Il capo della Mobile: minacce non riscontrate. Lo scrittore: ho una condanna a morte.
L’intervista del poliziotto sul «Magazine» del Corriere: «Saviano non doveva avere la scorta»
Fulvio Bufi
Corriere della sera 14 ottobre 2009
NAPOLI – Il titolo che i lettori del Corriere troveranno giovedì 15 a pagina 78 del Magazine, a introdurre «L’intervista » di Vittorio Zincone, è: «Saviano non doveva avere la scorta». Nell’occhiello c’è il nome e cognome di chi sostiene questa tesi: Vittorio Pisani, capo della Squadra Mobile di Napoli. Pisani è un funzionario di grande spessore e sicuramente di grande futuro. Un patrimonio della Polizia, se a nemmeno quarant’anni (oggi ne ha 42) gli fu affidato il comando di uno degli uffici investigativi più importanti d’Italia. È un calabrese taciturno e poco avvezzo alla ribalta mediatica, ma nell’intervista a Magazine sceglie di incamminarsi su un terreno che inevitabilmente proprio su quella ribalta lo espone. Andare controcorrente sul tema Saviano è impegnativo. Però Pisani non parla per sentito dire. Spiega: «A noi della Mobile fu data la delega per riscontrare quel che Saviano aveva raccontato a proposito delle minacce ricevute. Dopo gli accertamenti demmo parere negativo sull’assegnazione della scorta». E in tre anni non sembra aver cambiato idea: «Resto perplesso quando vedo scortare persone che hanno fatto meno di tantissimi poliziotti, magistrati e giornalisti che combattono la camorra da anni». Nemmeno di Gomorra pare entusiasta: «Ha avuto un peso mediatico eccessivo rispetto al valore che ha per noi addetti ai lavori». È la prima volta che un uomo dello Stato mette in discussione il fenomeno Saviano, sia per quanto avrebbe inciso con il suo libro nella lotta alla camorra, sia per i rischi ai quali quel libro lo avrebbe esposto. Ma Pisani rischia di rimanere solo. Saviano, contattato dal Corriere per una replica, sceglie ufficialmente il silenzio, ma è chiaro che l’ha presa malissimo. E comunque ci tiene a far sapere di avere avuto in questi anni conferme di essere stato condannato a morte dai casalesi, anche da persone in passato vicine al clan capeggiato da Francesco «Sandokan» Schiavone e dai superlatitanti Mario Iovine e Michele Zagaria. Non risponde direttamente a Pisani, ma prende chiaramente le distanze, invece, il procuratore di Salerno Franco Roberti, fino a pochi mesi fa capo della Direzione distrettuale antimafia di Napoli. «Non commento l’opinione personale del dottor Pisani – dice – ma vorrei ricordare che il comitato presieduto dal prefetto che assegnò la scorta a Saviano lo fece sulla base di una serie di informazioni anche confidenziali e tutte convergenti. E quindi non ho dubbi che lo siamo di fronte a un soggetto da proteggere assolutamente». Del resto la decisione di assegnare o meno la scorta a qualcuno viene presa anche considerando un contesto ambientale che può non avere riscontri certi dal punto di vista giudiziario. Per esempio non sono mai stati individuati gli autori delle scritte contro Saviano sui muri di Casal di Principe, né dei volantini trovati nella buca delle lettere dei genitori dello scrittore. Ma quegli episodi rappresentano una minaccia. Come fu una minaccia il proclama in aula durante il processo Spartacus contro Saviano, il giudice Raffaele Cantone e la giornalista Rosaria Capacchione. Per quell’episodio, però, un risvolto giudiziario c’è e c’è un’inchiesta che vede imputati Iovine e l’altro boss dei casalesi Francesco Bidognetti. Archiviata, invece, l’indagine sulla preparazione di un attentato con autobomba per uccidere lo scrittore. Se ne parlò come della confidenza di un pentito, ma in realtà non era vero niente. Non solo l’organizzazione dell’attentato ma nemmeno la confidenza del pentito.
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