«Il problema è nella Cgil, non nella Fiom»

Intervista a Giorgio Cremaschi, neo presidente del comitato centrale della Fiom

Paolo Persichetti
Liberazione 21 luglio 2010


Ci sarà una poltrona vuota nella nuova Segreteria nazionale della Fiom eletta ieri dal Comitato centrale del sindacato metalmeccanico. Fausto Durante, esponente della minoranza che fa capo alla mozione del segretario confederale Guglielmo Epifani, ha scelto di non occupare il posto che gli era stato riservato. I componenti sono scesi così da cinque a quattro. La scelta di non sostituirlo va interpretata come un segnale di apertura da parte della maggioranza guidata dal nuovo segretario Maurizio Landini. Abbiamo chiesto a Giorgio Cremaschi, appena eletto presidente del Comitato centrale, come interpreta questa situazione.

Cremaschi, siamo di fronte ad un colpo di coda della vicenda congressuale, alla reazione a distanza per una sconfitta ancora non ben digerita? Oppure c’è dell’altro?
Ci troviamo di fronte all’accelerazione di una discussione politica tra la maggioranza della Fiom e la Cgil. La scelta di Durante, come lui stesso ha detto, non nasce da motivi di dissenso interni alla Fiom. Per intenderci: non ha contestato la linea tenuta su Pomigliano e ha votato lui stesso per la manifestazione nazionale che abbiamo lanciato per il 13 ottobre a Roma e nella quale contiamo di portare tutta la rabbia del lavoro. Tutte decisioni prese all’unanimità. Ha criticato invece la scelta del segretario Landini di aderire all’area programmatica che all’interno della Cgil si trova in posizione di minoranza. Decisione che, a suo avviso, rappresenterebbe l’adesione ad una “opposizione d’intento”. Un atteggiamento che renderebbe impossibile la sua permanenza in segreteria. E’ evidente che dietro questa decisione vi è una tendenza negativa, un piano inclinato verso la riduzione degli spazi di democrazia la cui responsabilità ricade integralmente sulla segreteria della Cgil.

Cosa vuoi dire che dietro questa decisione c’è lo zampino di Epifani?
Io rispetto la scelta di Durante. Penso soltanto che stia portando avanti una battaglia politica. Il problema è Epifani che mostra di non voler discutere con la Fiom. E’ venuto solo al congresso, poi ogni tanto si lamenta sui giornali di non essere invitato. C’è un chiarissimo logoramento dello quadro democratico nella Cgil. Epifani son si sa mai cosa pensi: se è d’accordo oppure no. Quando interviene sulle vicende Fiat parla come se fosse il ministro del Lavoro di un governo che non c’è. Capisco che con Sacconi lo spazio perché possa esserci un ministro del Lavoro molto migliore esiste e probabilmente Epifani sarebbe un ottimo ministro. Solo che ora sta facendo un altro mestiere. Un mestiere che non riesce più a fare.

Scusami se insisto ma questa domanda te la devo fare comunque: corre voce che questa decisione sia stata ispirata dallo stesso Epifani, che l’altro ieri dopo aver presieduto una riunione con esponenti Fiom aderenti alla mozione uno avrebbe chiesto a tutti di uscire dagli organismi dirigenti.
Con tutta la mozione uno non credo. In ogni caso non penso che esistano persone teleguidate. D’altronde Durante stesso non ha fatto mistero di aver incontrato Epifani. Il punto è che non siamo più nella Cgil di una volta. Oggi la Cgil viene governata a maggioranza e questa maggioranza si considera l’intero sindacato. Tanto che per la prima volta nella sua storia il congresso ha cambiato lo statuto senza coinvolgere la minoranza. Un vero atto di ottusità antidemocratica. L’errore di Durante è quello di accettare questo modello, l’idea che la maggioranza debba governare da sola. Ormai ci sono difficoltà ad accettare la discussione, a presentare le mozioni. Purtroppo anche la Cgil non è immune dalla tendenza autoritaria che investe l’Italia.

La scelta di uscire dagli organismi dirigenti proprio nel momento in cui la Fiom è sotto attacco diretto della Fiat, che dopo Pomigliano è tornata a licenziare dando il là anche alle altre aziende, non è forse un modo per la sciare la Fiom sola, sperando di isolarla e indebolirla?
Abbiamo già fatto a meno della Cgil. La Fiom ha retto da sola a Pomigliano. La Cgil Campania aveva dato indicazione di votare a favore dell’accordo. Non penso che questa situazione aumenti i rischi più di quanto già non ve ne siano. La Fiom in questa fase assume un ruolo anche superiore alla sua funzione, non certo perché vuole occupare tutti gli spazi ma perché la Cgil li lascia vuoti.

