Processo Spiotta, in aula Leonio Bozzato, l’operaio che spiava le Br per conto del Sid

Dopo sette udienze, martedì scorso primo luglio è stato sospeso il processo davanti la corte d’Assise di Alessandria sulla sparatoria seguita al sequestro da parte delle Brigate rosse dell’imprenditore dello spumante Vallarino Gancia, avvenuta il 5 giugno del 1975. Quel giorno trovarono la morte in circostanze mai chiarite la brigatista Margherita Cagol e, a seguito delle ferite riportate, l’appuntato dei carabinieri Giovanni D’Alfonso. La pausa estiva e il cambio di sede della giudice a latere imporranno una pausa di sei mesi. Le udienze riprenderanno il 27 gennaio del 2026.

Lo schermo dietro il quale si è nascosto lungo tutta l’udienza il confidente del Sid-Sisde Leonio Bozzato/Frillo
Leonio Bozzato indicato con il numero 2

Tre passaggi importanti del processo
Questa prima fase processuale è stata caratterizzata da tre momenti importanti: il primo è stato il riconoscimento della corte che una parte dell’inchiesta è stata condotta forzando la legge. Sono state dichiarate illegittime tre mesi di indagini realizzate contro Lauro Azzolini, intercettato in maniera fraudolenta con captatori telefonici e ambientali per alcuni mesi. La corte ha riconosciuto anche la correttezza del lavoro difensivo effettuato da uno degli avvocati, messo in discussione dalle indagini che più volte hanno preso di mira l’attività difensiva degli imputati e di un altro legale della difesa. Il secondo punto decisivo riguarda l’ammissione fatta in apertura di processo da Lauro Azzolini che ha riconosciuto di essere il brigatista fuggito dopo la sparatoria: «C’ero io quel giorni di 50 anni fa alla Spiotta!», quando «in un minuto breve tutto precipitò, un inferno che ancora oggi mi costa un tremendo sforzo emotivo rivivere, al termine del quale sono morte due persone che non avrebbero dovuto morire, il padre di Bruno D’Alfonso e Mara». Ammissione che di fatto ha esaurito la sostanza dell’inchiesta e del processo, messo in piedi per dare un nome al fuggitivo. Dopo la confessione di Azzolini, che ha anche scagionato i suoi coimputati dall’accusa-teorema di aver dato l’ordine preventivo di fare fuoco contro le forze di polizia, il processo dovrà appurare le circostanze esatte della uccisione di Margherita Cagol. Il terzo aspetto riguarda il muro dei «non ricordo» eretto dai carabinieri dell’ex nucleo speciale diretto dal generale Alberto Dalla Chiesa, anch’essi ormai anziani e in pensione come gli imputati, uno dei quali, Mario Moretti, ancora in carcere ormai da quasi 45 anni.

A viso aperto
Una delle immagini più forti emerse da questo primo ciclo di udienze è stato il contrasto tra i vecchi brigatisti, Lauro Azzolini e Massimo Maraschi, 82 anni il primo, 73 il secondo, entrambi con lunghi anni di carcere speciale alle spalle, che hanno parlato a viso aperto davanti alla corte, mentre sul versante opposto gli uomini dello Stato si sono fatti schermo della memoria ormai andata, di mille contraddizioni e versioni contrastanti. Nell’ultima udienza addirittura un testimone, strumento di quel versante oscuro dello Stato, pedina degli apparati che agiscono nell’ombra, il confidente del Sid e poi del Sisde Leonio Bozzato, si è presentato col volto travisato da una mascherina e un cappello, nascondendosi durante tutto l’interrogatorio dietro un paravento.
I processi non ci parlano solo di leggi, norme e codicilli, a saperli osservare possono dirci tante altre cose come il fatto che dopo cinquant’anni chi non ha paura di mostrare la propria faccia, non dovendosi vergognare della propria storia, sono quei vecchi signori delle Brigate rosse. Gli altri, a quanto pare, hanno dei problemi, preferiscono non ricordare o nascondersi ancora perché raccontare quasi venti anni passati a fare la spia, suscita solo vergogna.

