L’insostenibilità economica del sistema penitenziario

Caro-carceri, riduciamo i detenuti e dimezziamo strutture inutili

Paolo Persichetti

Liberazione 18 agosto 2011

La domanda giusta non è quanto costa un detenuto ma quanto costano le carceri. In questi tempi di urgenza economica di fronte alle manovre speculative dei mercati finanziari sul debito pubblico, mentre il governo ha annunciato una nuova manovra economica correttiva per il rientro del deficit che prevede ulteriori tagli e imposte che vengono ad aggiungersi ai pesanti interventi già introdotti nella prima stesura della legge di bilancio, in presenza di una situazione di sovraffollamento carcerario senza precedenti (67 mila detenuti), dovrebbe imporsi nel dibattito che si aperto sui rimedi da intraprendere (patrimoniale, tassa sulle speculazioni finanziarie, abolizione della cosiddetta “finanza tossica”, fondi sovrani, eurobond, smantellamento delle spese militari ecc.) anche una riflessione sull’antieconomia dell’istituzione carcere.
Secondo i dati elaborati da Ristretti orizzonti, negli ultimi 10 anni il sistema penitenziario è costato alle casse dello Stato circa 29 miliardi di euro. Dal 2000 ad oggi almeno 2 miliardi e mezzo all’anno. Vista l’ingente somma impiegata è più che lecito porre domande sull’utilità pubblica e la performatività sociale di questo tipo di spesa.

La prima risposta, sicuramente la più scontata, ritiene che il sistema penitenziario sia necessario a garantire la sicurezza. Ad essa si aggiunge una variante che fa leva sulle proiezioni simboliche: la presenza del carcere si giustificherebbe con l’esigenza di trasmettere sicurezza. Entriamo qui nel campo della retribuzione simbolica: ad ogni crimine deve corrispondere una sanzione inflitta a colui che il sistema giudiziario ha individuato come colpevole. Questa retribuzione afflittiva è ritenuta decisiva poiché in grado di produrre un valore risarcitorio e rassicurante per la società.
A dire il vero anche questo effetto retributivo si è affievolito negli ultimi tempi, e non perché sia venuta meno la natura afflittiva delle pene che – stando ai dati ufficiali – si sono notevolmente allungate e inasprite come dimostra il numero degli ergastolani, oltre 1500, a cui vanno aggiunti l’alto numero di persone condannate ad una pena superiore ai 20 anni di reclusione, ma anche per la presenza dei ripetuti e numerosi vincoli ostativi introdotti nel corso degli ultimi decenni che impediscono l’accesso ai benefici penitenziari, oltre alla presenza del 41bis (regime di isolamento massimale). Nonostante ciò è convinzione diffusa che il sistema penale non punisca a sufficienza. Ad alimentare questo pregiudizio è la deriva vittimaria che ha permeato la società. Un’ideologia dall’istinto cannibalesco che ha bisogno di capri espiatori per riprodursi. Come sanno tutti gli esperti ed operatori che lavorano nel settore, la sicurezza è diventata una nozione eterea, sempre più distante dalla realtà dei fatti sociali e sempre più abitata da percezioni, fantasmi e paure. Qualcosa che investe l’inconscio sociale più che le reali condizioni della convivenza civile. Se il carcere serve a garantire la sicurezza è singolare che l’impennata d’incarcerazioni corrisponda con il decennale decremento degli omicidi, delle rapine e delle violenze. Ma allora se ci sono meno assassini e rapinatori, nonostante 9 italiani su 10 siano persuasi che la criminalità è in aumento, chi sono questi “delinquenti” che riempiono le carceri fino a scoppiare?
La risposta si trova in alcune leggi e in diversi inasprimenti del codice penale e della legge Gozzini: La Bossi-Fini che criminalizza l’irregolarità amministrativa degli immigrati; la Fini-Giovanardi che considera altamente criminale l’uso di droghe leggere e la Cirielli che infierisce sulla recidiva, vero è proprio manganello classista che colpisce i comportamenti devianti delle fasce sociali più deboli. L’innalzamento della soglia di legalità introdotto da queste normative ha trasformato in reati penali comportamenti, o devianze, precedentemente non penalizzati o affrontati con soluzioni mediche o amministrative. Siano dunque di fronte ad una questione tutta politica, ad un’idea di società, una concezione del mondo riassunta nell’orgasmo triste della vendetta incarognita, nella libidine impotente della cattiveria antropologica, divenuti il viatico di una competizione vittimaria che si avvita su se stessa alla ricerca di un appagamento senza fine. Più le carceri saranno piene maggiori saranno le richieste d’incarcerazione e le proteste per la troppa indulgenza. Un fallimento per un sistema penale che punta a garantire se non la sicurezza almeno la sua percezione.

