Brigit Kraatz, l’Italia a giudizio davanti alla corte europea per colpa della commissione Moro 2

Negli anni Settanta Brigit M. Kraatz era la corrispondente a Roma di Der Spiegel. Negli atti parlamentari viene definita una terrorista coinvolta nel sequestro Moro. Non era vero ma, per ottenere giustizia, si è dovuta rivolgere alla Cedu che ora ha ammesso il suo ricorso. Questo blog ha denunciato già nel maggio 2020 questa storia (puoi leggere qui) di cui ha continuato e continuerà a occuparsi (leggi qui 1,2, 3).
La vicenda è anche all’origine di una querela contro l’ex membro della commissione parlamentare Gero Grassi. All’origine delle accuse mosse contro la corrispondente della stampa tedesca c’è una indagine promossa da un consulente della Commissione Moro 2. Massimo Giraudo – sulla scorta di una ricca letteratura complottista presente sull’argomento – si è mosso per dimostrare che un condominio romano, ex Ior, situato nella zona della Balduina ebbe un ruolo decisivo nelle prime fasi del sequestro del persidente democristiano. L’inchiesta, infarcita di confidenze originate da persone oggi defunte, passate di bocca in bocca, scenari suggestivi e congetture iperboliche è stata rilanciata con grande enfasi anche nella puntata di Report del 7 gennaio scorso.
Definire la signora Kraatz attivista del movimento tedesco 2 giugno, «Bewegung 2 Juni», è un po’ come dire che Lilli Gruber sia stata un membro delle Brigate rosse. Ora che una persona come il tenente colonnello dei Cc, Massimo Giraudo, insignito nel 1988 anche del titolo di cavaliere, ordine al merito della repubblica per il lavoro svolto in diverse indagini, nato nel 1960, non sapesse o non sia stato in grado di verificare con un semplice giro sul web che la signora Kraatz fosse una importante giornalista tedesca, insignita per altro di vari premi per i suoi articoli, autrice di un libro con Willy Brandt e di interviste con i vertici delle istituzioni e dei partiti degli anni 70 e 80, collaboratrice di Rai tre nei giorni in cui cadeva il muro di Berlino (su internet si trova con facilità una sua foto accanto ad Agnelli), accreditata presso il Vaticano mentre seguiva il pontefice nei suoi viaggi intercontinentali, insomma una figura pubblica molto nota negli ambienti della stampa e non solo, solleva inquietanti interrogativi sulla natura cialtronesca, o forse sarebbe meglio dire bantitesca, dei lavori condotti dalla commissione parlamentare sul sequestro Moro, condotti sotto la guida e la responsabilità dell’allora presidente Giuseppe Fioroni. Come se non bastasse, quanto scritto negli atti resi pubblici dalla commissione è poi finito nella sentenza Bellini sulla strage di Bologna. E’ bastato un semplice copia-incolla. Come un virus le affermazioni indimostrate della Cm 2 si sono propagate, riprese come verità, in realtà politica ma dai più confusi con quella storica, sono migrate in una sentenza che nulla c’entra con le vicende del sequestro Moro. E così la brillante giornalista che per un trentennio ha raccontato le vicende italiane al pubblico tedesco si è ritrovata coinvolta nel sequestro Moro e nella strage di Bologna.

Quale è il nesso, vi chiederete? I servizi segreti ovviamente, quei poteri occulti: la Cia, il Secret team, il Mossad, la P2 e la massoneria che tutto reggevano e disfacevano, ovvero la favola che ci ha propinato Report.
Ora il ricorso presentato dai legali della Kraatz davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, ultima possibilità che le restava dopo i tentativi andati falliti di far correggere i grossolani errori, e le prese in giro ricevute da parte dei vertici istituzionali, dal presidente della commissione al Quirinale, ha superato il vaglio dell’ammissibilità legale. La squallida montatura di via dei Massimi assume così una rilevanza internazionale e diplomatica dalle molteplici conseguenze che difficilmente potranno essere ignorate.

