Movimento: Gasparri propone arresti preventivi come per il 7 aprile 1979. Oreste Scalzone, «Gasparri non perde occasione per straparlare in modo talmente grottesco che rende difficile anche infuriarsi»

Da Parigi Oreste Scalzone replica alle dichiarazioni rilasciate oggi da Maurizio Gasparri che ha auspicato una retatata preventiva, come gli arresti del 7 aprile 1979 che portarono in carcere i vertci dell’Autonomia, contro i Centri sociali da lui considerati i capi occulti delle manifestazioni di quest’ultimo periodo contro il governo e degli scontri del 14 dicembre scorso a Roma

«La governance, non solo in Italia, marcia allo sbando e non avendo niente da offrire sul terreno di una regolazione sociale che non sia dettata da un sotterraneo panico, semplicemente si fa feroce. Resta un’attitudine predatoria e di guerra alla cieca a quelli che per per brevità possiamo chiamare poveri e sottoposti». È il punto di vista di Oreste Scalzone, ex leader di Potere Operaio, che fu tra gli arrestati in quel 7 aprile evocato oggi dal capogruppo del Pdl al Senato, Maurizio Gasparri. «Invece delle sciocchezze che vanno dicendo i vari Cascini e Palamara, qui ci vuole un Sette aprile, giorno in cui furono arrestati tanti capi dell’estrema sinistra collusi con il terrorismo», ha detto il senatore Pdl in merito agli scontri dei giorni scorsi a Roma. «Gasparri non perde occasione per straparlare in modo talmente grottesco che rende difficile anche infuriarsi», è stata la replica di Scalzone, al telefono con l’Ansa.
«Di fronte all’orizzonte livido e stregato che passa il convento – ha continuato Scalzone – considerare impensabili delle esplosioni di rivolta di questo genere è da decerebrati. Quando poi si parte col voler strumentalizzare questa rabbia per giocarla nel teatrino della politica e poi si sconfessa chi esce dalle righe e lo si demonizza, si esercita una vera funzione di provocazione prima e di infamia dopo».
Scalzone – che fu condannato a 16 anni di reclusione per partecipazione a banda armata e rapina e ora, dopo una lunga latitanza, è un uomo libero perchè i reati di cui era accusato sono stati dichiarati prescritti – ha annunciato che proprio sugli scontri di Roma sta inserendo in queste ore una «videolettera» su Youtube in 12 moduli. Al centro delle sue osservazioni, anche Anna Finocchiaro, capogruppo del Pd al Senato: «La signora Finocchiaro – ha osservato, fra l’altro – aveva sfoderato la solita abbietta dietrologia straparlando di poliziotti infiltrati tra quei manifestanti». «Siamo al punto – ha poi sottolineato Scalzone – che è il capo della polizia Manganelli che deve farsi carico di parlare della rabbia sociale che muove soprattutto i giovanissimi, per lamentare che una ‘voragine di vuotò affida alla polizia ed esclusivamente ad essa la gestione del problema».

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Macchina del fango sul movimento: gli infiltrati di Vauro Senesi e la stupidità sulla punta della sua matita

Paolo  Persichetti
Gli Altri 24 dicembre 2010

Con questa stupida vignetta, per non utilizzare altre definizioni ben più appropiate, come quella di infame (perché addita al pubblico ludibrio una categoria sociale in lotta, ne stupra l’identità e le ragioni spacciandola per il suo contrario) apparsa sul manifesto del 16 dicembre 2010, Vauro Senesi ha inteso riassumere il senso della giornata nazionale di protesta del 14 dicembre a Roma