Carcere: Gli spettri del 41 bis

Massima sicurezza

Paolo Persichetti
Liberazione
lunedì 28 ottobre 2002

appello-2-meglioDegli spettri si aggirano per le carceri italiane, sono i detenuti sottoposti al 41 bis. Si tratta di uomini e donne imprigionati due volte. Dei tribunali hanno tolto loro la libertà, una amministrazione ha decretato la loro invisibilità. Si trovano qualche metro più in là, oltre le sbarre e la griglia che ornano la finestra di questa cella. Pochi metri di cortile mi separano dal popolo dei murati vivi, i fantasmi della prigione. Quando qualcuno di questi spettri traversa il carcere le porte blindate vengono chiuse al loro passaggio. Altre barriere si aggiungono a ispessire il loro isolamento e la loro distanza. Il 41 bis è il regno della opaca afflizione, la pena che rende invisibili. Il supplizio moderno ha vergogna di se stesso, fosse trasparente probabilmente perderebbe molta parte della sua legittimazione sociale. L’intero carcere è colmo di queste «assenze» che si fanno pesanti presenze per tutti. Disciplina e regolamento dell’istituto sono segnati dalla esistenza di questi spettri: non c’è socialità, non ci sono attività rieducative o di formazione, è chiuso persino il campo di pallone. Anche la televisione è imprigionata in una scatola metallica. Tutto è chiuso, metodicamente blindato e imbullonato. «Massima sicurezza» vuole dire deserto disciplinare, spazi angusti e metallici dove i corpi in soprannumero sono stipati e formati in modo rigido e severo mentre le menti si inaridiscono.

CartoncinoL’unico svago concesso viene dall’agognato carrello dell’infermeria che scandisce la giornata distribuendo tre volte al giorno stupefacenti ricreazioni chimiche a base di benzodiazepine. Gli «invisibili», come fantasmi, ogni tanto battono un colpo, anzi dei colpi sui cancelli blindati. Quelle periodiche battiture ci ricordano che il loro è un mondo di vivi che non rinuncia a resistere.
Recentemente il senato ha reso definitivo il regime del 41 bis, una norma sospensiva del normale trattamento penitenziario e che in origine doveva essere solo «eccezionale e transitoria». Non soddisfatti, i senatori ne hanno prolungato la durata ed esteso la portata ad altre tipologie di reato. Chi sostiene la validità di questo trattamento differenziato afferma che esso è necessario per condurre a termine la lotta contro il nemico di turno, che si tratti dei mafiosi, dei terroristi, degli scafisti, non conta poi molto. I «nemici», si sa, sono intercambiabili. La battaglie di civiltà e le lotte per l’emancipazione si svolgono il più delle volte sul terreno impervio delle questioni di principio. È sui punti limite che si misurano i passaggi epocali, i momenti di rottura. Troppo comodo e troppo facile, nonché ineffettuale, è l’atteggiamento di chi pensa di poter difendere solo i diritti di coloro che sente più prossimi: «poveri ma belli» oppure «ricchi e potenti». In entrambi i casi vi è il segno speculare dell’atteggiamento strumentale di chi pensa di eliminare il proprio nemico abolendo i suoi più elementari diritti, considerandolo sub specie umana. È la peggiore guerra quella mossa in nome del Diritto per abolire i diritti. Sfugge a questa concezione una lucida consapevolezza di ciò che è l’emergenza, dei suoi dispositivi di governo delle relazioni sociali, del suo ricorso sistematico alla eccezione che addirittura non sospende più la regola ordinaria ma si candida a rimpiazzarla stabilmente. Sorprende che proprio chi si vuole radicale, antagonista, comunista, non percepisca come i pesanti dispositivi giudiziari e penitenziari della emergenza, sempre più limitanti e costrittivi delle libertà individuali e collettive, restino radicati nel tempo, mentre le tipologie di applicazione hanno vocazione a variare. Ieri è toccato ai «terroristi», oggi ai mafiosi, persino ceto politico e imprenditori ne hanno saggiato gli effetti. E domani?

41-bistortura-ridLa ruota gira  e con i tempi che corrono tra «guerra preventiva», estensione a dismisura della nozione di terrorismo fino a comprendere comportamenti politici e sociali considerati semplicemente «non allineati», a chi giova rafforzare l’arsenale repressivo che un giorno potrebbe essere facilmente rivolto verso tutti quelli che sono semplicemente «contro»? Quei 61 collegi su 61 vinti in Sicilia dalla Casa delle libertà non avrebbero dovuto istruire sul fallimento delle politiche unicamente repressive condotte dagli imprenditori dell’antimafia? Dieci anni di 41bis non hanno sconfitto la mafia, al contrario il centrodestra ha fatto man bassa dei voti come mai era riuscito persino alla Dc. Con la sua strategia fatta di carcere duro e pentitismo remunerato, lo Stato con i suoi centri di potere emergenziale è riuscito solo a favorire la selezione di nuove élites mafiose e il ritorno alle strategie morbide e conniventi di una «Cosa Nostra» tornata invisibile ma sempre percettibile.
A cosa sono serviti allora questi lunghi anni di 41 bis, se non a perfezionare le tecniche di differenziazione penitenziaria, utilizzabili domani, anzi oggi stesso, contro altri gruppi sociali scomodi trasformati in nuovi nemici?
Abolire le garanzie, restringere le maglie della società, non facilita la lotta contro i potenti che dispongono comunque di altre risorse per tutelarsi, mentre rende vulnerabili, espone al ricatto repressivo coloro che non hanno potere, risorse sociali, economiche e culturali. È ora di abbandonare l’idea che la lotta di classe si possa fare con i tribunali e le prigioni. Ne trarrebbe giovamento la critica e la lotta contro ogni forma di valorizzazione legale e illegale del capitale. Lasciamo al diritto la funzione di seguire le evoluzioni della società, di registrare avanzate e sconfitte. Staremo tutti meglio e saremo più liberi di lottare.

Approfondimenti
Cronache carcerarie