Ecco come Valerio Fioravanti e Francesca Mambro hanno giocato con la vita dei familiari di una delle vittime della strage di Bologna /Fine


Riassunto della puntata precedente (qui)
Condannati per la strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, nonostante si siano sempre proclamati innocenti, Giuseppe Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, avviano uno scambio epistolare con Anna Di Vittorio e suo marito Giancarlo Calidori, familiari di Mauro Di Vittorio una delle 85 vittime della strage. Al rapporto epistolare fanno seguito anche degli incontri che alla fine sfociano nell’invio di una lettera di riconciliazione che nonostante la proclamazione di innocenza dei due induce Francesca Mambro ad allegarne copia alla propria richiesta di liberazione anticipata. Nell’ordinanza i giudici del tribunale di sorveglianza accolgono la domanda menzionando la presenza della lettera. Nel provvedimento ci sono altri due contatti avviati con familiari di vittime che concedono stavolta solo il perdono, ma riguardano altri reati. Per quanto attiene la strage di Bologna, l’imputazione senza dubbio più grave contestata alla coppia di ex Nar, la riconciliazione offerta da Anna di Vittorio è l’unica concessa. A distanza di quattro anni, quando già da alcuni mesi Il parlamentare ex missino di An-Fli Enzo Raisi aveva iniziato a calunniare pubblicamente Mauro Di Vittorio, fratello di Anna, accusandolo di essere con molta probabilità il corriere che trasportava l’ordigno poi esploso nella sala d’attesa di seconda classe, Fioravanti e successivamente Mambro per nulla turbati dal fatto che la memoria della persona che aveva giustificato l’atto di riconciliazione nei loro confronti, banalmente tradotto dai due in perdono, venisse messa in discussione e infangata in quel modo, si rivolgono a Giancarlo e Anna e invece di informarli e prendere le distanze da quella operazione, segnalano alla coppia di seguire attivamente, addirittura leggendo le bozze, la nuova pista. A partire da quel momento prende inizio un sadico gioco con la vita di Anna e Giancarlo destinatari di nuovi messaggi che ne destabilizzano l’esistenza.


Delle Chiaie, il primo a lanciare la pista Di Vittorio
Il primo in assoluto ad indicare la pista di Mauro Di Vittorio nella strage di Bologna fu il fascista Stefano Delle Chiaie, fondatore di Avanguardia nazionale, coinvolto in diverse inchieste sulle stragi e tentativi di golpe negli anni 70, riparato nella Spagna franchista e poi alla corte dei vari regimi dittatoriali sudamericani, Cile, Argentina e Bolivia, dove svolse un ruolo importante come consigliere nella «Operazione Condor», la repressione (torture, omicidi, rapimenti e sparizioni) dei militanti di sinistra.
In una intervista apparsa sul quotidiano boliviano El Meridiano del 17 luglio 1983, Delle Chiaie affermò che dopo l’esplosione della bomba nella sala d’aspetto di seconda classe della stazione ferroviaria di Bologna «tra i cadaveri, furono rinvenuti i corpi di due estremisti di sinistra: uno spagnolo, con falsa identità, tale Martinez ed un italiano che, secondo sue precedenti affermazioni avrebbe dovuto trovarsi a Londra, mentre è stato identificato dalla famiglia. Questa pista non è mai stata presa in considerazione. Al contrario, tutti hanno continuato ad accusare il movimento nazionale rivoluzionario».
Ovviamente non rispondeva al vero che il turista spagnolo, poi identificato come Martinez, avesse una identità falsa. Sempre Delle Chiaie, e qui la data è dirimente, nella sua autobiografia, L’aquila e il condor, uscita nel maggio del 2012, nell’elencare alcune piste alternative sulla strage bolognese reiterava, a pagina 273, l’accusa nei confronti del, «militante italiano della sinistra, ritrovato tra le vittime: privo di documenti, alla famiglia aveva detto di essere a Londra».

