Roberto Saviano, la nuova figura dello scrittore arruolato

Roberto Saviano, ultima parodia dell’intellettuale impegnato

Paolo Persichetti, Outlet n°4 giugno 2013

02Per Antonio Gramsci erano le «pagliette», dal noto cappello estivo di forma ovale con fondo piatto venuto alla moda negli ambienti della borghesia maschile d’inizio Novecento e consacrato nei dipinti degli impressionisti francesi. L’autore dei quaderni si riferiva ad un particolare ceto di intellettuali che in una delle sue note scritte in carcere dopo la condanna del tribunale speciale fascista non esitava a catalogare come «pennaioli». Personaggi – scriveva – incorporati nelle classi dirigenti meridionali a cui erano stati concessi particolari favori personali, privilegi “giudiziari” o di natura impiegatizia e burocratica. Figure che avevano messo le loro competenze intellettuali al servizio della politica settentrionale di sfruttamento neocoloniale del Mezzogiorno, riducendosi ad un suo accessorio “poliziesco” la cui funzione era quella di presentare il malumore sociale del Meridione come una questione di mera competenza della «sfera di polizia» giudiziaria.

Dimessa la paglietta e aggiornati gli stili vestimentari al look delle popstar, un secolo dopo quel genere di intellettuale, “funzionario del consenso”, non sembra affatto scomparso anche se la sua riproduzione sociale non è più direttamente legata a forme di sottogoverno ma alle strategie di marketing dell’industria editoriale, ai potentati finanziario-editoriali, ad un nuovo e particolare ruolo svolto all’interno degli apparati repressivo-giudiziari dello Stato.

Una delle figure che più si avvicina oggi a questo genere di intellettuale è senza dubbio quella di Roberto Saviano, considerato da alcuni l’autorevole erede del romanzo d’appendice campano, di cui fu caposcuola Francesco Mastriani, prolifico raccontatore napoletano del basso romanticismo, una specie di Eugène Sue partenopeo.

CAMORRA: SENTENZA SPARTACUS, IN AULA ANCHE SAVIANOIl “civismo” di Saviano, infatti, non appartiene alla categoria dell’impegno riassunto nella figura dell’écrivain engagé, ma a quella del volontario che si arruola nella legione militare della scrittura di guerra, che ne fa un author embedded, uno scrittore-soldato che agita l’etica armata, il moralismo in uniforme, l’epica della scorta militare come arma di devastazione di massa dell’intelligenza e della critica. «E’ roba nostra. E’ un patriota, un cazzuto, uno che sa tenere una pistola in pugno, uno che sa sbrigarsela al modo dell’uomo vero», aveva scritto con veemenza Pierangelo Buttafuoco su Libero del 12 maggio 2010. Un’icona perfetta dell’immaginario superomista, della politica come potenza, un vero divulgatore di valori e codici di destra. Buttafuoco non aveva torto, il discorso di Saviano è intriso di postulati d’ordine, ispirato da paradigmi autoritari e purificatori che si coniugano inevitabilmente col verbo legalitario e securitario. Incuriosisce semmai che un autore del genere, legato per giunta alle proprie origini ebraiche, sia tanto irresistibilmente calamitato dal mondo della criminalità organizzata e dalla letteratura antisemita («Come scrittore – spiegò a Panorama il 22 dicembre 2009 – mi sono formato su molti autori riconosciuti della cultura tradizionale e conservatrice, Ernst Jünger, Ezra Pound, Louis Ferdinand Celine, Carl Schmitt. E non mi sogno di rinnegarlo, anzi. Leggo spesso persino Julius Evola, che mi avrebbe considerato un inferiore»), quasi fosse soggiogato dal fascino oscuro e demoniaco del male, attratto da ciò che egli designa come il suo contrario ma rispetto alla quale lascia trasparire una seduzione inconfessabile.

All’inizio, però, l’avventura di Saviano era nata in un altro modo. L’ambizione che muoveva in origine il giovane autore di Gomorra era quella di seguire le orme dell’impegno, declinato tuttavia in una forma che ne preannunciava da subito l’esito: lo spirito di crociata e gli anatemi moralisti preferiti all’esercizio della critica. Elementi caratteristici di una funzione intellettuale che ricorda la categoria degli imprenditori morali, il prototipo dei creatori di norme descritto dal sociologo Howard S. Becker in Outsiders: «opera con un’etica assoluta: ciò che vede è veramente e totalmente malvagio senza nessuna riserva e qualsiasi mezzo per eliminarlo è giustificato. Il crociato è fervente e virtuoso, e spesso si considera più giusto e virtuoso degli altri».