Non si tratta solo di ripristinare l’onorabilità di una persona tacciata di essere stata altro da quella che era effettivamente; in ballo ci sono le procedure che conducono alla costruzione delle “verità politiche deliberate” all’interno delle commissioni parlamentari e del loro rapporto con la verità storica.
Il tema è quello della intangibilità delle asserzioni contenute nelle relazioni parlamentari una volta deliberate con il voto dei commissari e del parlamento. Se delle successive acquisizioni storico-documentali vengono a smentire quanto affermato all’interno di queste relazioni perché mai queste non possono essere corrette?

di Paolo Morando, Domani, 19 gennaio 2024

La commissione parlamentare d’inchiesta “Moro 2” l’ha definita «già attiva nel movimento estremista “Due giugno”». Che però era qualcosa di più: un vero e proprio gruppo di lotta armata che, nella Germania Ovest degli anni Settanta, si rese protagonista di svariati attentati e rapimenti, anche con la morte del presidente della Corte federale tedesca Günter von Drenkmann durante le concitate fasi del sequestro.
Ma lei, la giornalista tedesca Birgit Kraatz, oggi ottantacinquenne ma negli anni Settanta firma di punta e corrispondente da Roma per importanti testate (i settimanali “Der Spiegel” e “Stern” e la televisione pubblica Zdf, ha scritto pure un libro intervista con l’allora cancelliere Willy Brandt pubblicato anche in Italia), terrorista non lo è mai stata.
Le ha provate tutte in questi anni per cercare di farsi togliere di dosso quella infamante definizione, ma senza riuscirci. Tanto che si è rivolta alla Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) di Strasburgo che, è notizia di queste ore, ha accettato il suo ricorso e ora se ne occuperà formalmente, per giungere a una sentenza che in ipotesi potrebbe portare anche a pesanti sanzioni contro lo Stato italiano, in termini di multe e risarcimenti. E chi conosce l’attività della Cedu, sa bene che nell’80 per cento dei casi l’accoglimento del ricorso (questo è infatti lo scoglio maggiore dal punto di vista procedurale) porta poi nella stragrande maggioranza delle volte a un pronunciamento favorevole al ricorrente.

Una vicenda kafkiana
Quella frase è contenuta nella relazione conclusiva dell’attività 2017 della commissione, depositata dal presidente Giuseppe Fioroni. Fu anche l’ultima. E da allora, come sempre accade in questi casi, non si fermò lì. Di citazione in citazione è finita infatti addirittura in una sentenza, e non di scarsa importanza, anzi: è infatti quella della Corte d’assise di Bologna che nell’aprile 2022 ha condannato all’ergastolo l’estremista di destra Paolo Bellini per la strage alla stazione (il processo d’appello inizierà tra l’altro a fine mese), con la giornalista citata nelle motivazioni depositate lo scorso aprile, nei termini già formulati dalla Commissione Moro 2.
È una vicenda davvero kafkiana, perché invece i fatti parlano chiaro. Si tratta di due comunicazioni del 26 giugno e del 4 ottobre 2018 del Bundeskriminalamt (Bka), l’Ufficio federale della polizia criminale tedesca, nei quali si certifica che il nome di Birgit Kraatz non risulta mai essere stato menzionato in alcun documento della struttura, attestando così la totale estraneità della donna al movimento «2 giugno».
Ha scritto testualmente il direttore del Bka, Jürgen Peter: «Va dato per scontato che la signora Kraatz non ha avuto alcun contatto o altri legami con il gruppo “2 Giugno” che vadano al di là dell’attinenza del lavoro giornalistico allora svolto sull’argomento terrorismo di sinistra in Germania e in Italia». E ancora: «Allo stato degli atti del Bundeskriminalamt non è accertabile nessun contatto o altro legame con il gruppo “2 Giugno” che abbiano a che fare con la signora Kraatz».