Il confidente
Quella del delatore è una figura ancestrale dell’animo umano, rappresenta una dimensione arcaica dell’antropologia descritta persino nelle sacre scritture. Giuda Iscariota tradì sull’onda del momento, cedette ai trenta denari ma poi afflitto dal rimorso si appese ai rami di un Siliquastro, almeno così racconta il mito cristiano, forse per il colore dei fiori, rosa e rossi, che cinge la chioma di questo albero bellissimo. Colore che rimanda al sangue versato per il tradimento. Leonio Bozzato ha tradito per venti anni amici e compagni di lavoro, di idee e di lotte. Operaio al Petrolchimico di Porto Marghera, iniziò la sua professione di spia, come ha raccontato in aula, su suggerimento di un carabiniere amico di famiglia. Gli venne chiesto di osservare quello che vedeva e sentiva attorno a sé. Erano i primi anni Settanta e mentre tutt’intorno la società ribolliva e le fabbriche erano in rivolta con scioperi, occupazioni, picchetti, vertenze per aumentare i salari, battaglie contro lo sfruttamento oppressivo e la nocività, e si chiedeva democrazia nei luoghi di lavoro, si parlava di rivoluzione in ogni dove, Bozzato tradiva. Dopo una breve sperimentazione negli ultimi mesi del 1971, viene assunto dal Centro Sid di Padova nel gennaio del 1972 con il nome di copertura «Frillo» e «retribuito a rendimento». Nelle ricevute di pagamento impiegava il nome di copertura «Vello». Frillo è bravo, è sveglio, formato politicamente, si introduce subito negli ambienti giusti, il suo contributo è molto apprezzato dal Servizio. Inizialmente il Sid lo piazza tra i maoisti dell’Unione marxista-leninista, quelli del giornale Servire il popolo. Gli apparati temevano la Cina, vedevano cinesi ovunque, avevano paura che le guardie rosse arrivassero a Trieste o sbarcassero in Puglia, magari dall’Albania. Non capivano bene quel che ribolliva nella società italiana, i tanti filoni degli «ismi» marxisti che fiorivano nel cuore delle nuove catene di montaggio riempite di giovani migranti del Sud. Guardavano ancora alla guerra fredda, al Patto di Varsavia o alla rivoluzione culturale di Mao e non si accorgevano di quel che accadeva in casa propria, di quel neomarxismo italiano che cambierà le carte in tavola: l’operaismo.

Spiare Porto Marghera
Declinata l’esperienza dei cosiddetti «gruppi», le diverse formazioni della sinistra extraparlamentare, Lotta continua, Potere operaio, e della la galassia maoista, nascono le prime Assemblee autonome all’interno dei poli industriali. Il centro Sid di Padova riorienta subito Frillo che ha l’ordine di infiltrarsi in questa nuova realtà politica.
Nel frattempo i brigatisti che hanno già due colonne in piedi, quella storica di Milano, dove sono nate, e la seconda a Torino, progettano di metterne in piedi una terza nel Veneto, tra Padova e il Petrolchimico di Porto Marghera. I primi rapporti li tiene Giorgio Semeria che aveva fatto il militare a Padova e aveva agganciato il gruppo della brigata Ferretto: una prima struttura di militanti autonomi che si erano posti il problema concreto della lotta armata. Scenderanno per insediare la nuova colonna militanti sperimentati come Corrado Alunni, Rocco Micaletto, Alfredo Buonavita, gli ultimi due incontrati da Frillo. Sul posto ci sono Robertino Ognibene e Fabrizio Pelli. Nonostante gli sforzi la colonna non riuscirà mai a consolidarsi in questa prima fase: il fallimento della perquisizione del giugno 1974 nella federazione del Msi di Padova, in via Zabarella, che porterà alla morte di due militanti missini e a una crisi dei rapporti con l’area autonoma, poi la cattura di Ognibene nella base di Robbiano di Mediglia e quella di Carlo Picchiura dopo un controllo stradale, infine il lavoro ai fianchi del confidente Frillo che come Penelope disfaceva la notte quello che i suoi compagni tessevano di giorno, impedirà alla colonna di decollare. La spia Bozzato farà arrestare due suoi compagni in procinto di realizzare un’azione, incredibilmente riuscendo a sviare i sospetti nei suoi confronti e nel marzo del 1976 consegnerà ai carabinieri il responsabile della colonna Giorgio Semeria. Episodio che porterà al congelamento della colonna veneta e alla legenda di Moretti infiltrato sospettato di aver causato l’arresto di Semeria. Dopo quell’episodio la colonna verrà di fatto congelata, inizierà una seconda vita, stavolta molto più efficace, dopo il 1978 con l’arrivo di Nadia Ponti e Vincenzo Guagliardo. Frillo in questa seconda fase non ci sarà più, allontanatosi dopo che Michele Galati aveva denunciato ai suoi compagni il suo doppiogioco. Nonostante ciò continuerà a svolgere il suo lavoro di spia all’interno dell’assemblea autonoma, tanto da divenire uno dei testi d’accusa, sotto le mentite spoglie di «pentito» nell’inchiesta Sette aprile. Il suo rapporto con i Servizi si conclude nel 1989, cosa e chi abbia spiato negli anni 80 ha evitato di dirlo in aula e, nonostante la mole di rapporti prodotti dalla sua attività informativa, l’Aisi non ha consegnato la documentazione necessaria per trovare adeguata risposta. Sarebbe una cosa molto utile se il presidente Paolo Bargero, approfittando di questa fase istruttoria, rinnovasse all’Aisi richiesta completa dei rapporti sulla fonte Frillo.