Raisi copia Delle Chiaie, così nasce la pista dell’«Autonomo del collettivo del Policlinico»
Nelle stesse settimane, quando le bozze di Delle Chiaie circolavano, Raisi e il suo giro di consiglieri ne riprendono i suggerimenti depistanti e lancia l’8 aprile sul Resto del carlino la pista dell’autonomo romano. Ugo Maria Tassinari, uno dei migliori studiosi dell’estrema destra autore di un blog sulla Fascisteria, venne a saperlo grazie ad una imbeccata, per nulla innocente, di una sua fonte della destra romana, al centro di quanto si stava costruendo in quel momento. Pur omettendo il nome di Di Vittorio, la fonte aveva aggiunto un ulteriore dettaglio: quel giovane «autonomo», sarebbe stato un «romano», forse «appartenente al collettivo del Policlinico». Perché proprio quel collettivo?
Circa un anno prima della strage di Bologna, a Ortona, in Abruzzo, erano stati arrestati tre membri del collettivo del Policlinico che stavano trasportando due lancia missili Strela 2 senza armamento per conto dei guerriglieri palestinesi del Fplp, con loro infatti poco dopo venne arrestato anche uno dei membri residenti in Italia, per altro proprio a Bologna, di quel gruppo. I tre non lo sapevano, ma quel trasporto rientrava in un accordo più generale siglato anni prima dall’Italia per mettere in sicurezza il territorio nazionale da attentati causati dalle conseguenze del conflitto israelo-palestinese. L’accordo, che compendiava quello già esistente con lo Stato di Israele, prevedeva alcune contropartite come il passaggio di armi dirette altrove e membri delle organizzazioni palestinesi. La necessità di attribuire quella identità politica a Di Vittorio appariva dunque chiara, in questo modo si costruiva un nesso diretto con la vicenda di Ortona. Di Vittorio doveva essere l’anello mancante che andava a colmare il vulnus della pista palestinese: l’assenza diretta di palestinesi sulla scena della strage.

La trappola schivata
Per nulla convinto della cosa Tassinari si era messo a cercare conferme tra i suoi contatti senza trovarne alcuna. E’ a quel punto che ricevetti la sua telefonata con l’articolo del Carlino e l’invito a fare a mia volta delle verifiche. Nacque così l’inchiesta che ha poi smontato quello che allora appariva l’ultimo dei depistaggi messo in piedi sulla strage di Bologna.
Il 18 aprile Raisi intervenne nuovamente, stavolta sul blog di Tassinari, per replicare a un articolo di Sandro Padula che riteneva infondata la pista sull’autonomo romano. Fu in questa circostanza che il parlamentare fece il nome di Mauro Di Vittorio. Non solo, per Raisi le affermazioni dell’ex Br Padula, già marito di Margot Crista Frolich, conosciuta in carcere attraverso uno scambio epistolare sotto l’occhiuto controllo della censura, vocabolari alla mano perché la donna non parlava italiano, anch’essa ennesima vittima dei fautori della pista palestinese, apparivano una sorta di «excusatio non petita», come scrisse lui stesso. Assistevamo al tipico paradosso del fazioso che fa del proprio pregiudizio una prova.

«Ha attaccato il parlamentare Raisi», la nota Digos su Padula
Lo scambio pubblico con Raisi ebbe una coda velenosa. Nel fascicolo del Tribunale di sorveglianza che doveva pronunciarsi sulla sua liberazione condizionale richiesta da Sandro Padula proprio in quei mesi e poi respinta, la Digos, con una nota del 6 luglio 2012, segnalava come argomento di rilevanza lo scambio avvenuto «sulla rete telematica, lo scorso 16 aprile» nel quale «il Padula, critica apertamente l’onorevole Enzo Raisi di Futuro e Libertà dopo che quest’ultimo, in una intervista apparsa l’8 aprile 2012 sul quotidiano il “Resto del Carlino”, aveva espresso numerose accuse alla Procura di Bologna».

Fioravanti rompe gli indugi e accusa apertamente Di Vittorio
Il 2 agosto 2012 Fioravanti abbandona le cautele impiegate nella mail del 24 giugno con Calidori, i «passaggi ambigui» si sono chiariti, i dubbi si sono tramutati in certezze. Su il Giornale rilancia la pista palestinese accusando Mauro Di Vittorio, dipinto ancora nei panni dell’autonomo romano, come uno dei possibili «giovani romani che il 2 agosto stessero aiutando i loro amici palestinesi a trasportare un carico di armi»:

«È ovvio che se si scopre che tra le vittime di Bologna c’era un giovane dell’Autonomia Operaia romana, le persone ragionevoli si ricordano che solo pochi mesi prima, a Ortona, tre capi dell’Autonomia Operaia romana erano stati arrestati mentre trasportavano un potente missile terra aria per conto di un certo Saleh, dirigente del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina che abitava a Bologna. Viene spontaneo, alle persone semplici, domandarsi se per caso, come era successo pochi mesi prima nelle Marche (rectius: in Abruzzo, ndA), anche il 2 agosto a Bologna dei giovani romani stessero aiutando i loro amici palestinesi a trasportare un carico di armi. Se poi ci aggiungiamo che dal carcere in Francia il capo dei terroristi filopalestinesi dell’epoca, Carlos lo Sciacallo, in diverse interviste ha ammesso che la sua “Organizzazione” quel giorno era presente alla stazione di Bologna…»