La seconda risposta evoca per il carcere la funzione rieducativa. Una contraddizione in termini per non dire una bestemmia. Questo mito morale e utilitaristico, iscritto persino nella costituzione, è tuttavia smentito proprio dai conti. L’80% del bilancio penitenziario è assorbito dal personale (48 mila dipendenti tra custodia, amministrativi, direttori, educatori). Solo il 13% va al mantenimento dei detenuti (corredo, vitto, cure sanitarie, istruzione, assistenza sociale), il 4,4% serve alla manutenzione, il 3,4% al funzionamento (energia elettrica, acqua). In tempi di iperliberismo l’unica dose di keynesimo legittimo sembra essere solo quello della sofferenza.
I tagli imposti nelle ultime finanziarie hanno provocato una riduzione diseguale delle risorse: 5% sul personale; 31% per tutto il resto. Considerando che in 30 mesi i detenuti sono aumentati di quasi 30mila unità, le risorse procapite per detenuto sono precipitate dai 200 euro al giorno del 2007 ai 113 del 2010. Appena 3,95 euro giornalieri per i pasti e 11 centesimi per le attività scolastiche, culturali e sportive.

Se l’esperienza carceraria è dunque così fallimentare perché non gettare la scure dei tagli proprio a partire dal numero dei detenuti e delle carceri?

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Niente amnistia perché ci vogliono i 2/3 del parlamento? Allora abolite le ostative del 4bis e allungate la liberazione anticipata. Basta la maggioranza semplice
Cronache carcerarie

Nuovo censimento del Dap sulle carceri, meno misure alternative più affollamento

Reso noto il rapporto di Ristretti orizzonti che elabora i dati ufficiali de l Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria

Paolo Persichetti
Liberazione 9 aprile 2011

Oltre un milione e centomila galline ovaiole “prigioniere” in gabbie sovraffollate ben oltre i limiti di legge sono state sequestrate dai Nas durante una serie di controlli in allevamenti del centro nord, effettuati in vista delle festività pasquali. La presenza nelle gabbie era del 50% superiore al numero di animali consentito dalle attuali normative europee.
Una situazione analoga alla condizione di vera e propria calca che si vive nelle celle delle carceri italiane, dove le persone sono stipate l’una sull’altra. 67.615 presenze registrate alla data del 28 febbraio 2011 per una capienza che sulla carta raggiunge i 45.320 ma in realtà è inferiore.
Molti sono posti fantasma. Intere sezioni, pur disponibili, restano vuote con la conseguenza che la statistica diluisce l’affollamento reale. Il dato medio falsa le condizioni ben più drammatiche che si vivono nei maggiori istituti metropolitani e nelle prigioni del Sud, dove la presenza nelle “stanze di pernottamento” (ma dove si soggiorna 20-22 ore al giorno) raggiunge tranquillamente il doppio della capienza prevista. Insomma si sta peggio delle galline ovaiole tutelate dai Nas.
Se gli stessi criteri utilizzati per i pennuti dalle uova d’oro venissero applicati agli umani, le nostre carceri chiuderebbero come in Germania hanno stabilito i giudici costituzionali in una sentenza. Questo è il primo dato che emerge dall’elaborazione delle ultime stime, rese note dal dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, realizzato da Ristretti orizzonti, la piattaforma multimediale di cultura e informazione dal carcere promossa da detenuti ed ex detenuti della casa di reclusione Due palazzi di Padova e sostenuta dall’associazione di volontariato “Granello di Senape Padova”.