La commissione Stragi
Sono documenti che i legali della giornalista spedirono a suo tempo allo stesso presidente Fioroni, senza però che fosse possibile ottenere una rettifica della relazione, avendo la Commissione parlamentare d’inchiesta già concluso i propri lavori e chiuso i battenti per via della fine della legislatura. E quelle relazioni, in quanto approvate dal Parlamento, sono ora del tutto intangibili. Peraltro, appunto in quanto parlamentari, tutti gli allora componenti della commissione sono coperti da immunità. Non lo sono però per affermazioni successive al mandato politico: e infatti l’ex deputato Gero Grassi, tra i più attivi componenti di quella commissione, è già stato raggiunto da una querela della giornalista, querela ancora pendente.
Come una palla di neve che rotolando a valle diventa valanga, quell’evidente errore contenuto nella relazione di Fioroni è figlio di un altro atto parlamentare di addirittura ventiquattro anni fa, rimasto a lungo sottotraccia. Si deve infatti tornare al 2000 e alla allora Commissione Stragi presieduta da Giovanni Pellegrino. In quella sede, i parlamentari di Alleanza nazionale Vincenzo Fragalà e Alfredo Mantica presentarono una relazione in cui veniva appunto fatto il nome di Birgit Kraatz come esponente del gruppo “2 Giugno”.
Così ha ricostruito la vicenda il ricercatore Paolo Persichetti: «A seguito di una rogatoria diretta alle autorità tedesche, presentata dal giudice Francesco Amato sui nomi di alcuni esponenti vicini al movimento eversivo “2 giugno”, la polizia tedesca inviava in risposta una relazione. Senza alcuna giustificazione comprensibile, l’Ucigos – l’Ufficio centrale della polizia politica destinatario della relazione – apponeva il nome di Birgit Kraatz nella lettera che accompagnava il testo del Bundeskriminalamt. Nome che invece non era presente all’interno del documento della polizia tedesca e che mai più riapparirà. Nella successiva minuta della Digos di Roma, che riceve la documentazione dall’Ucigos e la rigira al magistrato, non vi è infatti più alcuna traccia della Kraatz. Nonostante questa anomalia, i due parlamentari che evidentemente si erano soffermati solo sulla minuta di accompagnamento riportano il nome della donna nella loro relazione, indicandola come una esponente del gruppo “2 giugno”».

Richieste vane
Il documento di Mantica e Fragalà peraltro non venne mai né discusso né tanto meno approvato. E di errore in errore, come detto, l’appartenenza di Birgit Kraatz al movimento terroristico è finito addirittura nelle motivazioni della sentenza Bellini. E va detto che la giornalista, nei mesi scorsi, si è rivolta anche ai magistrati bolognesi, affinché correggano nei successivi gradi di giudizio quell’infamante definizione.
Sul fronte Commissione Moro 2, invece, le sue doglianze sono state recepite ma senza apporre correzioni alla relazione Fioroni, per i motivi già citati. Gli uffici del parlamento hanno in effetti protocollato il materiale inviato da Kraatz, ma ad oggi non risulta che siano stati allegati agli atti nel portale della commissione. E quei documenti del Bka sono stati invece catalogati “fisicamente” in una sezione non accessibile al pubblico.
La citazione di Birgit Kraatz da parte della Commissione Moro 2 riguardava le palazzine di via Massimi, anche al centro pochi giorni fa di un ampio servizio della trasmissione di Rai3 “Report” sul sequestro e l’uccisione di Aldo Moro da parte delle Brigate rosse: palazzine indicate come uno dei possibili luoghi in cui lo statista democristiano sarebbe stato tenuto prigioniero.
Questa la citazione completa contenuta nella relazione Fioroni: «Si è in particolare riscontrato che in quelle palazzine abitava la giornalista tedesca Birgit Kraatz, già attiva nel movimento estremista “Due giugno” e compagna di Franco Piperno. Secondo la testimonianza di più condomini Piperno frequentava quell’abitazione e, secondo una testimonianza che l’interessato ha dichiarato di aver appreso dal portiere dello stabile, lo stesso Piperno avrebbe da lì osservato i movimenti di Moro e della scorta. La stessa Kraatz ha ricordato la sua relazione con il Piperno, ma ha escluso che si trattenesse nel condominio».
Piperno, come noto, era stato dirigente di Potere operaio. E venne contattato dal Partito socialista (in particolare dall’allora vicesegretario Claudio Signorile) nel tentativo di giungere a una liberazione dello statista democristiano. Ironia della sorte, in quel servizio di “Report” è comparsa anche la fotografia della stessa Birgit Kraatz, peraltro correttamente indicata solo come giornalista. Ma si diceva, lanciando una suggestione: «Kraatz e Piperno si sono visti anche durante il periodo del sequestro Moro?».