Saviano escogita una tecnica particolare: mostra di mettere in gioco se stesso, presentando la propria figura pubblica come un discrimine tra bene e male. Da una parte la sua probità morale, il suo coraggio civile, la sua denuncia politica, quella che alcuni arriveranno a definire addirittura «parrhesia» (il coraggio di dire la verità, il parlare franco); dall’altra tutti i suoi nemici, di sempre e di turno. Un mondo diviso tra buoni e cattivi, con un linguaggio accusato di nutrirsi di narcisismo mediatico e manicheismo.

Saviano non esita a raccontarsi ad ogni occasione in questo modo, evocando a più riprese Pasolini, di cui annuncia di voler diventare l’erede, recitando in maniera stucchevole «l’io so» e sentendosi in questo modo il verbo incarnato di una nuova verità.

Appena può si appropria dell’immagine dei giornalisti uccisi o perseguitati. Emblematico è il caso di Anna Politkovskaïa, di cui romanza – come troppo spesso gli accade ­– persino le circostanze della morte. Sale sul palcoscenico della difesa della libertà d’informazione e d’espressione, proprio lui che mostra subito di voler usare la parola come una forma di potere sugli altri. Quella parola che fin dal titolo di un suo libro dice di voler utilizzare come strumento per combattere il crimine organizzato, veicolo di libertà che lui sostiene di difendere contro le molte censure; quella parola che distribuisce su tutti i supporti mediatici, a destra e manca degli schieramenti politici, resta legittima solo se da lui pronunciata. La sua parola, intesa come unica parola possibile e che perciò stesso esclude le altre.

Per rafforzare la sua credibilità introduce un nuovo principio di autorità che impiega come una stampella per sorreggere la propria attività pubblicistica, facendo leva sulla postura cristica e l’interpretazione vittimistica del proprio ruolo che in questo modo può garantire sulla verità morale del suo discorso. C’è chi non esita a definirlo per questo un «martire a pagamento», non trovando alcun riscontro le continue “lagne” contro la censura e il timore di rappresaglie.

Ben conscio dell’adagio “chiagne e fotte”, Saviano si mostra un campione del consociativismo mediale. Trasversale e trasformista si adatta ad ogni supporto purché il contratto sia conseguente: pubblica per Mondadori ed Einaudi, editrici belusconiane, poi per Feltrinelli; scrive sull’Espresso e Repubblica, partecipa a format televisivi che seppure vanno in onda sul terzo canale Rai sono prodotti dalla casa di produzione Endemol, anch’essa berlusconiana. Tutto ciò non gli impedisce di offrirsi al pubblico come il campione dell’indignazione permanente, l’interprete autentico e coerente di questo sentimento. Corre a Zuccotti park quando il successo del minuscolo pamphlet di Stephén Hessel ha trasformato in un vezzo mondano il rappresentarsi in questo modo.

Insomma fin da subito Saviano lascia intravedere una cifra conformista, mettendo in mostra un fiuto da bottegaio furbastro, uno spirito codino, l’esatto contrario dell’intelligenza anticipatrice e della coscienza critica.

Tuttavia la maturazione della nuova funzione intellettuale interpretata da Saviano è stata graduale. Chiamato inizialmente a ricoprire il ruolo di amministratore ufficiale della memoria dell’antimafia, entra in conflitto con alcune associazioni storiche come il Centro Siciliano di Documentazione “Giuseppe Impastato” e la Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato, che operano sul campo dell’antimafia sociale da decenni. Il contrasto sfocerà in una cocente sconfitta giudiziaria dello scrittore-querelante che vede così minata la propria credibilità letteraria e storiografica. Nel corso delle udienze emergerà un falso macroscopico: nei suoi scritti Saviano raccontava di una telefonata, mai avvenuta, con Felicia Impastato, morta nel frattempo e madre di Peppino trucidato dalla mafia, che l’avrebbe esortato a non mollare. In questo modo, come in una sorta di simbolico passaggio del testimone, Saviano si attribuiva l’eredità morale di Giuseppe Impastato.

Un’altra controversia importante oppone Saviano a Marta Herling, storica e nipote di Benedetto Croce, che aveva duramente contestato la ricostruzione del salvataggio del filosofo napoletano subito dopo il terremoto di Casamicciola, fatta dallo scrittore nel corso di una trasmissione televisiva e poi riprodotta in un libro. Saviano è colto in fallo di fronte all’impiego delle fonti, il suo tallone d’Achille da sempre. Per uno che vorrebbe correggere le bozze di Dio, l’errore è grossolano. La vicenda ripropone ancora una volta l’ambiguità originaria del dispositivo narrativo di Saviano, già contestato in Gomorra, ovvero la pretesa di potersi avvalere del diritto di romanzare, di fare fiction preservando al tempo stesso la credibilità e l’autorità del saggio scientifico. Il tema vero però è quello del rapporto col passato. Per Saviano si tratta di amministrarne il monopolio sottraendosi ai criteri di verifica e confutazione esistenti nella comunità storico-scentifica. Esiste un’altra concezione che ritiene l’approccio al passato un processo, una costruzione plurale che risponde a criteri di verifica pubblica. Per usare dei paradigmi semplificatori: da una parte si propone una verità di tipo orwelliano, come fa Saviano; dall’altra una verità sul modello galileiano.