Si esce di meno e si entra di più
Altra conseguenza significativa registrata dalle cifre ufficiali è il fatto che una volta entrati in carcere non si esce, o meglio, si esce il più tardi possibile. Gli ergastolani, per esempio, sono quasi 1500 e restano in carcere ben oltre i 30 anni reali, che sommati ai giorni di liberazione anticipata (la buona condotta) spesso avvicinano i tetti di pena maturata a cifre da capogiro. Ad essere in semilibertà – che per questo tipo di condanna è ammessa solo dopo aver raggiunto il 20 anno di reclusione – sono appena 29 in tutta Italia. La pena si sconta chiusi in cella fino all’ultimo giorno e chi quell’ultimo giorno non ce l’ha rischia di uscirne solo con i piedi in avanti. Il raffronto proposto tra il numero delle misure alternative applicate al 28 febbraio 2011 e quelle concesse prima che entrasse in vigore la cosiddetta legge Cirielli (251/2005 ), normativa che pone molte limitazioni alla loro applicazione nei confronti di condannati recidivi, non consente repliche.
Oggi sono in misura alternativa 16.018 persone, dei quali 8.604 in affidamento ai servizi sociali, 858 in semilibertà (tra loro gli stranieri sono soltanto 85), 6.556 in detenzione domiciliare (non quella speciale entrata a regime recentemente e utilizzabile da poche decine di persone), a cui vanno sommati i condannati a lavori di pubblica utilità (41 in tutta Italia), ammessi al lavoro esterno (423 persone). Altre 2.023 sono le persone sottoposte alla libertà vigilata e 104 alla libertà controllata.
Prima della Cirielli erano in misura alternativa: 48.195 persone nel 2003, 50.228 nel 2004 e 49.943 nel 2005. Le restrizioni della Cirielli hanno prodotto una riduzione di quasi 2/3 a fronte di un incremento della popolazione reclusa. A causa degli inasprimenti sulla recidiva e di altre norme in materia di sicurezza (tra cui l’estensione della fascia di reati ostativi o che vedono ritardata l’applicazione della Gozzini e delle misure alternative), l’esecuzione penale esterna è tornata ad essere quella dei primi anni 90, quando c’erano 20 mila detenuti in meno. 13mila persone in misura alternativa nel 1994, 15 mila l’anno successivo.
L’industria della punizione gira a pieno regime.

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Cronache carcerarie

Manuel Eliantonio, morto nel carcere di Marassi

Da gennaio 98 detenuti morti

Paolo Persichetti
Liberazione 22 ottobre 2008

Dall’inizio del 2008 sono morte nelle carceri italiane 98 persone. L’ultimo censimento risale al 15 ottobre scorso (fonte Ristretti orizzonti). Nei casi di morte recensiti sotto la voce «malattia», il dato non è in grado di dettaglaire ulteriormente i decorsi e le caratteristiche delle malattie che hanno portato alla morte e dunque non dicono tutto sulla carenza di cure che spesso accelerano irrimediabilmente gli stati patologici dei reclusi. Un episodio eclatante è stato quello di Franco Paglioni, affetto da sindrome Aids e deceduto in condizioni ignominiose lo scorso settembre nel carcere di Forlì. In realtà i dati raccolti nel dossier non riescono a dirci l’intera verità poiché si tratta d’informazioni (tutte verificate) raccolte in modo autonomo, sulla base di notizie di stampa o fornite da altri detenuti o familiari. Esiste un sommerso che il Dap tiene opportunamente sotto silenzio o dissimula all’interno di statistiche poco decifrabili. Almeno 37 sono i morti per «suicidio», una dicitura spesso di comodo sotto la quale si celano altre terribili circostanze come la vicenda di Stefano Brunetti, denunciata dall’ufficio del garante dei detenuti del Lazio. Arrestato ad Anzio l’8 settembre scorso, morì in ospedale il giorno successivo a causa delle percosse subite. Ora la famiglia ha presentato querela contro ignoti per omicidio colposo. Dall’autopsia sarebbe emerso, secondo quanto riportato dal legale Carlo Serra, che Brunetti «è morto per un’emorragia interna dovuta ad un grave danno alla milza. Risultano fratturate anche due costole». Manifestamente è stato pestato. Anche per il caso di Marcello Lonzi, morto nel 2003 nel carcere di Livorno, la procura dopo anni di denunce da parte della madre ha finalmente deciso di riaprire un’inchiesta troppo sbrigativamente archiviata. Due agenti e l’ex compagno di cella risultano indagati. Per le molteplici morti violente in carcere e nelle questure, l’Italia è sotto accusa daparte di alcuni organismo internazionali e dalla commissione europea sulla prevenzione della tortura.