Le palazzine di via Massimi
A questo proposito, ancora nel febbraio 2018 al presidente Fioroni la giornalista aveva scritto così: «L’insinuosa descrizione che il mio amico, il professore Franco Piperno, avrebbe sorvegliato dalla mia casa, oppure in qualche modo con la protezione della mia casa, lo scambio delle vetture durante il sequestro Moro nel garage che apparteneva a due palazzi in via Massimi 91 (ipotesi peraltro mai provata – né tantomeno affrontata – in alcuna sede giudiziaria, ndr), è falsa: questo non sarebbe stato nemmeno tecnicamente possibile perché dalle finestre della mia casa l’entrata del garage non era né visibile né raggiungibile come sarebbe stato facile verificare con un semplice sopralluogo. Inoltre al garage io non avevo mai accesso».
E sono tutte circostanze che la giornalista aveva riferito in precedenza anche al colonnello dei Carabinieri Massimo Giraudo, consulente della commissione, senza la presenza di un avvocato «perché non ho nulla da nascondere». C’è comunque da scommettere che la questione sarà destinata ad avere altre puntate. Sempre che nel frattempo la Corte europea dei diritti dell’uomo non gli dia un taglio netto.

La commissione Moro 2 e la strana scomparsa dei documenti che scagionano la giornalista Birgit M. Kraatz

Doveva essere la commissione della verità finale sul rapimento Moro. Il presidente Giuseppe Fioroni appena insediato aveva promesso che finalmente sarebbe stata accertata la verità sempre «negata, spazzando via il «patto del silenzio», il muro di presunta «omertà» tra brigatisti e uomini dello Stato, secondo la definizione coniata da Sergio Flamigni nella sua saga dietrologica. Una versione dei fatti, nient’affatto coincidente con la realtà, che secondo il presidente della nuova commissione Moro avrebbe «tombato l’indicibile verità» del rapimento e della uccisione nel 1978 del presidente del consiglio nazionale della Democrazia cristiana.


Il nuovo porto delle nebbie

La Moro 2, i cui lavori si sono tenuti dal 2014 al 2018, si è rivelata invece l’ennesimo porto delle nebbie. Un luogo dove non solo non è mai emersa quella verità illibata, promessa all’inizio, ma addirittura alcune risultanze documentali scomode e non preventivate, le fastidiose acquisizioni emerse nel frattempo – ma non in linea con gli auspici del suo presidente – si sono perse tra gli scaffali degli archivi. La verità tanto promessa è così annegata nelle acque torbide del complottismo, risucchiata dai vortici profondi di ipotesi e congetture dietrologiche che hanno guidato come fossero un assioma indiscutibile il cammino della commissione.

Le accuse contro la giornalista Birgit M. Kraatz
Nell’ultimo anno di lavori la commissione si era occupata di un complesso immobiliare sito in via dei Massimi, nella parte alta di via Balduina, a Roma. Una zona distante poche centinaia di metri in linea d’aria dal luogo del rapimento dello statista democristiano. A dire il vero, non si trattava affatto di una novità: già nei giorni successivi al rapimento erano circolate voci sul comprensorio di palazzine dell’Istituto opere religiose del Vaticano situato al civico 91 di quella via. Nel novembre del 1978, un quotidiano romano, Il Tempo, anticipò un articolo dello scrittore Pietro Di Donato apparso nel numero di dicembre sulla rivista erotica-glamour Penthouse. Nell’articolo si sosteneva che la prigionia di Moro si era svolta nella zona della Balduina, luogo dove sarebbe avvenuto il trasbordo del prigioniero ed erano state abbandonate le macchine impiegate in via Fani. Agli atti risulta che le forze di polizia effettuarono controlli e perquisizioni in alcune palazzine e garage dei dintorni senza alcun esito. La sortita di Di Donato fu ripresa nel gennaio 1979 da Mino Pecorelli sulla rivista legata ai Servizi Osservatorio politico. Ne accennò anche il pm Nicolò Amato durante le udienze del primo processo Moro, agli inizi degli anni 80. Più tardi se ne occupò, sempre senza pervenire a risultati, la prima commissione Moro finché la diceria venne consacrata nelle pagine di un libro di Sergio Flamigni, La tela del ragno, pubblicato per la prima volta nel 1988 (Edizioni Associate pp. 58-61), divenendo uno dei cavalli di battaglia della successiva pubblicistica dietrologica.
Una vecchia leggenda presa per buona dalla commissione e riportata nell’ultima relazione approvata nel dicembre 2017 con l’aggiunta di una novità: ad una giornalista di nome Brigit M. Kraatz, corrispondente in Italia delle più importanti testate giornalistiche tedesche e residente nel 1978 in via dei Massimi 91, con la figlia e la governante che accudiva la bambina, si attribuiva un ruolo nel sequestro Moro. Nel relazione si affermava che Franco Piperno, amico da almeno un decennio della Kraatz, la mattina del 16 marzo 1978 avrebbe controllato dalle finestre dell’appartamento della donna il buon andamento del sequestro, ovvero l’arrivo delle macchine dei brigatisti con Moro all’interno e il loro ingresso nel garage dove il prigioniero – sempre secondo la fantasiosa ricostruzione della commissione – sarebbe stato fatto scendere e nascosto in un’abitazione del palazzo. Si aggiungeva inoltre che la giornalista era, in realtà, una nota esponente del gruppo sovversivo tedesco «2 Giugno». Sarebbe bastato svolgere un sopralluogo nella ex abitazione della Kraatz per rendersi conto che dalle sue finestre non era possibile alcuna visuale sull’ingresso del garage, ma sarebbe stato chiedere troppo ad una commissione il cui lavoro è consistito essenzialmente nell’accreditare congetture piuttosto che verificare la fondatezza dei fatti.