L’autore campano, sottoposto dall’ottobre 2006 a programma di protezione da parte dell’Arma dei carabinieri, è protagonista di un inarrestabile processo di osmosi con gli apparati inquirenti e d’investigazione che lo ha risucchiato in un gorgo senza fine. Il livello di integrazione, sovrapposizione e identificazione, è tale da averlo trasformarto in una sorta di divulgatore ufficiale, di testimone in presa diretta delle fonti delle procure antimafia e dei corpi specializzati di polizia che operano contro la criminalità organizzata. Situazione che mette a dura prova l’indipendenza critica dello scrittore, ridotto alle sembianze di un organo scrivente sempre più incapace di separarsi dal corpo di cui ormai è parte.

In questo modo Saviano innova la figura del giornalista embedded, introdotta dal Pentagono nel corso della guerra del Golfo del 2003 per controllare alla fonte l’informazione sul conflitto, diventando lo “scrittore arruolato” numero uno delle forze di polizia, degli apparati investigativi e inquirenti sul fronte interno della criminalità organizzata e dei narcotraffici. Basta andare leggere le due pagine di ringraziamenti (441-442) presenti alla fine della sua ultima fatica, Zero, zero, zero, per capire. Qui l’autore è prodigo di riconoscimenti e gratitudine verso:

«L’Arma dei Carabinieri, la Polizia, la Guardia di Finanza, i Ros, i Gico, lo Sco, la Dia e la Dda di Roma, Napoli, Milano, Reggio Calabria, Catanzaro e tutte quelle che qui ho dimenticato, per avermi permesso di studiare, leggere e in alcuni casi vivere le loro inchieste e operazioni: Alga, Box, Caucedo, Crinime-Infinito, Decollo, Decollo bis, Decollo Ter, Decollo Money, Dinero, Dionisio, Due Torri Connection, Flowers 2, Galloway-Tiburon, Golden Jail, Gree Park, Igres, Magna Charta, Maleta 2006, Meta 2010, Notte Bianca, Overloading, Pollicino, Pret à Porter, Puma 2007, Revolution, Solare, Tamanaco, Tiro grosso, Wite 2007, Wite City.
Ringrazio la Dea, l’Fbi, l’Interpol, la Guardia Civil, i Mossos d’Esquadra, Scotland Yard, la Gerndarmerie Nationale francese, la Polícia Civil brasiliana, alcuni membri della Policía Federal messicana, alcuni membri della Policía Nacional de Colombia, alcuni membri della Policija Russa, che mi hanno accompagnato nelle loro inchieste e operazioni: Cabana, Cornestone, Dark Waters, Delfín Blanco, Leyneda, Limpieza, Millennium, Omni Presence, Padrino, Pier Pressure, Processo 8000, Project Colissée, Project Coronado, Russiagate, Reckoning, Relentles, SharQC 2009, Sword, Xcellerator.
Ringrazio tutti i pm, antimafia e non solo, con cui ho studiato e discusso in questi anni. Senza di loro non avrei potuto scoprire molte cose: Ilda Boccassini, Alessandra Dolci, Antonello Ardituro, Federico Cafiero De Raho, Raffaele Cantone, Baltasar Garzón, Nicola Gratteri, Luis Moreno Ocampo, Giuseppe Pignatone, Michele Prestipino, Franco Roberti, Paolo Storari.
Ringrazio i vertici dell’Arma dei Carabinieri, il Comandante Generale Gallitelli, il Capo della Polizia di Stato Antonio Manganelli, e il Comandante Generale Capolupo della Guardia di Finanza. Ringrazio in particolare il Generale dei Carabinieri Gaetano Maruccia, il Comandante dei Ros Mario Parente, il Generale della GdF Giuseppe Bottillo, che hanno seguito la crescita di questo libro.
[…]
Ringrazio nell’Arma dei Carabinieri coloro che gestiscono la mia vita: il colonnello Gabriele Degrandi, il capitano Giuseppe Picozzi, il capitano Alessandro Faustini».