Non c’era ancora un «Esecutivo»
Bozzato, col nome di battaglia Andrea venne arruolato da Nadia Mantovani, studentessa in medicina, molto vicina a Gianfranco Pancino e Giorgio Semeria. Mantovani, che allora era una irregolare, gli chiederà di avvicinare gli operai del Petrolcihimico e monitorare il dibattito politico. All’interno della colonna Bozzato non andò mai oltre questo ruolo, di contatto prima e irregolare dopo. Nei suoi frequenti incontri col suo referente del Sid, non fornisce notizie sul sequestro Gancia, sul nome del fuggitivo. Ricorda solo il pianto di Micaletto alla notizia della morte della Cagol. Durante l’inchiesta, il suo servilismo verso le autorità lo porta a strafare, fa capire ai pm che qualcuno, oltre a descrivergli il fuggitivo, gli aveva anche fatto il nome, «era di Reggio Emilia» – ma non ricordava bene – così tirò fuori quello di Alberto Franceschini che era in carcere in quel momento. In aula non ha confermato, ha sostenuto che il fuggitivo gli era stato solamente descritto. Se nulla sapeva della Spiotta comunque conosceva bene la discusione che seguì quell’episodio traumatico. Riferisce al Sid l’autocritica profonda che attraversa le Brigate rosse e i progetti di ristrutturazione organizzativa e logistica che verranno poi certificati nella Direzione strategica del novembre 1975. Fornisce al Servizio i documenti del dibattito. In aula è stato interrogato a lungo su questo punto cruciale: per sapere se esistesse un «Esecutivo» oltre a una Direzione prima della Spiotta perché nei rapporti del Sid si usano i due termini, accostandoli o intercambiandoli. La risposta ha portato un altro colpo al teorema dell’accusa: «per quanto mi riguarda sono cose analoghe perché il numero dei militanti era talmente limitato, sarebbe risultato dispersivo».

La seconda cattura di Curcio
Seguendo gli incontri di Frillo con la Mantovani a Milano, nei pressi della stazione centrale, il Sid è arrivato a via Maderno dove venne catturato per la seconda volta Renato Curcio. Per coprire la spiata di Frillo venne inventata la storia di una multa per divieto di sosta che avrebbe portato alla cattura di Angelo Basone e da lui alla individuazione successiva della Mantovani e della sua rete di contatti, immortalata dal Sid in una foto presa dopo una riunione milanese nella quale compare anche Bozzato.

I marziani a Reggio Emilia

Teorie del complotto
Fasanella ha trovato finalmente le prove:
gli gnocchi fritti emiliani