«Birgit Kraatz non è un membro della 2 giugno», Il documento della polizia tedesca che smentisce Fioroni
Venuta a conoscenza della vicenda solo qualche tempo dopo, il 26 febbraio 2018 Brigit M. Kraatz inviò una prima lettera a Fioroni nella quale chiedeva di cancellare dalla relazione le «calunniose asserzioni» rivolte alla sua persona (allegato 1). Lettera che non ricevette mai risposta anche perché nel frattempo la commissione aveva chiuso i battenti per la fine anticipata della legislatura. Nel frattempo Birgit M. Kraatz segnalò la vicenda anche all’allora presidente della Camera dei deputati, Roberto Fico, prima nel maggio e poi nell’ottobre 2018. Negli stessi giorni si rivolse anche alle altre cariche del Stato, la presidente del Senato Elisabetta Alberti Casellati e il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, anche in questo caso ricevendo come risposta solo una glaciale indifferenza.
Il 4 ottobre successivo, Fioroni ormai ex presidente della commissione nel corso della presentazione di un suo libro, Moro il caso non è chiuso. La verità non detta, davanti alle domande dei giornalisti spiegò che nell’agosto 2018 era pervenuta una nuova informativa che smentiva il coinvolgimento della Kraatz nell’organizzazione «2 giugno». L’Ansa del giorno successivo riferì le sue parole: «Sull’adesione di Birgit Kraatz all’organizzazione estremista tedesca del ‘2 Giugno’, “ci sono degli atti che lo dicono e che noi abbiamo ereditato, ma c’è anche un documento di due mesi fa che dice che lei non c’entra niente“». In evidente difficoltà per la micidiale bufala scolpita nella relazione della commissione, Fioroni provava a salvare capra e cavoli affermando che «il riferimento alla giornalista era per il rapporto avuto con Piperno (“assolutamente legittimo”, secondo Fioroni) e in primis per l’eventuale presenza di Piperno nel palazzo romano. “A noi interessa – concludeva l’ex deputato – solo per le relazioni sentimentali che aveva. Abbiamo inserito lei nel testo solamente per dimostrare che c’era Piperno che frequentava quella casa. Poi se era dell’organizzazione del 2 giugno o altro, a me non serviva a niente”».
Il 18 ottobre 2018 i legali della signora Kraatz scrissero nuovamente all’ex presidente Fioroni, chiedendogli ancora una volta di correggere la relazione e allegando due comunicazioni della Bundeskriminalamt, l’Ufficio federale della polizia criminale (Bka), del 26 giugno e del 4 ottobre 2018 nel quale si certificava che il nome della signora Kraatz non era mai stato menzionato in alcun documento della struttura e la sua totale estraneità con le vicende della «2 giugno».

