Gallino: «Barbarie sociale e recessione, ecco l’effetto della manovra»

Intervista a Luciano Gallino, sociologo, autore di Finanzcapitalismo, Einaudi 2011

Paolo Persichetti
Liberazione 14 agosto 2011


Colpire al cuore lo Statuto dei lavoratori. Questo progetto ultradecennale perseguito con una ferocia ideologica senza pari è forse giunto al suo traguardo. I ripetuti tentativi, sempre falliti o respinti in passato, hanno trovato nel grande golpe della finanza in corso il mezzo per assestare la mossa finale. La misura, richiesta nella lettera della Bce scritta da Mario Draghi, come lo stesso Giulio Tremonti ha lasciato intendere, è stata introdotta nella manovra aggiuntiva del governo in una maniera del tutto subdola e artificiosa. Abbiamo chiesto al sociologo Luciano Gallino, che in un suo lungimirante saggio uscito lo scorso marzo per Einaudi, Finanzcapitalismo. La civiltà del denaro in crisi, ha descritto l’attuale crisi finanziaria, un giudizio sulle scelte del governo.

Quando parliamo dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (divieto di licenziare senza giusta causa) ci riferiamo ad una norma di legge che sancisce un diritto soggettivo del cittadino lavoratore. Possono le parti sociali espropriare questo diritto della persona derogando la legge con un accordo aziendale? Non si tratta di una elementare violazione della gerarchia delle fonti del diritto? Prim’ancora che incostituzionale sembra l’ennesima alchimia antigiuridica. Una furberia architettata da un malandrino.
Non sono un giurista e lascio a loro una valutazione tecnica sulla questione. Ma come ho detto in una precedente intervista, rimuovere la persona come titolare dei diritti, mettendo invece al centro la prestazione o il contratto, è un aberrazione giuridica, il segno di una forte regressione in direzione di una smodata rimercificazione del lavoro. Sono le persone che hanno titolo, per usare un termine di Amartya Sen, per ottenere reddito o veder difesa la loro dignità.

Cosa accadrà con lo smantellamento dei contratti nazionali e la possibilità di derogare le norme di legge che tutelano i diritti dei lavoratori?
Intanto bisogna vedere come va a finire, manca ancora il voto finale del parlamento. In ogni caso l’idea che il centro della contrattazione debba essere l’azienda significa veramente non rendersi conto di come è organizzata oggi la produzione nel mondo. Si sarebbe dovuto parlare di contrattazione di filiera, di contrattazione estesa alle cosiddette catene di produzione del valore, perché ciò che fa ogni singola azienda dipende da ciò che fanno le aziende a monte e quelle a valle. Praticamente nessuno produce più nulla per intero. Tutto il prodotto, anche il più piccolo elettrodomestico, qualunque tipo di servizio per non parlare dei manufatti più grandi, è composto da centinaia di produttori situati in decine di Paesi diversi. L’idea che si possa contrattare la produttività in una sola azienda significa non aver capito nulla di come da decenni la produzione è organizzata nel pianeta. E poi mi preoccupano due cose.

Quali?
La scelta del governo è regressiva dal punto di vista sociale, civile e giuridico. I governi di destra ci hanno abituato a interventi del genere ma qui si è andati molto oltre. ma c’è ancora di più, questi interventi sono recessivi anche dal punto di vista economico, sono un limite allo sviluppo, alla cosiddetta ripresa. Queste misure non fanno altro che porre le premesse per una recessione che non sarà inferiore a 5-10 anni. Per un Paese che ha già una media di sviluppo dello 0,5% si tratta di un intervento molto ottuso. La fermentazione delle contrattazioni, la disarticolazione dei contratti fa si che a soffrire sarà la stessa produttività, l’organizzazione aziendale, la formazione dei lavoratori. Sono tutte premesse per un peggioramento e un prolungamento della recessione. il ministro Sacconi interpreta gli aspetti più deteriori dell’ideologia neoliberale.