Layout 1Approfondimenti
Il caso Saviano-impastato

Zero zero zero, Saviano e la scrittura embedded

Lo trovate dappertutto, nei posti più inattesi, dal fioraio al fruttivendolo, dal giornalaio al kebabbaro, si tratta di un contenitore cartaceo che al suo interno raccoglie righe d’inchiostro disposte in modo orizzontale, alcuni insistono nel definirlo “libro” ed in effetti da lontano la sua forma può anche ricordare qualcosa del genere, ma una volta vicini il trompe l’œil è presto svelato: è solo una merce rilegata, fogli pressati e incollati, un albero segato e ridotto in poltiglia, un pezzo di bosco raso al suolo.

450 pagine per 18 euro. Ma più dell’insieme contano i dettagli. Ad esempio le due paginette, 441 e 442, situate nei ringraziamenti. Qui l’autore è prodigo di riconoscimenti e gratitudine verso:

«L’Arma dei Carabinieri, la Polizia, la Guardia di Finanza, i Ros, i Gico, lo Sco, la Dia e la Dda di Roma, Napoli, Milano, Reggio Calabria, Catanzaro e tutte quelle che qui ho dimenticato, per avermi permesso di studiare, leggere e in alcuni casi vivere le loro inchieste e operazioni: Alga, Box, Caucedo, Crinime-Infinito, Decollo, Decollo bis, Decollo Ter, Decollo Money, Dinero, Dionisio, Due Torri Connection, Flowers 2, Galloway-Tiburon, Golden Jail, Gree Park, Igres, Magna Charta, Maleta 2006, Meta 2010, Notte Bianca, Overloading, Pollicino, Pret à Porter, Puma 2007, Revolution, Solare, Tamanaco, Tiro grosso, Wite 2007, Wite City.
Ringrazio la Dea, l’Fbi, l’Interpol, la Guardia Civil, i Mossos d’Esquadra, Scotland Yard, la Gerndarmerie Nationale francese, la Polícia Civil brasiliana, alcuni membri della Policía Federal messicana, alcuni membri della Policía Nacional de Colombia, alcuni membri della Policija Russa, che mi hanno accompagnato nelle loro inchieste e operazioni: Cabana, Cornestone, Dark Waters, Delfín Blanco, Leyneda, Limpieza, Millennium, Omni Presence, Padrino, Pier Pressure, Processo 8000, Project Colissée, Project Coronado, Russiagate, Reckoning, Relentles, SharQC 2009, Sword, Xcellerator.
Ringrazio tutti i pm, antimafia e non solo, con cui ho studiato e discusso in questi anni. Senza di loro non avrei potuto scoprire molte cose: Ilda Boccassini, Alessandra Dolci, Antonello Ardituro, Federico Cafiero De Raho, Raffaele Cantone, Baltasar Garzón, Nicola Gratteri, Luis Moreno Ocampo, Giuseppe Pignatone, Michele Prestipino, Franco Roberti, Paolo Storari.
Ringrazio i vertici dell’Arma dei Carabinieri, il Comandante Generale Gallitelli, il Capo della Polizia di Stato Antonio Manganelli, e il Comandante Generale Capolupo della Guardia di Finanza. Ringrazio in particolare il Generale dei Carabinieri Gaetano Maruccia, il Comandante dei Ros Mario Parente, il Generale della GdF Giuseppe Bottillo, che hanno seguito la crescita di questo libro.
[…]
Ringrazio nell’Arma dei Carabinieri coloro che gestiscono la mia vita: il colonnello Gabriele Degrandi, il capitano Giuseppe Picozzi, il capitano Alessandro Faustini».

Zero zero 1

Zero zero 2

E bene, cosa c’è di nuovo? Qualcosa c’è. Quanto era già largamente percettibile in passato, seppur ancora in modo implicito nelle pieghe del discorso, ora è esposto in modo trasparente: Saviano ammette la sua natura di scrittore embedded.

Che cosa è uno scrittore embedded?
Il termine è divenuto d’uso corrente nel 2003 quando nel febbraio di quell’anno venne introdotta dal nuovo regolamento del Dipartimento della Difesa Usa, diffuso poco prima dello scoppio della guerra in Iraq, una nuova figura professionale: il giornalista arruolato dalle forze armate di una nazione per essere al loro fianco, in prima linea, a narrare cosa accade durante le azioni belliche. Il regolamento diceva: «Questi embedded media vivranno, lavoreranno, viaggeranno come parte delle unità in cui saranno inseriti per facilitare la copertura delle azioni delle forze di combattimento».
Questa innovazione è stata recepita dalla stragrande maggioranza degli eserciti mondiali, compreso quello italiano. Ovviamente l’intento che ha mosso gli Stati Maggiori delle forze militari non era certo quello di farsi democratici e trasparenti ma di riuscire in questo modo a governare il “Quarto potere”, imbrigliando l’informazione, controllandola e orientandola alla fonte, memori della guerra del Vietnam persa politicamente nelle retrovie, all’interno delle proprie frontiere a causa della circolazione di immagini sulla guerra troppo libere e anarchiche, che non nascondevano la sofferenza dei propri morti, i bombardamenti a tappeto delle città vietnamite, le stragi e le violenze gratuite inferte alla popolazione civile. Scene che avevano mobilitato l’opinione pubblica statunitense e mondiale creando una forte corrente pacifista.
Tutto ciò non avrebbe più dovuto ripetersi. La guerra doveva diventare asettica, pulita ed etica, i morti andavano nascosti dietro i cosiddetti “danni collaterali”, il flusso e il ritmo delle informazioni selezionato e ripulito. L’uso delle immagini, della parola e della scrittura trasformato in una nuova arma strategica. Per fare ciò andava creato un nuovo tipo di soldato: il giornalista embedded.

