Raisi, il lezzo dei falsari di parola e la querela archiviata contro Anna Di Vittorio

Lo scorso ottobre 2022 il giudice per le indagini preliminari Angela Gerardi ha archiviato la querela presentata dall’ex vice segretario dei giovani missini e poi parlamentare di Alleanza nazionale e variabili successive, Enzo Raisi, contro Anna Di Vittorio, sorella di Mauro Di Vittorio, il ventiquattrenne romano ucciso insieme ad altre 84 persone dalla bomba esplosa il 2 giugno 1980 nella stazione di Bologna.

La notizia nel libro di Paolo Morando
A darne notizia è Paolo Morando nel suo libro appena uscito per le edizioni Feltrinelli, La strage di Bologna, Bellini, i Nar, i Mandanti e un perdono tradito. Un volume che riassume con grande perizia gli ultimi due processi sulla strage, le oltre duemila pagine della sentenza Cavallini, la memoria della procura generale e le udienze del processo Bellini (la sentenza non è stata ancora depositata), ma soprattutto racconta una «piccola storia ignobile» poco nota al grande pubblico. La storia di un tradimento, la definisce Morando, la storia di una manipolazione si potrebbe aggiungere: quella che Francesca Mambro e Giuseppe Valerio Fioravanti realizzarono sulle spalle di Anna Di Vittorio e suo marito Giancarlo Calidori. Storia che permise a Francesca Mambro di accedere alla liberazione condizionale grazie al perdono richiesto ad Anna Di Vittorio, per poi pugnalarla alle spalle. I due infatti sposarono la tesi, promossa da Enzo Raisi e altri esponenti della destra, che indicava il fratello di Anna come il responsabile della strage rimasto accidentalmente ucciso nell’attentato.

Le nuove calunnie contro Mauro Di Vittorio
La querela di Raisi traeva origine proprio da questa vicenda. In occasione del quarantennale della strage di Bologna l’ex missino era tornato ad accusare Mauro Di Vittorio di essere stato il trasportatore della bomba esplosa nella sala d’aspetto di seconda classe della stazione, il 2 agosto 1980. Una «ossessione» la sua al punto da aver ripetutamente chiesto negli anni precedenti al cadavere vilipeso di Di Vittorio di dimostrare la propria innocenza dopo avergli attribuito una identità politica di comodo, quella di «Autonomo», membro del collettivo del Policlinico, per poter sostenere i suoi legami con il palestinese Abu Saleh e la vicenda dei missili di Ortona; aver poi diffuso notizie non corrispondenti al vero sulle condizioni del suo corpo al momento del ritrovamento, affermando che fosse completamente carbonizzato. Con questa bugia voleva affermare che fosse vicinissimo alla bomba, per meglio dire che la tenesse con sé, così insinuando che la perizia giurata di ricognizione del cadavere presente negli atti giudiziari fosse falsa; sostenere, inoltre, che non avesse documenti d’identità ma che viaggiasse in incognito e che la carta d’identità ritrovata dai soccorritori fosse giunta intonsa all’obitorio dalle mani dell’anziana madre; così dicendo aveva dato del falso ideologico al verbale di riconsegna dei suoi effetti personali redatto dalla Polfer accusando di conseguenza la madre per la consegna della carta d’identità; aveva giurato che il diario di viaggio di Mauro fosse un clamoroso falso e che il biglietto della metropolitana parigina che aveva nella tasca dei pantaloni fosse la prova provata che egli non si sarebbe mai diretto a Londra ma avrebbe fatto tappa a Parigi per prendere in consegna da Carlos la valigia con l’esplosivo.
Affermazioni reiterate in un lunghissimo elenco di interviste, conferenze stampa, interventi sui social, interpellanze parlamentari, in un libro, Bomba o non bomba. Alla ricerca ossessiva delle verità, Minerva edizioni 2012. All’epoca non era stato il solo a sostenere cose del genere. Poi, davanti alle evidenze (chi prima, chi poi, chi in modo netto, chi in maniera subdola) nessun altro ebbe il coraggio di evocare il nome di Di Vittorio.
Una inchiesta a puntate pubblicata proprio su questo blog (leggi qui) aveva dimostrato, prove alla mano, la malafede di chi accusava Di Vittorio. Successivamente anche la procura di Bologna si era occupata del caso e nella archiviazione della indagine bis sulla strage aveva definito Di Vittorio «vittima oggettiva» della bomba. Nonostante ciò, nell’agosto del 2020 le calunnie di Raisi hanno trovato nuovo ascolto e sono state raccolte tra le dieci domande poste da un intergruppo di parlamentari del centrodestra , ‘La verità oltre il segreto’. Si tratta del quesito numero 9: «Perché sulla vittima Mauro Di Vittorio, legato ad ambienti dell’estrema sinistra romana che per tutti quel giorno doveva essere in Inghilterra, rimasto a lungo non identificato perché senza documenti e stranamente riconosciuto da madre e sorella che in teoria non sapevano della sua presenza a Bologna, non sono mai state fatte ricerche approfondite ma ci si è accontentati di una semplice dichiarazione della sorella che per altro ha dato diverse versioni su come sia arrivata a sapere della notizia della morte del fratello nella strage di Bologna?».