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Intervista a Pietro Raitano direttore di Altreconomia

Paolo Persichetti
Liberazione 10 agosto 2011

«Siamo di fronte ad un problema di debito totale, non solo finanziario ma anche ecologico. Debito generazionale di un Paese che riesce solo a saccheggiare il proprio territorio ma è incapace d’investire in lungimiranza, ad esempio nella scuola». Pietro Raitano, direttore di Altreconomia, non ne fa una semplice questione di contabilità. Questa crisi mette in discussione un modello di società, in altri tempi si sarebbe detto di sviluppo, termine caduto in disuso per la sua natura ambivalente che suscita critiche. «La crisi che abbiamo davanti viene da lontano: il primo dato è che abbiamo il quarto debito mondiale ma non siamo la quarta potenza economica del mondo, dall’altra con l’incremento del debito crescono anche gli interessi da restituire ed essendo ormai divenuti un Paese vecchio, che non punta più su tecnologia, innovazione e ricerca, vacilla la fiducia sulla nostra capacità di esser solvibili».

Non bastano soluzioni contabili per il declino?
Non si può pensare di continuare a rispondere con la ricetta della crescita ad una crisi della crescita, una crisi di sovrapproduzione. Siamo di fronte ad un sistema economico che non sa più come spendere la propria liquidità. Una liquidità conseguenza anche dello sganciamento avvenuto negli anni 70 della moneta dall’oro. Questa liquidità ha creato una bolla gigantesca su tutti i comparti del mercato finanziario, dall’immobiliare all’energetico, che adesso sottrae risorse. Ma lo fa con un ritardo clamoroso perché ormai siamo abituati a quel denaro, ci contiamo anche se non c’è più. E così siamo giunti alla resa dei conti. Bisognerebbe invece investire sulla lungimiranza: efficienza energetica, fonti rinnovabili, tecnologia. Uno studio della Banca d’Italia ha dimostrato che investire sulla scuola porta un rendimento del 7%. Valorizzare le nostre risorse rilanciando la filiera corta agroalimentare.

Che ruolo svolgono i mercati in questa crisi?
Tutta l’attenzione è concentrata sui famosi umori dei mercati, tanto che ci dicono “bisogna ristabilire la fiducia degli investitori”. Ma chi sono questi mercati? Il 53% degli scambi a Wall street sono fatti in regime di high frequency trading (hft), cioè di scambi iperveloci, si tratta di algoritmi matematici gestiti da computer. Attenzione dunque, la finanza sta diventando qualcosa di differente da un gruppo di persone che investe del denaro. Abbiamo a che fare con un sistema che non ha più legami con l’economia reale.

Però dietro ai programmi di calcolo c’è sempre la mano dell’uomo. Dunque è un problema di logica?
Quella stessa per cui se una una banca è ritenuta troppo grande per fallire si deve immediatamente intervenire per sostenerla mentre per gli Stati si può contemplare l’idea che possono andare in default. Con molto ritardo si è intervenuti in favore della Grecia e dell’Italia. Per giunta la Bce al posto del fondo salva Stati non ha fatto altro che emettere altri bond. E’ un po’ paradossale che si risponda ad una crisi finanziaria con la finanza. La traduzione di tutto questo è molto semplice: come ha chiesto la Bce al governo, avremo meno servizi e dovremo pagarli di più, avremo meno pensioni e dovremo lavorare maggiormente. Si spalmerà  sulla popolazione l’incapacità del governo e più in generale dei governi internazionali di fronteggiare la rapacità del sistema economico finanziario.

Cosa servirebbe?
La patrimoniale, non è più tollerabile che venga tassato sempre di più il lavoro quando chi specula in borsa paga un’imposta del 12%, se non nasconde addirittura i suoi profitti nei paradisi fiscali. Quei paradisi dove anche le nostre aziende di Stato hanno insediato delle società. Un fatto inaccettabile. Non crederò mai alla possibilità di risolvere questa crisi senza avere prima messo mano  a livello internazionale almeno a due operazioni: abolizione totale dei paradisi fiscali; abolizione di quegli strumenti finanziari deleteri come alcuni derivati, tipo i credit default swap (cds) che permettono di scommettere sui fallimenti degli Stati. C’è chi guadagna sul fatto che ad un certo punto in Italia si privatizzi l’acqua, non ci siano sono più asili e si vada in pensione a 75 anni. Questo è un clamoroso furto nei confronti delle popolazioni a favore di una minoranza di alcune centinaia di speculatori. Ci potrà salvare solo un sistema economico basato sulla sobrietà, sulla sostenibilità e sulla distribuzione del potere che non permette accumulazioni di ricchezza in poche mani.

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