvertire le istituzioni e prendere illegittimamente il potere (eversione, se ho capito bene, più o meno vuol dire questo…)?
Lo conosco Giovagnoli, e tanti anni fa eravamo amici, andavamo all’università insieme, spesso anche a prendere la pizza (a San Lorenzo, a Roma, costava 500 lire, compresa
la birra), e militavamo nella sezione universitaria del Pci. Ci occupammo, qualche volta, anche della mensa universitaria, che si trovava alla casa dello studente, a via de Lollis, e dove il pasto completo costava 300 lire. Mi ricordo che una volta, insieme, e insieme a molti altri compagni della sezione, bloccammo la mensa e imponemmo il prezzo politico di 100 lire. Arrivò la polizia, ci fu un po’ di bordello. Non vorrei adesso avere messo nei guai Paolo, con questo racconto, che è quasi una confessione. E non vorrei neanche avere messo nei guai me stesso. Però sono passati quasi tret’anni, e io penso che – specie dopo la legge Cirielli – sia scattata la prescrizione. Ammenochè – mi viene improvvisamente il sospetto – un reato grave come quello di eversione non sia escluso dai benefici della prescrizione. Se è così ho fatto un bel guaio…

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