Saviano ha innovato ulteriormente questa figura professionale, diventando l’arruolato numero uno delle forze di polizia, degli apparati investigativi e inquirenti sul fronte interno della criminalità organizzata e dei narcotraffici. Una funzione intellettuale che appartiene alla particolare categoria degli imprenditori morali, al prototipo dei creatori di norme, come li ha descritti il sociologo Howard S. Becker che in Outsiders: costui «opera con un’etica assoluta: ciò che vede è veramente e totalmente malvagio senza nessuna riserva e qualsiasi mezzo per eliminarlo è giustificato. Il crociato è fervente e virtuoso, e spesso si considera più giusto e virtuoso degli altri».

Il dispositivo Saviano con le sue parole, i suoi libri, le sue prese di posizione, la sua semplice presenza, legittimate dalla postura cristica e l’interpretazione vittimistica del proprio ruolo, garantisce sulla verità morale, sempre più distante da quella storica. Una macchina da guerra mediatica messa a totale disposizione degli imprenditori delle emergenze, dei guerrieri delle battaglie giudiziarie contro il crimine. Il risultato è una trasfigurazione della lotta contro le organizzazioni criminali che rende mistica la legalità, edifica una forma di Stato etico che fa della soluzione giudiziario-militare predicata una medicina peggiore del male.

Tutto ciò era stato sempre negato da Saviano. Fino ad oggi.
Per aver sollevato, nel 2010, degli interrogativi «sul ruolo di amministratore della memoria dell’antimafia che a Saviano è stato attribuito da potenti gruppi editoriali» e sottolineato «L’inquietante livello di osmosi raggiunto con gli apparati inquirenti e d’investigazione, che l’hanno trasformato in una sorta di divulgatore ufficiale delle procure antimafia e di alcuni corpi di polizia, dovrebbe sollevare domande sulla sua funzione intellettuale e sulla sua reale capacità d’indipendenza critica», (vedi qui), sono stato querelato da Saviano e attaccato dalla Direzione del carcere (sono in regime di semilibertà).

Saviano poi ha perso. Le denuncia è stata archiviata (vedi qui). Forse la lezione gli è servita. La trasparenza è sempre un valore positivo, un atto di onestà. Saviano si è così deciso a fare un passo avanti contribuendo alla chiarezza sul proprio ruolo e sulla propria funzione intellettuale messa la servizio di alcuni apparati dello Stato.


Sull’affaire Impastato-Saviano

Archeologia dell’ignoranza. Se Roberto Saviano ignora Michel Foucault
Saviano débouté d’une plainte contre le quotidien Liberazione
Filippo Facci – Caso Impastato, Saviano perde la causa contro l’ex-br
Liberazione.it – Criticare Saviano è possibile
www.articolo21.org: Archiviata la querela di Roberto Saviano contro il quotidiano Liberazione
“Persichetti ha utilizzato fonti attendibili”, il gip archivia la querela di Saviano contro l’ex brigatista
Filippo Facci – Caso Impastato, Saviano perde la causa contro l’ex-br
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La bugia e la camorra. La madre di Peppino Impastato non parlò con Saviano
Corriere del mezzogiorno – La madre di Peppino Impastato non parlò con Saviano. Persichetti vince la causa
“Non c’è diffamazione”. Per la procura la querela di Saviano contro l’ex brigatista in semilibertà va archiviata
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I due articoli querelati da Saviano
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Ma dove vuole portarci Saviano?

