Usa: non si arresta la protesta degli anti-Wall street

Grande manifestazione davanti alla Borsa di Borsa di New York. Scontri con la polizia

Paolo Persichetti
Liberazione 7 ottobre 2011


«Trasformare Wall street in piazza Tahrir», era questo uno degli slogan più gridati dai manifestanti mercoledì sera davanti al tempio della finanza mondiale. Chissà cosa s’inventeranno ora i teorici del complotto, la solita banda di cospirazionisti che hanno sempre e solo visto nelle rivolte della «primavera araba» la longa manus nord-americana. Balbetteranno qualche scusa, magari come Bush tireranno in ballo la teoria del «danno collaterale», oppure se hanno studiato filosofia cercheranno conforto in concetti come l’eterogenesi dei fini. Comunque vada ora sono nella cacca. La barba del vecchio Marx ha fatto capolino in molte piazze del mondo negli ultimi mesi prendendosi gioco di questi pagliacci che ammorbano lo spazio pubblico, soprattutto in questi anni di grande confusione, sostituendo all’arte del dubbio quella del sospetto, al tentativo d’arrivare alla radice della cose l’ossessione per ciò che si celerebbe dietro ogni evento.

Mercoledì sera
al corteo che si è diretto verso la Borsa di Wall street non partecipavano solo gli attivisti di «Occupy Wall street», che dal 17 settembre occupano Zuccotti Park dove hanno piantato le loro tende e iniziato un grosso lavoro che nel giro di pochi giorni ha allargato il fronte della mobilitazione, scontrandosi già una prima volta con la polizia sabato sera sul ponte di Brooklyn (almeno 700 gli attivisti arrestati). Alla marcia stavolta si sono aggiunti le associazioni studentesche e le Unions, i sindacati degli operai newyorkesi. Un fronte ampio e multicolore che al grido di «End the war, Tax the rich» (Fine alla guerra, tasse ai ricchi) e «Siamo il 99%» ha raccolto l’intero caleidoscopio del proletariato urbano: «insegnanti ispanici, operai filippini,magliette blu degli idraulici del Bronx, insegne rosse delle “famiglie lavoratrici”», definito come una «marea umana» dal corrispondente della Stampa. Diecimila partecipanti secondo i dimostranti, 30mila per i media. La manifestazione è stata un grosso successo, l’altra faccia dell’american way of life.
In serata quando la testa del lungo corteo ha raggiunto la zona transennata intorno alla Borsa la polizia schierata in massa è intervenuta bruscamente. 18 manifestanti sarebbero stati fermati.

Movimento «open source», così si autodefiniscono gli anti Wall street nei loro testi che viaggiano sulla rete. Tutto è nato nel luglio scorso da un appello lanciato dallo storico collettivo di «artivisti no global» di Adbuster, ripreso successivamente dagli «hacktivisti» di Anonymus che hanno lanciato la proposta di occupare Wall street con una tendopoli permanente: «L’occupazione di Wall Street – scrivono – potrà essere un momento di rottura politica come è accaduto con le prime proteste in Egitto, oppure, come in Spagna, segnerà l’inizio di un processo di democrazia diretta per la costruzione di un nuovo movimento per la giustizia sociale. Ripartiamo da dove i primi no-global si sono fermati, facendo fiorire un nuovo movimento di movimenti». La nuova tattica dovrebbe mettere in piedi «una fusione tra Piazza Tahrir e gli ‘acampados’ di Spagna». L’obiettivo è «vedere 20mila persone riversarsi a Lower Manhattan, tirare su tende, cucine, barricate pacifiche e occupare Wall Street per qualche mese. Una volta lì, ribadiremo incessantemente un’unica, semplice, rivendicazione in una pluralità di voci». La rivendicazione è quella di una vera democrazia e non di una «corporatocrazia» (potere delle multinazionali), il divieto delle dei grandi gruppi privati di finanziare la politica, la tassazione dei loro profitti, un sistema fiscale fortemente progressivo, una commissione d’inchiesta presidenziale sul potere d’influenza delle lobby economiche. Oltreoceano se non altro hanno capito quale è la madre di tutte le caste.

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