Occupazione militare dello spazio semantico: Saviano e il suo dispositivo

Il dispositivo Saviano ha la leggerezza claustrofobica di una occupazione militare. Quando le parole assumono il volto arcigno della forza statale. Leggete questa testimonianza ripresa dal blog di Luca Bianchini

 

 

«Vi giro innanzi tutto la mail che ho ricevuto prima di partecipare a “Quello che non ho”, che ho visto ieri dal vivo alle OGR di Torino.

Alcune importanti raccomandazioni:

Non sarà in nessun modo possibile sostituire i nominativi all’ingresso: l’accesso sarà garantito solo a coloro che si trovano in lista.

Sarà indispensabile portare con sè un documento d’identità valido, senza il quale, non sarà possibile accedere agli studi (il documento identificativo dovrà essere lo stesso di quello fornito).

Tutto il pubblico sarà soggetto a controlli da parte della sicurezza con il passaggio sotto un metal detector prima dell’accesso in studio. Per agevolare le operazioni di passaggio preghiamo gentilmente di portare con sè il minor numero possibile di oggetti metallici (in particolare gioielli e orologi) ed indumenti con parti metalliche (scarpe, borchie, fibbie di cinture). Le persone che sono esentate per motivi di salute (by-pass, etc.) dovranno presentare obbligatoriamente il certificato medico.

Non sarà possibile accedere agli studi con la borsa: sarà presente un guardaroba gratuito e custodito.

Preghiamo inoltre di non accedere agli studi con telefonini, videocamere o macchine fotografiche che non saranno utilizzabili.

L’abbigliamento è libero: da evitare il colore viola e loghi o marche sugli abiti».

Fonte – http://popup.vanityfair.it/2012/05/16/quello-che-non-ha-roberto-saviano/


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Arriva il partito della legalità
Sotto le parole niente: il nuovo libro cuore di Fazio e Saviano

Il capo della Mobile: minacce non riscontrate. Lo scrittore: ho una condanna a morte

Il capo della Mobile: minacce non riscontrate. Lo scrittore: ho una condanna a morte.
L’intervista del poliziotto sul «Magazine» del Corriere: «Saviano non doveva avere la scorta»

Fulvio Bufi
Corriere della sera 14 ottobre 2009

NAPOLI – Il titolo che i lettori del Corriere troveranno giovedì 15 a pagina 78 del Maga­zine, a introdurre «L’intervi­sta » di Vittorio Zincone, è: «Sa­viano non doveva avere la scorta». Nell’occhiello c’è il no­me e cognome di chi sostiene questa tesi: Vittorio Pisani, ca­po della Squadra Mobile di Na­poli.

 Pisani è un funzionario di grande spessore e sicuramen­te di grande futuro. Un patri­monio della Polizia, se a nem­meno quarant’anni (oggi ne ha 42) gli fu affidato il coman­do di uno degli uffici investi­gativi più importanti d’Italia. È un calabrese taciturno e po­co avvezzo alla ribalta media­tica, ma nell’intervista a Maga­zine sceglie di incamminarsi su un terreno che inevitabil­mente proprio su quella ribal­ta lo espone. Andare contro­corrente sul tema Saviano è impegnativo. Però Pisani non parla per sentito dire. Spiega: «A noi della Mobile fu data la delega per riscontrare quel che Saviano aveva raccontato a proposito delle minacce rice­vute. Dopo gli accertamenti demmo parere negativo sul­l’assegnazione della scorta». E in tre anni non sembra aver cambiato idea: «Resto perples­so quando vedo scortare per­sone che hanno fatto meno di tantissimi poliziotti, magistra­ti e giornalisti che combatto­no la camorra da anni». Nem­meno di Gomorra pare entu­siasta: «Ha avuto un peso me­diatico eccessivo rispetto al valore che ha per noi addetti ai lavori». 

È la prima volta che un uo­mo dello Stato mette in di­scussione il fenomeno Savia­no, sia per quanto avrebbe in­ciso con il suo libro nella lotta alla camorra, sia per i rischi ai quali quel libro lo avrebbe esposto. Ma Pisani rischia di rimanere solo. Saviano, con­tattato dal Corriere per una re­plica, sceglie ufficialmente il silenzio, ma è chiaro che l’ha presa malissimo. E comun­que ci tiene a far sapere di ave­re avuto in questi anni confer­me di essere stato condanna­to a morte dai casalesi, anche da persone in passato vicine al clan capeggiato da France­sco «Sandokan» Schiavone e dai superlatitanti Mario Iovi­ne e Michele Zagaria.

 Non risponde direttamente a Pisani, ma prende chiara­mente le distanze, invece, il procuratore di Salerno Franco Roberti, fino a pochi mesi fa capo della Direzione distret­tuale antimafia di Napoli. «Non commento l’opinione personale del dottor Pisani – dice – ma vorrei ricordare che il comitato presieduto dal prefetto che assegnò la scorta a Saviano lo fece sulla base di una serie di informazioni an­che confidenziali e tutte con­vergenti. E quindi non ho dubbi che lo siamo di fronte a un soggetto da proteggere as­solutamente». 

Del resto la decisione di as­segnare o meno la scorta a qualcuno viene presa anche considerando un contesto am­bientale che può non avere ri­scontri certi dal punto di vista giudiziario. Per esempio non sono mai stati individuati gli autori delle scritte contro Sa­viano sui muri di Casal di Principe, né dei volantini tro­vati nella buca delle lettere dei genitori dello scrittore. Ma quegli episodi rappresen­tano una minaccia. Come fu una minaccia il proclama in aula durante il processo Spar­tacus contro Saviano, il giudi­ce Raffaele Cantone e la gior­nalista Rosaria Capacchione. Per quell’episodio, però, un ri­svolto giudiziario c’è e c’è un’inchiesta che vede imputa­ti Iovine e l’altro boss dei casa­lesi Francesco Bidognetti. Ar­chiviata, invece, l’indagine sulla preparazione di un atten­tato con autobomba per ucci­dere lo scrittore. Se ne parlò come della confidenza di un pentito, ma in realtà non era vero niente. Non solo l’orga­nizzazione dell’attentato ma nemmeno la confidenza del pentito.

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