di Paolo Nori
Il manifesto 26 aprile 2009

I libri che escono in libreria insieme a un film, uno ha l’impressione che siano un po’ meno libri degli altri libri che escon da soli. Che siano come degli elementi accessori, dei quali si potrebbe benissimo fare a meno se non ci fossero dei motivi, come dire, tributari. Credo che l’Iva sui libri sia più bassa rispetto a quella sui Dvd, e che vendendo la coppia Dvd-libro con l’Iva più bassa si riesca a tenere il prezzo più basso. È un po’ come se quei libri lì, con il fatto di avere abbassato il prezzo, avessero esaurito la loro funzione, e difatti di solito nessuno li legge.image001 Come in tutte le cose, ci sono delle eccezioni e il libro Il sol dell’avvenire, Diario tragicomico di un film politicamente scorretto, di Giovanni Fasanella e Gianfranco Pannone, appena uscito in cofanetto insieme al Dvd Il sol dell’avvenire, Il fim rivelazione sulla nascita delle Brigate Rosse, sempre di Giovanni Fasanella e Gianfranco Pannone (Milano, chiarelettere marzo 2009) sembra una di queste eccezioni. Del film, che è un documentario, si è parlato molto l’estate scorsa per via di un intervento di Sandro Bondi, ministro della cultura, che aveva detto che offendeva «la memoria delle vittime del terrorismo», e aveva fatto sapere di avere «già dato precise direttive affinché venga impedito in futuro che lo Stato possa finanziare opere che non solo non mostrano di possedere alcuna qualità culturale, ma che riaprono drammatiche ferite nella coscienza etica del nostro Paese». Dal momento che io, in modo, forse, superficiale, senza per esempio averlo mai conosciuto di persona, ho una pessima opinione di Sandro Bondi, prima di guardare il documentario ero molto bendisposto. Dopo averlo guardato, e dopo aver letto il libro allegato, libro che racconta la genesi, la lavorazione, e l’uscita del film, la penso in un altro modo. Il film, come è noto, rievoca il momento in cui, a Reggio Emilia, tra la fine degli anni 60 e l’inizio degli anni 70, alcune persone decisero che loro volevano fare la lotta armata. Molti dei testimoni, per usare il termine che usano Fasanella e Pannone, ai quali i due registi si sono rivolti, hanno rifiutato di partecipare al film: i registi, nel libro, dicono che questi rifiuti, numerosi, più delle adesioni, dipendono da «un velo omertoso steso per decenni sulla storia della città». Il libro comincia proprio con i profili biografici dei cosiddetti Testimoni, cioè di quelli che hanno aderito alla richiesta di Fasanella e Pannone. Quello di Alberto Franceschini, detto Franz, nato a Reggio Emilia il 26 ottobre del 1947, comincia così: «Nonno fondatore del Pci e partigiano comunista, papà custode della camera del lavoro di Reggio, egli stesso militante della Federazione Giovanile comunista». Quello successivo, di Paolo Rozzi, detto Poldo, nato a Reggio Emilia il 17 ottobre del 1946, comincia così: «Presidente del IV municipio di Reggio. Proviene da una famiglia di partigiani comunisti, che annovera una zia staffetta partigiana e militante del Pci clandestino». Fasanella al Festival di Locarno Fasanella al Festival di Locarno E quello dopo, di Tonino Loris Paroli, Casina (Re), 17 gennaio 1944, così: «Figlio di un partigiano comunista, alla fine degli anni Sessanta era operaio metalmeccanico alla Lombardini di Reggio e rappresentante sindacale della Cgil, molto seguito dalla base». Ce n’è uno che fa eccezione: Roberto Ognibene (Reggio Emilia, 12 agosto 1954) è «cresciuto in una famiglia di socialisti»; tuttavia, dopo essere entrato nelle Br, viene arrestato nel 1974 dopo uno scontro armato con i carabinieri. «Anche se due anni prima si era già trasferito a Milano, a Reggio la notizia della sparatoria provocò molta sorpresa: il giovane – si legge nel suo profilo – era sempre stato uno studente modello, ritenuto intelligente e carismatico tra i suoi compagni». Adesso, a parte il fatto che da questo profilo si dovrebbe dedurre che a Reggio Emilia i brigatisti venivano considerati pessimi studenti poco intelligenti e poco carismatici, a parte questo, l’organizzazione di questi profili è notevole. Sarebbe un po’ come se io scrivessi il mio così: «Paolo Nori, nato a Parma il 20 maggio del 1963, è figlio di una famiglia di muratori, che