Genova 2001, assalto al carcere di Marassi

Genova 2001, assalto al carcere di Marassi

Materassi sul pavimento, pulizia da pollaio, densità da carri merci 57.030 detenuti per 43mila posti: il sistema carcerario è fuorilegge

Paolo Persichetti
Liberazione 24 ottobre 2008

Il sistema carcerario italiano è fuorilegge. La capienza regolare, cioè il numero di posti disponibili sulla base delle strutture architettoniche realmente esistenti è stato superato da tempo. Siano ormai oltre il tutto esaurito, 57.030 detenuti (censimento del 16 ottobre scorso) contro i 43.262 posti-cella previsti (quelli che nel regolamento penitenziario del 2000 vengono definiti «camere di pernottamento», intendendo con ciò che durante la giornata i reclusi non dovrebbero sostare nelle celle, come in realtà avviene, ma restare aperti). Per questo motivo un grande numero di istituti penitenziari operano di fatto al di fuori della legalità, cioè non sono in grado di ottemperare alle norme che ne presiedono il quotidiano funzionamento. Superfluo sottolineare che in questo modo si pongono al di fuori dello stesso articolo 27 della costituzione. Posizione abbastanza scomoda e paradossale per una istituzione dello Stato che incarna il luogo dove la Giustizia si traduce nei suoi termini più concreti e materiali, l’esecuzione della sanzione, e perciò stesso rivendica (vedendone affievolita la legittimità) una missione correttiva.
Negli anni passati si è pensato di risolvere il sovraffollamento strutturale con una semplice circolare amministrativa che introduceva la nozione di «capienza tollerabile». Un trucco contabile, una truffa vera e propria, una specie di gioco di prestigio che riducendo i parametri minimi vigenti all’interno dell’Unione europea, ovvero la soglia di vivibilità stabilita in base ai metri quadri disponibili per detenuto, ha aumentato la capienza. Così il numero dei posti è salito a 63.568; una soglia esplosiva, un punto di collasso del sistema che secondo le proiezioni stesse del Dap verrà raggiunto entro la fine dell’anno, se non decresce – e non decrescerà affatto con i ddl Berselli e Carfagna già in discussione – il numero degli ingressi che viaggia ormai al ritmo di 800-1000 al mese. La capienza regolamentare è già abbondantemente superata in tutte le regioni, ad eccezione della Valle D’Aosta. In 4 regioni i penitenziari hanno addirittura superato la stessa soglia di capienza tollerabile. In Campania a fronte di una ricevibilità regolamentare di 5.306 posti, tollerati 6.966, si è arrivati a 7.125 detenuti. In Emilia Romagna si è giunti a 3.919 sui 2.270 previsti e 3.761 tollerati. In Veneto a 2.924 sui 1.917 previsti e 2.902 tollerati. Anche in Trentino tetto regolamentare e di tolleranza abbondantemente oltrepassati. In Friuli, Liguria, Lombardia, Marche e Sicilia la soglia di tolleranza è prossima allo sforamento (ancora un 10% di posti virtuali disponibili) e poi sarà il crack.
La situazione è talmente grave che il neopresidente del tribunale di sorveglianza di Milano – come racconta il Corriere della sera di ieri –, Pasquale Nobile De Santis, ha scritto al ministro Angelino Alfano per denunciare le condizioni delle carceri di Busto Arsizio, Varese, Monza e Milano san Vittore, dove il numero dei detenuti ha toccato le 1424 unità contro le 900 disponibili. Celle di 3 metri per 2 con letti a castello a tre piani che raggiungono il soffitto, materassi sul pavimento, scarafaggi, infiltrazioni d’acqua, docce col contagocce. Densità da carro bestiame, pulizia da pollaio.
In affanno il governo conferma le sue politiche sicuritarie alimentate da quell’industria dell’incarceramento sociale, vera guerra dall’alto contro immigrati, tossicodipendenti, giovani delle periferie (legge Bossi-Fini sull’immigrazione, Fini-Giovanardi sulle droghe, ex Cirielli sulla recidiva) che l’indulto ha solo momentaneamente tamponato. Annuncia l’ampliamento dei padiglioni esistenti e la costruzione di nuove carceri. Ma ci vorranno anni. Intanto la popolazione reclusa si gonfia e gli studenti sono scesi in piazza. Ma non era già successo?