Stefano Cucchi, quella morte “misteriosa” di un detenuto in ospedale

All’udienza dopo l’arresto Stefano Cucchi aveva già gli occhi neri. La famiglia chiede di vedere la salma

Checchino Antonini
Liberazione 25 ottobre 2009

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Aldo Bianzino, morto due anni fa in una prigione di Perugia per cause ancora da chiarire. Marcello Lonzi, ammazzato in una galera livornese nel 2003 da un arresto cardiocircolatorio ma il suo corpo sfigurato, a sua madre che cerca ancora verità, dice tutt’altro. Fino a l’altroieri, Ilaria non conosceva i loro nomi, forse nemmeno sapeva quanto fosse lungo il catalogo dei morti di galera. Poi i carabinieri di Torpignattara hanno bussato a casa loro per dire che semplicemente «Stefano era morto», in ospedale. Più precisamente nel reparto penitenziario del Pertini. Ora la famiglia chiede di poter vedere la salma prima che sia ricomposta. Vuole accedere al più presto alle foto dell’autopsia. Perché, finora, le due cose sono state negate. 
Stefano aveva 31 anni, faceva il geometra in uno studio comune con il padre e la sorella. La notte tra il 15 e il 16 ottobre lo pescano con 20 grammi di sostanze nel vicino quartiere Appio Claudio. Le modalità dell’arresto e del sequestro non sono ancora note alla famiglia. All’una e mezza di notte di notte, il citofono di casa Cucchi segnala l’arrivo di Stefano. Non è solo. Con lui ci sono i militari che lo hanno arrestato. Perquisiranno solo la sua cameretta, senza perlatro trovare nulla. Uscendo, uno di loro cerca di rassicurare la madre: «Signora non si preoccupi. Per così poco è capace che domani sia a casa ai domiciliari».
Dettaglio importante: Stefano «era pulito», racconta Ilaria nella sala d’aspetto dell’obitorio di Piazzale del Verano. Ossia «camminava sulle sue gambe, non aveva segni sul viso». E ricorda quanto fosse esile suo fratello. Basso e magrissimo. Il mattino appresso suo padre va a Piazzale Clodio all’udienza per direttissima. Stefano aveva il viso livido e gli occhi gonfi. L’udienza è rinviata al 13 novembre. Si torna a Regina Coeli. Il sabato sera, l’indomani, i carabinieri arrivano a casa Cucchi per comunicare il ricovero al Pronto soccorso dell’Isola Tiberina. Si scoprirà, invece, che era stato portato al Pertini. Motivo ufficiale: dolori alla schiena dovuti a una caduta precedente all’arresto di cui in casa nessuno sa nulla. Ma una lastra dirà che aveva due vertebre rotte, una sacrale e una lombare, due vertebre basse. Si può camminare per tre giorni con due vertebre rotte, andare a casa, poi in carcere, quindi al processo e di nuovo in galera? Bisognerebbe sapere quanto siano profonde quelle lesioni. Ma sicuramente il dolore sarebbe stato evidente. E per capire quando si siano verificate ci sarebbe da osservare l’emorragia attorno alle vertebre. 
Quella sera i genitori di Stefano sono scappati in ospedale ma fu spiegato loro – era la prima volta che si trovavano in quelle condizioni – che era un carcere a tutti gli effetti. Non era possibile vederlo, né avere notizie senza una carta del pm. La stessa cosa si sarebbero sentito dire la domenica mattina. Lunedì la carta non è ancora arrivata. «Ma perché è qui?», riescono a domandare a una poliziotta. «Non vi preoccupate, vostro figlio è tranquillo». Mercoledì arriva l’autorizzazione ma vale per il giorno successivo. Ma Stefano muore all’alba. All’ora di pranzo – un bel po’ di ore dopo – arrivano i carabinieri a portare il dispostivo per la nomina di un consulente di parte per gli “accertamenti urgenti non ripetibili”, l’autopsia. 
C’è qualcosa che non quadra. Ilaria ha sempre più domande in testa e nessuna risposta. La sera prima una volontaria le aveva telefonato per riferire un messaggio di Stefano. Voleva parlare con suo cognato, il marito di Ilaria, appunto. Il ragazzo cercava aiuto per affidare a qualcuno la sua cagnetta. «Ma quando esco la rivoglio», aveva precisato. Poi aveva chiesto un bibbia. «Noi siamo molto religiosi», conferma Ilaria. La volontaria non ha saputo dire granché delle condizioni fisiche di Stefano. Dice che era sempre sotto il lenzuolo. 
Dopo un’inutile corsa sotto la pioggia a Piazzale Clodio – «credevamo fosse lì l’autopsia» – Ilaria e i suoi arrivano al Pertini. Una dottoressa conferma la versione della volontaria: pare che Stefano stesse per ore sotto le lenzuola. «Non si voleva nutrire – ha detto – gli portavamo la carne ma lui la lasciava». E avrebbe rifiutato le cure. Suonano beffarde le parole della dottoressa ai genitori che nemmeno hanno potuto assistere un figlio moribondo: «Perché non vi siete rivolti a noi?». Dopo un braccio di ferro col posto di polizia, finalmente il pm autorizza i familiari a vedere la salma. Dietro il vetro divisorio, Stefano rivela il viso deformato, nero, «come bruciato». Un’occhio pesto, l’altro fuori dalle orbite, le ossa della mascella spostate. «Per forza non mangiava!», esclama la sorella. Il corpo era nascosto da un lenzuolo. L’autopsia è durata più di cinque ore e stavolta il pm ha negato ai consulenti di parte di effettuare foto. Ci saranno solo quelle del perito del pm. 
All’uscita dall’obitorio il medico di parte avrà poche parole. Conferma la natura traumatica degli ematomi sul viso ma nega emorragie interne. Insomma, quelle botte non spiegherebbero la morte. Sarebbe evidente una «sofferenza polmonare» ma per capire meglio si dovranno aspettare gli esami istologici, le cartelle cliniche, i rilievi tossicologici. Le domande di Ilaria sono troppe, e sempre più inquietanti.