Vignetta di Vauro apparsa sul manifesto di giovedì 16 dicembre

Il vignettista del manifesto e di Anno zero, noto per le sue posizioni giustizialiste, sposa appieno la linea del Pd, espressa dalla senatrice Anna Finocchiaro, e soprattutto dal suo segretario di partito, Oliviero Diliberto, che hanno subito gridato alla presenza di infiltrati negli scontri avvenuti durante e alla fine dell’imponente manifestazione del 14 dicembre. La vignetta è una citazione di un’altra famosa vignetta di Giorgio Forattini che nel 1977 raffigurò il poliziotto Giovanni Santone camuffato da manifestante (immortalato da Tano D’Amico nel corso degli scontri dove fu uccisa dalle forze dell’ordine Giorgiana Masi) con la testa del ministro dell’Interno Francesco Cossiga. Foto e vignetta sottolineavano la decisione presa dall’allora ministro dell’Interno di utilizzare agenti travestiti per sparare contro i manifestanti (non certo contro la polizia). Con una ellisse Vauro mette accanto alla vecchia immagine quella del giovane manifestante fotografato durante gli scontri del 14 dicembre con maganello e manette, appena raccolti in strada come trofei, ma questa volta con il volto dell’attuale ministro degli Interni, Robero Maroni. Un modo per dire: infiltrati di allora, infiltrati di oggi.
Alcune sequenze fotografiche che raffigurano un manifestante in diversi momenti degli scontri di martedì, prima con dei fumogeni, poi con una pala, successivamente nell’atto di lanciare pezzi di arredo urbano contro le forze di polizia, infine con un manganello e un paio di manette in mano in uno dei momenti di maggiore tensione della giornata (l’aggressione ad un finanziere da parte di altri manifestanti); avevano indotto alcuni organi d’informazione e diversi siti internet, adusi da sempre alla dietrologia, a supporre la presenza di agenti provocatori infiltrati per suscitare e fomentare gli incidenti. Una tesi cara alla sinistra istituzionale che fin dal dopoguerra si autoconsola con questa favola ogni qualvolta tumulti e movimenti sociali imprevisti scavalcano le sue posizioni ponendo questioni politiche scomode. I giustizialisti del Fatto avevano titolato, “Hanno vinto i peggiori”, associando il rigetto della sfiducia votato dal parlamento con la piazza che aveva partecipato agli scontri, dimenticando che due dei tre voti decisivi per il salvataggio di Berlusconi provenivano dall’Idv di Di Pietro, punto di riferimento politico proprio del Fatto (per poi dare sul loro sito online un contributo di verità diffondendo le immagini che chiarivano ogni cosa sull’accaduto, mostrando che dietro quel manifestante travisato c’era un ragazzo, nel frattempo fermato, risultato minorenne). Il teorema degli infiltrati e della minoranza cattiva dei black bloc, che avrebbe prevaricato la maggioranza docile e pacifica del corteo, veniva ripreso dai soliti giornalisti di Repubblica che immediatamente pubblicavano una lettera di Roberto Saviano al movimento. Flop strepitoso, errore di marketing notevole del quotidiano repubblichino e dell’agenzia emergenziale che utilizza Saviano come portavoce. Le retoriche amenità del predicatore sono miserabilmente fallite. Utilizzandolo come pompiere i suoi mandanti speravano che