L’origine della calunnia

Il nome della Kraatz era stato tirato in ballo da una vecchia relazione del 31 luglio 2000 presentata dai due parlamentari di Alleanza nazionale provenienti dall’Msi, Alfredo Mantica ed Enzo Fragalà, membri della commissione Stragi nella quale appariva in modo del tutto abusivo il nome di «Birgit Kraatz».
A seguito di una rogatoria diretta alle autorità tedesche, presentata dal giudice Francesco Amato sui nomi di alcuni esponenti vicini al movimento eversivo «2 giugno», la polizia tedesca inviava in risposta una relazione. Senza alcuna giustificazione comprensibile, l’Ucigos – l’Ufficio centrale della polizia politica destinatario della relazione – apponeva il nome di Birgit Kraatz nella lettera che accompagnava il testo della Bundeskriminalamt. Nome che invece non era presente all’interno del documento della polizia tedesca e che mai più riapparirà. Nella successiva minuta della Digos di Roma, che riceve la documentazione dall’Ucigos e la rigira al magistrato, non vi è infatti più alcuna traccia della Kraatz. Nonostante questa anomalia, i due parlamentari che evidentemente si erano soffermati solo sulla minuta di accompagnamento riportano il nome della donna nella loro relazione, indicandola come una esponente del gruppo «2 giugno». Diciassette anni più tardi, alcuni consulenti della commissione Fioroni che scandagliavano i materiali digitalizzati prodotti dalle precedenti commissioni intercettano il nome della Kraatz incrociandolo con quello delle persone che risiedevano nel 1978 nella palazzina di via dei Massimi 91. Nasce così il grossolano errore: nessuno legge attentamente le carte e si domanda perché il nome della Kraatz sia assente dalla relazione inviata della polizia tedesca (la fonte primaria) ma compaia nella minuta italiana che l’accompagna. Non si svolgono le necessarie verifiche, non si fanno approfondimenti su altre fonti di informazione. In poche parole non si utilizza una corretta metodologia. Emerge un modo di lavorare superficiale che evita sistematicamente ogni indizio, segnale o prova che sollevi dei problemi, inceppi o allontani dalla meta prefigurata o peggio smentisca i teoremi precostituiti. Insomma una gigantesca officina di fake news. Ad aggravare ulteriormente il comportamento della commissione è un rapporto del 19 marzo 2018 (protocollo 3698 del 20 marzo 2018), prodotto da una collaboratrice della commissione, contenente diversi documenti dell’Ucigos appena declassificati. Nella nuova documentazione è presente una nota del 28 settembre 1981, inviata all’Ucigos dal questore Giovanni Pollio, in cui si spiega che Birgit Kraatz è una giornalista che «svolge la propria attività lavorativa presso la redazione del periodico tedesco “Stern” di cui è corrispondente».

L’intangibilità delle relazioni prodotte dalle commissioni parlamentari

Dopo essere riuscita a contattare gli uffici della commissione alla signora Kraatz fu spiegato che il testo di una relazione parlamentare una volta deliberato, ovvero accolto e votato dai membri della commissione e successivamente approvato dal voto delle aule parlamentari, non è modificabile in alcun modo. L’unica possibilità era quella di inviare la nuova documentazione della Bka che correggeva le asserzioni contenute nella relazione all’ufficio stralci in modo da poter esser messa a disposizione degli studiosi che ne avrebbero fatto domanda. Richiesta che venne esaudita il 18 ottobre 2018 con l’invio della documentazione all’allora segretario della commissione Moro 2, dottor Tabacchi. Per aggirare l’intangibilità del testo della relazione i legali della Kraatz proposero ragionevolmente di allegare la nuova documentazione al testo della relazione e di modificare le informazioni che circolavano su internet (allegato 2). Ancora una volta nessuno ha mai preso in considerazione la proposta tantomeno inviato un qualunque segnale di risposta.


Verità storica e verità deliberata

L’intangibilità delle relazioni votate dalle commissioni parlamentari d’inchiesta merita una riflessione particolare. Ci troviamo, infatti, di fronte al postulato di una nuova verità: la verità parlamentare che è tale poiché delibera una volontà del popolo che rappresenta. Un modello procedurale che all’atto della deliberazione crea dei fatti, congelandoli, al pari delle sentenze giudiziarie. Una volta deliberate o sentenziate queste versioni degli accadimenti diventano intangibili, salvo lunghe e limitatissime eccezioni, a differenza della verità storica che ha una natura processuale soggetta a possibili e continue rimesse in discussione dovute all’emergere di nuove metodologie o all’acquisizione di nuovi documenti, circostanze e informazioni. Accade così che la verità parlamentare si adagia su una narrazione degli eventi deliberata sulla base delle convenienze di una maggioranza politica senza più recepire eventuali smentite. E’ il grande limite delle commissioni parlamentari che agli occhi degli storici riservano interesse soprattutto per il bacino documentale raccolto, quando questo è accessibile, più che per le loro conclusioni.