Link
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Cronache dai Cie, altri pestaggi a Gradisca e Ponte Galeria

Nel centro friulano violenze della polizia contro un’intera camerata, a Roma trasferito chi era in sciopero della fame. Tentativi di fuga, proteste quotidiane nei lager dell’ultramodernità

Giorgio Ferri
Liberazione 4 ottobre 2009

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Ancora pestaggi, ancora violenze da parte delle forze di polizia dentro i centri d’identificazione ed espulsione. È difficile rincorrere la cronaca quotidiana in questi luoghi fatti d’orrore e abiezione, dove la burocratica banalità del male si accanisce contro esseri umani ridotti allo stato di non persone. È successo ieri per l’ennesima volta nel Cie di Gradisca d’Isonzo durante una perquisizione condotta con la solita tecnica provocatoria. Volano manganellate come niente fosse mentre agenti esagitati urlano e insultano. Un ragazzo è finito in infermeria perché colpito alla testa. La notizia è stata diffusa dal sito http://www.autistici.org/macerie/ che registra quotidianamente ciò che accade in questi lager dell’ultramodernità. Si è saputo anche che almeno una delle camerate era in sciopero della fame e ha rifiutato l’acqua. Un presidio antirazzista è stato indetto nel pomeriggio. A Brindisi, nel Cie di Restinco, è giunta notizia che otto internati sono in sciopero della fame e della sete da almeno sei giorni. Arrivati più di un mese fa a Lampedusa, trasferiti a Porto Empedocle e da lì a Brindisi, non sanno ancora nulla della sorte che li attende. Giovedì sera, invece, i reclusi di Ponte Galeria, il Cie a ridosso di Roma, hanno sospeso lo sciopero del vitto iniziato lunedì scorso. Dodici di loro, ritenuti dalla direzione gli animatori della protesta, sono stati chiamati in matricola con la scusa della scarcerazione. Una volta usciti dai reparti sono stati immobilizzati uno alla volta e preparati per il trasferimento in altri Centri. Chi li ha visti passare ha testimoniato che avevano i polsi legati col nastro isolante. Trasferimento che ha tutte le sembianze di un’azione di rappresaglia contro la protesta inscenata nei giorni precedenti. Nella notte successiva ci sono state urla dalle due fino alle cinque e trenta del mattino perché un internato si sentiva male e la Croce rossa non interveniva. La cronaca della giornata è proseguita con il suo calvario di brutalità: un altro dei protagonisti dello sciopero è stato trasferito verso una destinazione ignota mentre arrivava un gruppo d’internati algerini proveniente da Bari-Palese. Dopo un po’ si è scoperto che almeno due dei reclusi trasferiti la mattina erano finiti proprio a Bari. Un incrocio che ricalca perfettamente le pratiche punitive in uso nei penitenziari quando gli istituti sfollano i reclusi indesiderati. Intanto un altro degli internati che si era tagliato le vene martedì ha ripreso a camminare. Nella serata di venerdì quattro immigrati decidono il tutto per tutto e riescono a montare sui tetti. Da lì provano a scavalcare le reti e fuggire. Tre vengono bloccati subito, del quarto non si sa nulla. Nel campo c’è apprensione e speranza. Tutti si augurano che ce l’abbia fatta. La fuga anche di uno solo di loro sarebbe una vittoria simbolica per tutti. Purtroppo intorno alle dodici di ieri si diffonde la notizia della sua cattura. L’evaso è stato ripreso. Saltando dal tetto si è rotto una gamba e non è riuscito ad allontanarsi. Cosa che invece è riuscita a Torino nella notte tra domenica e lunedì, quando alcuni internati si sono dati alla fuga una volta passati all’esterno del Cie. Potremmo continuare a lungo. Le mura di questi luoghi dove regna lo stato di eccezione, le reti e le gabbie che trattengono questi individui assistono a una quotidiana battaglia tra oppressione e resistenza umana. Fuori gruppi di attivisti antirazzisti si mobilitano, presidiano l’esterno dei Centri, raccolgono le testimonianze degli internati. Giovedì scorso, all’ora di pranzo, una decina di militanti antirazzisti è entrata nella mensa del Politecnico di Torino esponendo uno striscione con la scritta “La Sodexho s’ingrassa sui lager” per poi distribuire volantini ai presenti. Studenti, cassiere e cuochi sono così stati informati che la grande multinazionale del catering Sodexho, oltre a gestire la mensa universitaria, ha anche l’appalto per la fornitura dei pasti agli internati dei Centri d’identificazione ed espulsione di via Corelli a Milano e di Roma Ponte Galeria. Spesso si tratta di cibo scadente come lamentano da sempre le persone rinchiuse nei Centri. Nel pomeriggio di ieri, invece, si è svolto a Firenze un corteo contro la presenza della Croce rossa all’interno dei Cie, e soprattutto contro la preannunciata costruzione di uno di questi centri in Toscana. Secondo le forze dell’ordine avrebbero partecipato circa 150 persone, almeno il doppio secondo gli organizzatori della manifestazione a cui hanno preso parte organizzazioni della sinistra radicale e dell’area antagonista, rappresentanti dei collettivi universitari, del movimento lotta per la casa e del gruppo “Perunaltracittà” presente in consiglio comunale.

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