l’autorità acquisita dopo l’imponente battage mediatico costruito attorno all’evento industrial-editoriale di Gomorra, alla postura di martire perseguitato sapientemente diffusa sui media, potesse influire e orientare politicamente i giovani manifestanti addomesticandone i propositi e domandone i comportamenti ma la lettera è stata rinviata al mittente. Nemmeno la logorroica replica del giorno successivo, una tripla pagina di R2, è servita. D’altronde uno che dice agli studenti di scendere in piazza a viso aperto ma si nasconde dietro una scorta di polizia, che passa le vacanze nella villa del banchiere Alessandro Profumo, che si incontra col finanziere Carlo De Bendetti,  che è al libro paga contemporaneamente del gruppo Espresso-Repubblica, della Mondadori e di Mediaset via Endemol, un po’ come Arlecchino servo di due padroni, come può pretendere di salire sul pulpito per lanciare prediche ad una generazione precaria? L’evento sociale del 14 dicembre ha fatto da spartiacque, da cartina di tornasole, da prova della verità squarciando il velo di ipocrisia e menzogna che ammanta operazioni di orientamento dell’opinione pubblica come quella che impiega il soldato Saviano. Repubblica nei giorni successivi è corsa ai ripari, rettificando linea politica e pubblicando analisi molto più comprensive di quanto avvenuto il 14 dicembre.
Nel frattempo del misterioso manifestante si è venuto a sapere tutto, nome e cognome, percorso scolastico, età, storia dei genitori. Fallita l’operazione “infiltrato” è stata subito messa in piedi quella sui “cattivi maestri”. “Figlio di un brigatista” hanno scritto alcuni giornali.  S.M. non poteva restare un semplice liceale minorenne come molti altri suoi coetanei scesi in piazza, doveva essere per forza uno sbirro o un adolescente brigatista, che per i teorici della dietrologia equivale più o meno alla stessa categoria degli agenti provocatori esterni al movimento. Se fosse stato veramente figlio di un ex militante delle Brigate rosse – complesso di Edipo permettendo – ovviamente non ci sarebbe stato nulla di male. Ma la realtà è diversa, oltre a non esser vero (il padre è stato coinvolto negli anni 70 in vicende legate ad ambienti dell’autonomia) la falsa notizia era solo funzionale ad alimentare una ulteriore campagna distorsiva sulla realtà del movimento. Riconsegnato alla famiglia dopo il fermo, come prevede la legge per i minorenni, la notorietà attribuita alle sue gesta, le fortissime polemiche politiche che hanno chiamato il ministro dell’Interno a rispondere in parlamento, hanno alla fine provocato l’arresto del giovane e il suo rinvio a giudizio per  “rapina aggravata” delle manette e del manganello, in realtà abbandonati durante gli scontri. Dopo questo bel risultato ottenuto ci aspettiamo che tutti i partecipanti a questa fiera della stupidità, a partire dalla senatrice Anna Finocchiaro, passando per l’ex ministro della Giustizia Oliviero Diliberto fino al vignettista Vauro Senesi, si adoperino per aiutare la famiglia del ragazzo versando una parte dei loro emolumenti per sostenerne la difesa giuridica. Se ciò non dovesse accadere sarebbe più che normale che incontrandoli nei prossimi cortei gliene venga chiesto conto.