annovera una nonna che ha fatto la mondina e un altro nonno molto amante della Russia, del quale si diceva che fosse abbonato alla Pravda, ma non era vero». Torna in mente quel che scriveva, nel 1927, Viktor Šklovskij, quando diceva che «L’eroe (o protagonista) svolge il ruolo della crocetta sulla fotografia o del bastoncino sull’acqua che scorre: semplifica il meccanismo concentrando l’attenzione». Ecco, nel caso del documentario di Fasanella e Pannone, si ha l’impressione che un bastone sia stato immerso nell’acqua della Reggio Emilia degli anni 60 e 70, e, in questo caso, la funzione del libro allegato al Dvd, oltre a quella che si diceva, come si chiamava, tributaria, sembra essere proprio quella di isolare, chiarire, mettere a nudo quel protagonista che determina la concentrazione dell’attenzione del lettore su certi dettagli come una zia staffetta partigiana messa lì, nel bel mezzo del salotto come un soprammobile sopra la televisione. La presenza di questo protagonista, di questo filtro narrativo, è così evidente, nel libro, che non c’è una sola parte che uno legga senza restare in un certo senso stupefatto. In quarta di copertina ci sono due frasi degli autori, la prima è di Fasanella, e dice: «Le Br ci sono ancora, quel terreno non è mai stato bonificato a fondo e qualcuno ci deve dire perché».
Che è una frase che ci dice due cose: che le Br ci sono ancora, e questo si capisce; che quel terreno non è mai stato bonificato a fondo, e qualcuno ci deve dire il perché. E questo, a dire il vero, si fa fatica, a capirlo. Anche il nazismo, c’è ancora, in forme laterali e, per fortuna, largamente minoritare, sembra. Anche quel terreno, però, non è ancora stato bonificato a fondo. E qualcuno, quindi, ci dovrebbe spiegare il perché. La stessa cosa si può dire per il razzismo, per l’antisemitismo, per la corruzione, per la violenza dello stato, per la violenza sessuale, per esempio, che è una cosa che fa accaponare la pelle, ma se uno dicesse: «La violenza sessuale c’è ancora, quel terreno non è mai stato bonificato a fondo, e qualcuno ci deve spiegare perché», non sarebbe una frase sensata. Altrettanto insensata è quella di Fasanella, con in più questa idea di bonificare. Sorvegliare e punire, sembra, non basta più, adesso: bonificare. La frase di Pannone, in quarta di copertina, è questa: «Ci hanno fatto credere che le Br venivano dallo spazio e invece sono figlie di una parte della sinistra storica». Io quando ho letto questa cosa ho pensato che io, il fatto che le Br venivano dalla sinistra storica, forse, l’avevo già sentito. Allora ho provato a andare a vedere su wikipedia. Mi sono connesso e sono andato a cercare cosa c’era sotto la voce Br. Per un attimo, intanto che andavo, ho pensato: “Stai attento che c’è scritto che vengono dallo spazio”. «Brigate Rosse (abbreviato in BR) è il nome di un’organizzazione terrorista di estrema sinistra fondata nel 1970 da Alberto Franceschini, Renato Curcio e Margherita Cagol. Di matrice marxista-leninista considerata come esempio di avanguardia rivoluzionaria da certa critica ne fu il maggiore, più numeroso e più longevo gruppo del secondo dopoguerra esistente in Italia e nell’Europa Occidentale». Niente marziani.
Nel libro c’è scritto che il film è il seguito di un altro libro, un libro intervista che Fasanella ha fatto insieme a Franceschini. Questo capostipite si intitola Che cosa sono le Br, è stato pubblicato da Rizzoli nel 2004 e a un certo punto ci si trova un passaggio in cui si parla del padre di Franceschini, di quando tornò dalla Germania, era stato in Germania durante la guerra. Fasanella chiede: «Tornò a lavorare alle Reggiane?» «Sì, – risponde Franceschini, – dopo la guerra. La fabbrica era in crisi e venne occupata dagli operai, che decisero l’autogestione. Volevano dimostrare che le reggiane potevano produrre anche per uso civile e cominciarono a costruire trattori, il famoso R60 con i cingoli. Lo avevano realizzato con modelli dei carri armati. Uno di quei trattori oggi lo si può ancora vedere nel museo dei fratelli Cervi, a Campeggine». «Proprio in quel periodo, – chiede allora Fasanella – venne assassinato il direttore delle Reggiane. In famiglia ha mai ascoltato racconti di quell’attentato?». «Uno