Per saperne di più
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Diffida e atto di messa in mora. Rettifica libro “La parola contro la camorra” di Roberto Saviano
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Roberto Saviano è una paglietta: parola di Antonio Gramsci
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Ancora su Saviano
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Occupazione militare dello spazio semantico: Saviano e il suo dispositivo

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Un uomo di destra
Pg Battista: “Come ragalare un eroe agli avversari. Gli errori della destra nel caso Saviano”
Il razzismo anticinese di Saviano. L’Associna protesta
Buttafuoco, “Saviano agita valori e codici di destra, non regaliamo alla sinistra”

L’eroe di carta
Alessandro Dal Lago:“La sinistra televisiva un berlusconismo senza berlusconi”
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Il diritto di criticare l’icona Saviano
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Pagliuzze, travi ed eroi

Denunce e menzogne
Saviano in difficoltà dopo la polemica su Benedetto Croce
Marta Herling: “Su Croce Saviano inventa storie”
Saviano, prime crepe nel fronte giustizialista che lo sostiene

 

Archeologia dell’ignoranza. Se Roberto Saviano ignora Michel Foucault

«Quanto più uno è ignorante, tanto più è audace e pronto a scrivere»

Baruch Spinoza

 di Paolo Persichetti

Domanda: Saviano ha mai letto qualche pagina di Michel Foucault?
Nelle note biografiche si legge che è laureato in filosofia. Ciò lascia supporre che almeno qualche paginetta di antologia sull’autore in questione dovrà pure averla sfogliata prima degli esami in facoltà. A quanto pare non è così. Dopo aver letto la lunga denuncia-querela che nel gennaio di due anni fa pensò di scagliarmi contro, magari con la speranza nemmeno tanto recondita che mi venisse revocata la semilibertà, si ricava la netta sensazione che di Foucault egli non abbia la benché minima cognizione. Zero assoluto. Perché dico questo? Lo vedremo tra poco.

In una intervista uscita su Panorama del 22 dicembre 2009, Saviano aveva fatto un’ammissione coraggiosa, e certamente rivelatrice, riconoscendo un debito culturale verso alcuni importanti autori della tradizione reazionaria. «Come scrittore – spiegò in quella circostanza – mi sono formato su molti autori riconosciuti della cultura tradizionale e conservatrice, Ernst Jünger, Ezra Pound, Louis Ferdinand Celine, Carl Schmitt. E non mi sogno di rinnegarlo, anzi. Leggo spesso persino Julius Evola, che mi avrebbe considerato un inferiore».
Intendiamoci subito, non è mica uno scandalo leggere la letteratura di destra. Personalmente ritengo che uno di questi autori, mi riferisco a Carl Schmitt, pur partendo da una lucida posizione reazionaria abbia coniato dei concetti la cui portata operativa contiene una formidabile potenza cognitiva che esula di gran lunga i confini culturali e politici della sua riflessione. Spesso e volentieri al pensiero dell’umanità è stata più utile la narrazione disincantata del realismo reazionario che l’apologetica dei buoni sentimenti delle anime belle. Ma questo è un altro discorso. A noi qui interessa, se tale è il debito culturale dichiarato (non le letture che possono essere molte altre), la cifra interpretativa del pantheon ideologico di Saviano. Infatti non fu certo un caso se Pierangelo Buttafuoco si gettò su quelle confesioni per sottolinerare, alcuni mesi dopo su Libero (qui), che l’autore di Gomorra era, in realtà, l’icona perfetta dell’immaginario superomista, della politica come potenza, un vero divulgatore di valori e codici di destra. «E’ roba nostra – sosteneva con forza – non regaliamolo alla sinistra. E’ un patriota, un cazzuto, uno che sa tenere una pistola in pugno, uno che sa sbrigarsela al modo dell’uomo vero». Più tardi, distratti come sempre, anche altri commentatori situati su sponde terziste o benpensanti, da Pg Battista (qui) a Michele Serra (qui), riconobbero questa indiscutibile matrice di destra nel discorso tenuto da Saviano.
Non stupisce dunque che Foucault abbia trovato poco spazio in un pensare così intriso di postulati d’ordine, ispirato da paradigmi autoritari e purificatori che si declinano inevitabilmente col verbo legalitario e securitario. Incuriosice semmai che un autore del genere, legato per giunta alla propria origine ebraica, sia così irresistibilmente calamitato dal mondo della criminalità organizzata e dalla letteratura antisemita, quasi fosse soggiocato dal fascino oscuro e demoniaco del male, attratto da ciò che egli designa come il suo contrario ma rispetto alla quale lascia trasparire una seduzione inconfessabile.

Che cosa è un dispositivo?
Torniamo ora al questito iniziale. Perché mi sono chiesto se Saviano conosca Foucault? Perché uno dei concetti foucaultiani più noti, quello di «dispositivo», è stato al centro della querela promossa nei miei confronti. Solo che né Saviano, né tantomeno il suo legale, l’avvocato Antonio Nobile di Caserta (a cui Saviano con una procura speciale ha concesso tutti i poteri di legge per essere rappresentato davanti alla giustizia nella tutela della sua immagine e onorabilità), hanno mostrato di capirlo, direi ancor più, di saperlo.
L’autore di Gomorra si era sentito offesso e diffamato dalla definizione di «dispositivo» che avevo usato nei suoi confronti (senza tanta originalità ma riprendendo il discorso fatto da Alessandro Dal Lago nel suo Eroi di carta, qui) e che chiosava uno dei miei articoli querelati, nel quale raccontavo la vicenda della diffida che il centro Peppino Impastato, insieme ai sui familiari, aveva rivolto ad Einaudi perché desse luogo alla correzione di alcune pagine del libro di Saviano, La parola contro la camorra. Di seguito il passaggio incriminato e qui l’integrale.