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7 aprile 1979 quando lo Stato si scatenò contro i movimenti
Movimento, Gasparri propone arresti preventivi come per il 7 aprile 1979. Oreste Scalzone: “Gasparri non perde occasione per straparlare in modo talmente grottesco che rende difficile anche infuriarsi
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Grecia, scioperi e proteste contro la politica dei sacrifici
Ma dove vuole portarci Saviano?
Attenti, Saviano è di destra, criticarlo serve alla sinistra

Genova 2001, quel passo in più

Martedi 14 c’erano degli infiltrati ma sedevano sui banchi del parlamento

Anna Finiocchiaro del Pd, Oliviero Diliberto del Pdci, Vauro Senesi del manifesto e Anno zero, denunciano la presenza di provocatori confusi tra i dimostranti. Ancora una volta la leggenda dell’infiltrato serve alla sinistra istituzionale per esorcizzare la propria inutilità politica

Paolo Persichetti
Liberazione 16 dicembre 2010

piazza DEL POPOLO!

Gli unici infiltrati che sono stati visti martedì 14 a Roma sedevano in parlamento nei banchi dell’opposizione. I loro nomi sono noti a tutti, si tratta dei dipietristi Antonio Razzi e Domenico Scilipoti e poi dell’ex veltroniano, passato successivamente con Rutelli, Massimo Calearo. I tre provocatori, dando prova di una consumata arte della messa in scena, dopo aver disertato la prima chiamata al voto sono apparsi in aula solo al secondo appello per depositare nell’urna i voti decisivi contro la mozione di sfiducia a Silvio Berlusconi. Questa circostanza apparsa praticamente in mondovisione, tante erano le reti televisive internazionali che hanno seguito la giornata parlamentare, avrebbe dovuto indurre a maggiore prudenza quegli esponenti del Pd, ma non solo, anche Oliviero Diliberto del Pdci e portavoce della Federazione della sinistra, non è stato da meno, che hanno gridato per l’intera giornata alla presenza di infiltrati fuori da Montecitorio che avrebbero dato il via agli scontri nell’imponente corteo che ha assediato le casematte del potere politico. A questo punto, se un interrogativo avrebbe avuto piena legittimità di esistere, questo riguardava, in realtà, l’identità dei mandanti dei tre parlamentari. Chi li ha reclutati nelle liste dell’Italia dei valori e del Pd?
Ecco che ancora una volta la legenda autoconsolatoria dell’infiltrato è servita alla sinistra parlamentare ed ai soliti Repubblica, il Fatto quotidiano, Roberto Saviano per esorcizzare l’ennesima sconfitta ed esportare sui giovani della piazza la propria inconsistenza politica. Per la cronaca il misterioso personaggio con il piumone color crema che numerose sequenze fotografiche riproducevano in prima fila durante gli scontri, compreso l’episodio dell’aggressione ad un finanziere, è un liceale minorenne, S. M., attivista politico ma non appartenente al collettivo studentesco “Senza tregua”, come era stato detto in un primo momento. La notizia è stata smentita con un comunicato dallo stesso collettivo, che però con questa precisazione “non ha inteso prendere le distanze dal giovane”. Altre fonti affermano che il ragazzo sia anche un frequentatore della curva romanista, vicino al gruppo dei Fedayn. Di certo non è figlio di un ex brigatista come la Stampa ha scritto stamani. Informazione errata rilanciata nel corso della giornata dai siti di altri quotidiani. Il padre del giovane avrebbe avuto alcuni precedenti giudiziari legati all’appartenenza ad un’area limitrofa a quella dell’Autonomia. Un passato comune a diverse migliaia di genitori romani. Il manganello e le manette che aveva in mano in una foto erano trofei raccolti nel furgone abbandonato dalla Finanza poco prima. A parlar chiaro è anche la composizione sociale dei fermati, 45 in tutto nella serata di martedì, scesi a 23 dopo la riconsegna dei minorenni alle famiglie e il rilascio di quelli rastrellati a caso. In gran parte giovanissimi, molti nati nel 1992. Tutti incensurati. Nessun professionista della violenza, come hanno tuonato in coro esponenti della maggioranza di governo, il sindaco Alemanno, e a ruota anche parlamentari dell’opposizione. Emblema, in realtà, di quella generazione precaria di cui tutti si riempiono la bocca senza mai volerne veramente comprendere i problemi, le rivendicazioni, la rabbia che esprimono. Che siano studenti o ragazzi cresciuti negli spalti degli stadi, la differenza nei comportamenti imprevedibili e gli slogan fuori dai codici classici delle culture della sinistra estrema, non cambia. Se dei paragoni storici possono essere richiamati, la giornata romana di martedì 14 dicembre ricorda un po’ i giovani con le magliette a strisce del luglio ’60, quelli che poco dopo furono protagonisti anche della contestazione di piazza Statuto, a Torino, nel 1961, censurata dai vertici del Pci e della Cgil dell’epoca ma in realtà annuncio di un nuovo corpo sociale ribelle che scosse il Paese dal ’68 in poi. Qualcosa di nuovo si muove, dunque, ma senza codici politici, senza nemmeno la memoria dei movimenti passati, figuriamoci degli anni 70, spettro che angoscia solo il mondo separato delle istituzioni. L’effetto calamita ha attratto questi giovani che hanno approfittato di un appuntamento come quello del voto di sfiducia al governo, anche se la loro rabbia, la voglia di fargliela pagare va molto oltre le dinamiche parlamentari. Tutto ciò interroga la sinistra a partire dal fatto che questi giovani sono politicamente orfani e quindi rischiano di esser soli di fronte alla macchina repressiva dello Stato. I 23 fermati compariranno stamani in tribunale a piazzale Clodio dove si svolgeranno i riti per direttissima. L’imputazione contestata dai pm Pietro Saviotti e Silvia Santucci è quella di resistenza, aggravata dalle armi improprie e dal numero dei partecipanti, e l’oltraggio a pubblico ufficiale. Reati che prevedono un tetto di pena massimo che può raggiungere i 15 anni di reclusione. Ad alcuni di loro verrà contestato anche il reato di lesioni. Diversi fermati provengono da altre città, come Genova e Bologna. Un presidio di solidarietà è stato indetto stamattina, alle 10, davanti al tribunale.

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