La risposta della sorella Anna
A quel punto Anna Di Vittorio ha preso carta e penna per qualificare su L’Alter-Ugo, il blog di Ugo Maria Tassinari, la condotta umana e civile di Raisi con parole che ne riassumevano, certamente per difetto, l’ostinato atteggiamento tenuto nei confronti del fratello: «mi appaiono in lui – oggettivamente – alcune difficoltà umane che lui, forse, non ha mai avuto il coraggio di affrontare e risolvere. Raisi è assolutamente incapace di saper leggere, saper scrivere, saper parlare in pubblico […] sono certa che Raisi sia – oggettivamente – “inconscio” a se stesso» e più avanti sottolineava la «sua impura malvagità».

Raisi l’offeso
L’ex parlamentare non gradì quelle parole e seguendo l’avventato suggerimento dell’avvocato Valerio Cutonilli, uno di quelli che avevano partecipato fin dall’inizio alla costruzione della pista Di Vittorio, e del deputato Federico Mollicone, definiti «primi soggetti percettori della portata offensiva della pubblicazione», e che pare avvertirono Raisi in una telefonata del primo agosto 2020, come indicato nel fascicolo, presentò querela negando, addirittura, di aver mai indicato Mauro Di Vittorio quale responsabile della strage. Il 2 gennaio del 2021, la procura ritenne infondata la denuncia e chiese l’archiviazione. A quel punto Raisi, reiterando la propria ossessione, impugnò la decisione. Il 19 ottobre 2022 il Gip ha chiuso la vicenda dando torto a Raisi.

Il lezzo della calunnia
Non sappiamo se Dante fosse un uomo di destra come ha sostenuto l’attuale ministro della cultura Sangiuliano, certo è che collocò i falsari di parola nell’ottavo cerchio dell’ultimo girone (canto XXX) condannati ad emanare dal più profondo dei pozzi un lezzo insopportabile.

Per chi volesse saperne di più qui l’intera storia
Strage di Bologna, il depistaggio di Raisi, Fioravanti, Pelizzaro & company contro Mauro Di Vittorio