Saviano non è nuovo ad operazioni del genere. Quando non abbevera i suoi testi alle fonti investigative da mostra di evidenti limiti informativi. In un’altra occasione aveva anche raccontato di una telefonata ricevuta dalla madre di Impastato, «che abbiamo verificato non essere mai avvenuta» ha spiega Umberto Santino. Quest’ultimo episodio ripropone nuovamente gli interrogativi sul ruolo di amministratore della memoria dell’antimafia che a Saviano è stato attribuito da potenti gruppi editoriali. L’inquietante livello di osmosi raggiunto con gli apparati inquirenti e d’investigazione, che l’hanno trasformato in una sorta di divulgatore ufficiale delle procure antimafia e di alcuni corpi di polizia, dovrebbe sollevare domande sulla sua funzione intellettuale e sulla sua reale capacità d’indipendenza critica. Saviano oramai è un brand, un marchio, una sorta di macchina mediatica in mano ad alcuni apparati. L’uomo Saviano sembra divenuto una marionetta, un replicante. Quest’ultima omissione non appare affatto innocente ma la diretta conseguenza di una diversa concezione dell’antimafia risolutamente opposta all’antimafia sociale di Peppino Impastato. La verità sul suo assassinio venne a lungo tenuta nascosta anche grazie al depistaggio di carabinieri e magistratura. Un passato che con tutta evidenza il dispositivo Saviano non può più raccontare.

Ora, secondo l’avvocato Nobile il significato di dispositivo si può agevolmente desumere «Senza scomodare i dizionari della lingua italiana dalla mera lettura di quanto riportato dalla definizione dal sito internet Wikipedia, appunto alla voce “dispositivo”». Dunque niente Treccani, niente Devoto Oli, nessuna traccia dei, forse troppo noiosi e difficili, dizionari politico-fisosofici.
E cosa scopre il principe del foro casertano su Wikipedia?

Secondo le più comuni definizioni, un dispositivo è «un congegno, un apparecchio che svolge una determinata funzione; una macchina, o parte di una macchina». L’occulto manovratore di questo «congegno», di questa «macchina» – prosegue l’avvocato – sarebbe da individuarsi negli «apparati» cui Persichetti fa cenno en passant, senza dilungarsi sulla giustificazione, o quanto meno sulla spiegazione per i comuni lettori, di tale criptica affermazione. Che oltre ad essere sibillina è evidentemente lesiva della reputazione e dell’onore di Roberto Saviano, che non è una macchina, né un congegno, né un «brand», né un «dispositivo», né una «marionetta». Come non è diritto di cronaca o di critica quello esercitato da Paolo Persichetti, che altro non vuole – e non fa – che vomitare il proprio odio ossessivo ed ossessionato nei confronti di un soggetto, del quale non si preoccupa minimamente di commentare, criticare, stigmatizzare le azioni, ma rispetto al quale esprime un “verdetto”.

Quindi nelle parole del legale di Saviano il dispositivo sarebbe una sentenza, la parte tecnica, quella che riporta la condanna. Così infatti scrive:

Un “dispositivo” – per usare le sue parole – cui, però, non seguirà alcuna motivazione; una vera e propria condanna inappellabile; come inappellabile fu la condanna a morte che dovette subire il generale dell’Aeronautica Licio Giorgieri, assassinato il 20 marzo 1987 da un commando terroristico; in relazione a tale efferato delitto – con sentenza divenuta irrevocabile – Paolo Persichetti è stato condannato a ventidue anni e sei mesi di reclusione (attualmente, l’editorialista di “Liberazione” risulta scontare il residuo della pena in regime di semilibertà).

Ovviamente nel ricordare processo e condanna l’avvocato Nobile dimostra poca conoscenza del fascicolo, ignora le alterne sentenze che lo caratterizzarono. Insomma al pari del suo cliente dimostra di parlare di cose che non conosce.