La querela contro Gero Grassi
Nell’autunno del 2020, Birgit M. Kraatz nel tentativo di fare giustizia delle calunnie prodotte contro la sua persona querelava anche uno dei membri più attivi della commissione Moro 2, l’ex vice presidente del gruppo parlamentare del Pd alla Camera Gero Grassi (leggi qui). Non più parlamentare, per la mancata ricandidatura nelle liste del suo partito, Grassi aveva ripubblicato in un suo volume le accuse contro la signora Kraatz ribadendo la sua appartenenza al gruppo sovversivo «2 giugno». Ormai privo della immunità, che gli aveva garantito in precedenza di poter affermare qualunque cosa senza conseguenze, Grassi è stato raggiunto dalla denuncia che, inizialmente depositata a Grosseto, per competenza territoriale è stata assegnata al tribunale di Trani, luogo di sua residenza, dove il Gip rigettando la richiesta di archiviazione proposta dalla procura ha disposto ulteriori accertamenti.

La verità parlamentare diventa verità giudiziaria. Birgit Kraatz accusata anche dai giudici della strage di Bologna
Con grande sconcerto la scorsa estate Birgit M. Kraatz ha scoperto di essere finita anche nelle pagine della sentenza di condanna per la strage alla stazione centrale di Bologna del 2 agosto 1980, emessa contro il neofascista Paolo Bellini e depositata nell’aprile del 2023. Riprendendo alcuni stralci della relazione del dicembre 2017 prodotta dalla commissione Fioroni, con l’intenzione fallace di sostenere la tesi delle «convergenze parallele» tra lotta armata di sinistra e stragismo fascista, i giudici della corte d’assise assecondavano, a pagina 1631 (allegato 3), l’appartenenza della Kraatz alla organizzazione sovversiva «2 giugno». Il 20 settembre la giornalista inviava l’ennesima lettera di smentita, stavolta alla corte di appello bolognese che ha in carico il processo d’appello, chiedendo «di interrompere finalmente questa catena di montaggio di accuse false […] e di correggere definitivamente questo sbaglio nella vostra sentenza d’Appello e ristabilire che io non ho mai fatto parte di nessuna organizzazione terroristica (allegato 3) .

La richiesta di spiegazioni rivolta all’archivio della commissione Moro 2 e la scoperta che le lettere e i documenti inviati nel 2018 sono scomparsi

Stupita dal fatto che i documenti inviati nel 2018 a Giuseppe Fioroni e all’ufficio stralci della commissione non fossero stati recepiti, la signora Kraatz si è rivolta nuovamente al vecchio segretario, il funzionario della Camera dei deputati dottor Tabacchi, nel frattempo trasferito a nuovo incarico, chiedendogli dove fosse finita la documentazione inviata e se questa fosse mai stata allegata alla relazione, come richiesto.

La risposta pervenuta è stupefacente: la lettera a Fioroni inviata nel febbraio 2018, acquisita in data 26 marzo 2018 con protocollo 3693 (serie corrispondenza), e i documenti della Bka, acquisti il 5 novembre 2018 con protocollo 88 dell’Ufficio stralcio, risultavano scomparsi, introvabili.

Io stesso prima di redigere questo articolo ho cercato nuovamente i documenti, prima sul portale della commissione, senza trovarli, poi rivolgendomi al dottor Tabacchi che mi ha rinviato all’archivio a cui ho subito scritto ricevendo questa risposta: «La informiamo che sono state avviate le procedure di ricerca e riscontro documentale. Saranno necessari, al riguardo, alcuni tempi tecnici, al momento non precisabili. Avremo cura di comunicarLe gli esiti delle verifiche esperite. Cordiali saluti».
Era il 22 ottobre 2023, da allora più nulla.
Dove sono finiti quei documenti regolarmente protocollati? Possibile che nessuno sappia la fine che hanno fatto? Sono forse stati secretati e inviati alla procura romana nell’ambito dell’inchiesta che sta conducendo su via dei Massimi e via Licinio Calvo? Se fosse questa la ragione appare strano che dei documenti regolarmente protocollati in entrata non risultino segnalati in uscita. Dove sono allora?

Allegato 1
Lettera a Giuseppe Fioroni, presidente della commisione Moro 2, del 26 febbraio 2018, scomparsa dagli archivi

Allegato 2
Le due comunicazioni della Bundeskriminalamt, l’Ufficio federale della polizia criminale tedesca, scomparse dall’archivio della commissione Moro 2

Allegato 3
Lettera con richiesta di correzione inviata alla corte d’apello di Bologna e pagina 1631delle motivazioni della sentenza di condanna in primo grado del neofascista Paolo Bellini per la strage alla stazione centrale di Bologna del 2 agosto 1980