degli imputati di quell’omicido, – risponde Franceschini – venticinque anni dopo, quando feci la scelta della lotta armata, mi diede le sue pistole». Allora: a parte che non è vero che il trattore R60 si trova a Campegine (sembra che nessuno dei tre gli esemplari di R60 costruiti all’epoca sia più a Reggio Emilia o in provinica di Reggio), ma questo è un dettaglio, a parte che Campegine si scrive Campegine con una g e non con due, e anche questo è un dettaglio, la cosa stupefacente, qui, è che chi legge senza sapere niente di quel che è successo allora, connette l’uccisione del direttore delle Reggiane con l’occupazione della fabbrica. Invece no. L’occupazione comincia nel 1950 e finisce nel 1951, l’omicidio del direttore delle Reggiane è del 1946. Io non sono un esperto di Brigate Rosse, non me se sono mai occupato, ma se Fasanella e Franceschini, e con loro Pannone, hanno trattato il tema del brigatismo rosso nello stesso modo in cui hanno trattato il tema dello sciopero delle reggiane, non c’è da meravigliarsi che molti, a Reggio Emilia, avendo magari letto Che cosa sono le Br, abbiano rifiutato di partecipare al film. Fasanella e Pannone, come detto, attribuiscono questo rifiuto al «velo omertoso steso per decenni sulla storia della città», che in un altro punto del libro viene declinato come «muro di omertà degli ex Pci». È con questo muro di omertà che Fasanella e Pannone si spiegano il fatto che, con loro, il vicesindaco Ferretti «aveva sempre qualcosa di più importante da fare», o che, con loro, il segretario nazionale della Fiom-Cgil Gianni Rinaldini «dopo un frettoloso saluto, fugge via», o che, con loro, Prospero Gallinari si comporta come uno che ha «tutta la supponenza e l’arroganza degli irriducibili», e che, con loro, Tiziano Rinaldini, della Cgil, si comporta come «un vecchio agente della polizia sovietica». Quando uno di questi ex Pci, Paolo Rozzi, quello che annovera una zia partigiana, e che si vede nel documentario mentre vende il gnocco fritto per il Partito Democratico, accetta («Certo che ci sto! Quando cominciamo? Perché vi meravigliate? Sì, ne abbiamo fatte di cazzate, poco ci mancava che diventassi un terrorista io stesso. Ma ne voglio parlare, non sono come gli altri, che vorrebbero cancellare il proprio passato»), Fasanella e Pannone commentano: «Finalmente una persona intellettualmente onesta!». Il sol dell’avvenire, diario tragicomico di un film politicamente scorretto, in un certo senso è un libro bellissimo, veramente tragicomico, indifeso e indifendibile, e è bellissimo anche il fatto che, nella rassegna stampa finale, che va da pagina 81 a pagina 127, a parte gli interventi di Bondi, Fasanella e Pannone pubblichino solo gli articoli che parlano bene del loro film, dimenticandosi per esempio quello pubblicato su Liberazione da Paolo Persichetti il 10 agosto del 2008 (intitolato Spazzatura), o quello pubblicata da Tiziano Rinaldini sul manifesto il 15 agosto 2008, o quello pubblicata da Luciano Berselli sull’Unità il 23 agosto 2008. È un libro del quale si potrebbe parlare per ore, un libro in cui tutto è completamente deformato, in cui tutto spinge a dimostrare una tesi, la tesi che il film Il sol dell’avvenire è un film importantissimo che, per primo, in Italia, e forse nel mondo, dimostra il fatto che le Brigate Rosse non vengono da Marte. «Tutti a parlare di questi marziani, questi marziani, questi marziani, non è vero: eran di Reggio Emilia», sembra che dicano continuamente Fasanella e Pannone, e ascoltarli in un certo senso è bellissimo, in un altro senso fa venire il nervoso.

Link
Doppio Stato e dietrologia nella narrazione storiografica della sinistra italiana – Paolo Persichetti
Doppio Stato? Una teoria in cattivo stato – Vladimiro Satta
La teoria del doppio Stato e i suoi sostenitori – Pierluigi Battista
La leggenda del doppio Stato – Marco Clementi
Italie, le theme du complot dans l’historiographie contemporaine – Paolo Persichetti
Ci chiameremo la Brigata rossa – Vincenzo Tessandori
Spazzatura, Sol dell’avvenir, il film sulle Brigate rosse e i complotti di Giovanni Fasanella
Lotta armata e teorie del complotto
Caso Moro, l’ossessione cospirativa e il pregiudizio storiografico
Il caso Moro
Storia della dottrina Mitterrand