Una querela incentrata sul tipo d’autore
Se il dispositivo a cui mi riferivo è con tutta evidenza un’altra cosa, rivelatrice è invece l’interpretazione fornita dall’avvocato Nobile per conto di Saviano. Una lettura stravolta tutta protesa alla ricerca di un effetto di suggestione che tenta di costruire un parallelo tra le vicende giudiziarie che hanno riguardato la mia storia passata e il lavoro giornalistico attuale. Un nesso tuttora giustificato – sostiene il querelante – dalla pratica di «aggressione» e ricorso alla «violenza», seppur eufemizzata attraverso la scrittura.
Siamo in presenza di un utilizzo spregiudicato del diversivo tipologico, impiegato come una clava per svilire e criminalizzare il lavoro giornalistico, l’esercizio della libertà di critica e la serietà metodologica del lavoro svolto:

«sembra di sentire l’eco di un giornalismo aggressivo, figlio di un’epoca fortunatamente chiusasi, ma i cui strascichi ancora avvelenano il presente. L’epoca nella quale molti – “nemici di classe” – trovarono la morte, per mano di coloro i quali (qualcuno [chi?] li definirebbe “vittime della storia”) ritennero la via della violenza maestra del cambiamento della società. E così, dalle colonne di “Liberazione” Persichetti aggredisce Saviano […] Per lui lo scrittore è: «amminitratore della memoria dell’antimafìa», potere asseritamene attribuitogli da: «potenti gruppi editoriali»; «divulgatore ufficiale delle procure antimafia e di alcuni corpi di polizia»; per questo, si suppone, Persichetti mette in guardia i propri lettori: «sulla sua (di Saviano, ndr) reale capacità di indipendenza critica».
E’ consequenziale che l’articolista affermi che: «Saviano è oramai un brand, un marchio, una sorta di macchina mediatica in mano ad alcuni apparati» e che: «L’uomo Saviano sembra divenuto una marionetta, un replicante», per concludere “in bellezza” con la “definizione finale”, secondo la quale egli sarebbe un «dispositivo».
Va dato atto al Persichetti dell’utilizzo di parole in grado di comumcare precisamente il contenuto delle proprie idee, per quanto bislacche e deliranti esse possano essere giudicate dai lettori».

Il dispositivo secondo Foucault (estratto dalla memoria difensiva dell’avvocato Francesco Romeo)

In realtà, la critica mossa da Persichetti attinge ad un livello più sofisticato (che all’evidenza non viene colto, ne compreso dal denunciante). Il “dispositivo” da lui citato si richiama all’elaborazione dei filosofi Michel Foucault, Gilles Deleuze e Giorgio Agamben. In Sorvegliare e punire (Einaudi, Torino 1976 e numerose edizioni successive), Foucault definisce il “dispositivo” come l’insieme di tecniche sociali con cui si crea una relazione tra potere e soggetti: per esempio il carcere moderno è un “dispositivo” discreto che subentra alle punizioni spettacolari e pubbliche della società antecedente la Rivoluzione francese. Giorgio Agamben, in Che cos’è un dispositivo (Nottetempo, Roma 2006) e Gilles Deleuze (Che cos’è un dispositivo, Cronopio, Napoli 2007) estendono il concetto alle tecnologie informali con cui, nella nostra società, i media costruiscono l’identità dei soggetti. Diversamente dalla vecchia nozione di “manipolazione”, il concetto di dispositivo rappresenta il ruolo che alcune mitologie mediali svolgono influenzando il pubblico. In questo senso, Roberto Saviano – inteso come figura pubblica di romanziere-combattente anticamorra-opinionista-showman idolatrato dai media, rappresenta un vero e proprio “dispositivo” di influenza, volta per volta mito “mediale”, “esempio”, “eroe” ecc. Proprio questa funzione di “dispositivo” di Roberto Saviano è stata oggetto di analisi sociologica da parte del Prof. Alessandro Dal Lago nel volume Eroi di carta. Il caso Gomorra e altre epopee, Manifestolibri, Roma 2010.Dunque, solo una critica legittima e, colta, su quello che Roberto Saviano, al di la della sua persona, rappresenta nel panorama culturale italiano di questo periodo.

Aggiungo solo un’ultima cosa, correndo anche il rischio di nobilitare eccessivamente quello che viene definito un autorevole erede del romanzo d’appendice campano di cui fu caposcuola Francesco Mastriani: la funzione intellettuale svolta da Saviano (attraverso il dispositivo di cui sopra) ricorda la categoria degli imprenditori morali, il prototipo dei creatori di norme, come codificato dal sociologo Howard S. Becker in Outsiders, che in proposito scrisse: «Opera con un’etica assoluta: ciò che vede è veramente e totalmente malvagio senza nessuna riserva e qualsiasi mezzo per eliminarlo è giustificato. Il crociato è fervente e virtuoso, e spesso si considera più giusto e virtuoso degli altri».

Ps: Chi tra di voi ha stima di Saviano, se lo incontra gli regali un libro di Foucault. Compirà un’opera di bene evitandogli altre brutte figure in futuro.

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