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Falsi sciacalli

Nella tarda mattina del 29 agosto due pacifici signori romeni, di origine rom – Ion e Letizia, di 45 anni – sono stati fermati, vicino ad Amatrice, dai carabinieri mentre erano su un auto assieme al nipotino – si chiama Mario Jonut Marcelaru – di sei anni e mezzo.
Ne ha parlato, qualche giorno fa, Paolo Persichetti. Sono stati arrestati, perché considerati “sciacalli”. Secondo la versione delle forze dell’ordine – ripresa prontamente da tutte le agenzie stampa – la coppia di rom sarebbe gravata da numerosi precedenti penali, furti e altri reati contro il patrimonio. Ed è accusata di vari furti nelle abitazioni distrutte dal terremoto. Inoltre, all’interno della macchina, sarebbero stati rinvenuti degli oggetti utilizzati per effettuare gli scassi.
L’accusa contro di loro però si è sgretolata durante il rito per direttissima: arnesi da scasso si sono rivelati dei kit di soccorso presenti in ogni autovettura (diciamo che servivano a riparare le gomme). I precedenti penali non esistevano. Non solo. Nel corso dell’udienza la coppia, con molte difficoltà espressive nonostante la presenza dell’interprete, ha dichiarato di non sapere niente del terremoto. Passavano di lì per caso, diretti a Roma. E dentro la loro auto c’era tutto il necessario per potersi vestire, dormire, cucinare e i giocattoli per far passare il tempo al bambino. Tra i quali una pericolosissima pistola giocattolo di plastica.
Ma nonostante la loro evidente innocenza, la notizia del loro fermo ha scatenato indignazioni a non finire.
Primo tra tutti il leader della Lega Matteo Salvini che con un post su facebook (clicca qui) aveva deciso di mettere alla gogna la coppia di rom, utilizzando toni durissimi: «Ecco il video con i due sciacalli – scrive Salvini -, pregiudicati rumeni (con figlioletto al seguito…), trovati ad Amatrice con l’auto piena di refurtiva, denaro, attrezzi da scasso. Pare si fingessero turisti sfollati». Il suo post finisce con una chiosa: «Vergognatevi, fate schifo! ». Un post che ha scatenato commenti razzisti anche molto violenti.
Ma il calvario dei due poveri romeni, non è finito con la scarcerazione. Quando sono stati scarcerati, l’amara sorpresa: non hanno più ritrovato il nipotino perché era stato affidato ai servizi sociali di Rieti che nel frattempo lo avevano trasferito a quelli di Roma.
Sono due nonni, Ion e Letizia, che erano giunti in Italia in vacanza e durante il viaggio avevano programmato di andare a visitare una parente a Roma. Hanno portato con sé il nipotino e avevano anche una procura dei genitori. Quindi tutto regolare. Nel momento dell’arresto dei nonni, il bambino è stato sistemato in una comunità a Rieti, dopodiché la procura ha passato tutto al tribunale per i minorenni di Roma e il bambino è stato trasferito in una casa famiglia di Acilia, vicino a Ostia.
I genitori naturali sono intervenuti personalmente con istanza per poter riavere il figlio. La mamma è una giovane donna di 24 anni con un viso da adolescente, di nome Claudia Costantin, lavora come donna di pulizie e ha avuto il bimbo a 18 anni. Il papà si chiama Gabriel, anche lui ventiquattrenne, lavorava in una fabbrica per il legno ma ora ha perso il lavoro per venire in Italia a recuperare il figlio. Giunti in Italia sono ospiti dei parenti che risiedono nel campo rom attrezzato di Ponte Galeria. C’è poco spazio e, assieme ai nonni del piccolo Mario, dormono nella Passat da settimane.
Per tutto questo tempo, ovvero dal 29 agosto, hanno avuto la possibilità di vedere il loro figlio una sola volta. Soltanto venerdì 23 settembre. Tutto dovuto a lungaggini burocratiche: dopo aver letto la relazione dei servizi sociali, il magistrato aveva autorizzato ma con infinite lentezze determinate dall’assenza dell’assistente sociale e dalla necessità di una traduzione del certificato di nascita. I genitori hanno così potuto abbracciare una sola volta il loro figlio e hanno espresso molta preoccupazione circa lo stato psichico del bambino: era definito vivace anche dagli assistenti che l’avevano perso in incarico, ma ai genitori è apparso “spento”.
La prima udienza era stata programmata per giovedì 22 settembre, ma per mancanza dell’interprete è stata rinviata a domani. L’udienza è stata istruita dal giudice per l’affidamento provvisorio mettendo in discussione la capacità genitoriale del papà e della mamma perché non avrebbero dovuto mandare in vacanza il figlio con i nonni. E perché mai, visto che i nonni sono risultati essere due bravissime persone vittime di calunnia?

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