L’archivio di Lotta continua
Già alla fine aprile avevamo accertato che Mauro Di Vittorio era estraneo agli ambienti dell’ex collettivo di via dei Volsci e del collettivo del Policlinico. Avevo mostrato la sua immagine presa dai giornali dell’epoca a diversi esponenti che dirigevano quelle strutture nel 1980. Anche alcuni ex appartenenti al Cap, il collettivo autonomo del Pigneto, avevano riferito a Padula di non aver mai conosciuto Di Vittorio. Nel frattempo Raisi, intento a costruire una sorta di teoria del complotto sulla vicenda, spargeva altro fango sulla figura del giovane morto nella strage. A suo avviso la breve bio presente sotto la foto esposta nel sito dell’associazione dei familiari delle vittime sarebbe stato un falso, non contento contestava anche il ritrovamento della sua carta d’identità. Per il parlamentare di Fli era fondamentale che Di Vittorio fosse in incognito, diversamente sarebbe crollato il suo castello di fango. A puntellare la traballante impalcatura complottista era venuto in soccorso anche un altro dietrologo di razza, Giovanni Fasanella che nel libro Il silenzio degli innocenti aveva manipolato tempo prima alcune dichiarazioni di Anna e Giancarlo, raccontando di una telefonata misteriosa che avvertiva del ritrovamento del corpo di Mauro a Bologna.
Appurammo che la bio dell’associazione familiari proveniva da un paginone dedicato a tutte le vittime della esplosione pubblicato dal Resto del Carlino nei giorni successivi all’eccidio e che a sua volta era stato preso altrove. Consultando i vecchi numeri del quotidiano Lotta continua scoprii, alla riapertura degli archivi nel mese di settembre, che nella edizione del 21 agosto 1980 era presente una doppia pagina, corredata da foto, interamente dedicata alla storia di Mauro Di Vittorio, con la trascrizione integrale del suo diario di viaggio verso Dover ripresa dal quaderno che aveva con sè. Gli autori della pagina erano ex appartenenti al circolo Lc di Torpignattara ancora aperto nel 1980. Vi si raccontava che Mauro dopo la morte prematura del padre aveva lasciato la scuola per aiutare la famiglia e che era molto conosciuto, amato e stimato nel quartiere. In una edizione dei giorni successivi trovai una lettera polemica, di altri suoi compagni, che criticavano le modalità troppo militanti con cui il quotidiano l’aveva raccontato (leggi qui).

La ricognizione a Torpignattara
Nei giorni successivi insieme a Sandro Padula andammo in ricognizione nel quartiere, in via Anassimandro, dove all’epoca risiedeva la famiglia. Trovammo anche il locale dove un tempo c’era la vecchia sede di Lotta continua. Nei pressi c’erano le scalinate della chiesa dove Mauro si incontrava col giro di compagni e amici della piazza. Cercammo in tutti i modi di agganciare qualche familiare per avere altri riscontri, ma in quel momento non ci riuscimmo. Anche gli autori che avevano curato la pagina su Lotta continua non c’erano più, come a accadde a molti militanti di Lc di quegli anni che ebbero la sventura di incontrare l’eroina.

L’inchiesta che smonta il depistaggio
Avevo ormai materiale sufficiente per scrivere. Quando nell’ottobre 2012 sono andato a proporre al manifesto l’inchiesta (leggi qui), era capo servizio Marco Boccitto. Appena lesse il nome di Mauro mi disse che lo aveva conosciuto molto bene. Una coincidenza incredibile!
Era molto amico di Marcello, il fratello. Per loro due Mauro, di qualche anno più grande, appariva una specie di mito con i suoi racconti sull’underground musicale londinese, la vita negli squatt, la ganja, i viaggi, il mondo on the road e la sua idea che il conflitto politico degli anni 70 era uno schema da superare con il lavoro sulle relazioni interpersonali. Marco pubblicò la mia inchiesta qualche giorno dopo. Gli chiesi un ricordo di Di Vittorio che pubblicai su Insorgenze.net (leggi qui). Marco mi diede anche i numeri di Anna e Giancarlo che chiamai inviandogli la bozza dell’articolo. Siccome la pubblicazione tardava per ragioni di spazio ne approfittai per migliorare il pezzo. Nel frattempo Giancarlo mi aveva fornito ulteriori dettagli sul viaggio di Mauro verso Londra, dove non arrivò mai perché respinto alla frontiera di Dover e costretto a un rocambolesco ritorno senza biglietto sui treni (aveva finito i soldi), tanto che dopo la sua morte giunse a casa della madre una multa delle ferrovie. Mi parlò della tolfa, la tracolla di Mauro dove vennero ritrovati la carta d’identità intonsa, riconsegnata alla madre dalla Polfer, e il quaderno Pigna con la copertina nera dove si raccontava il viaggio. Mi disse del dissidio con Fasanella per il suo tentativo di manipolarli. Scrissi tutto.
A ruota, tra il 18 e il 30 ottobre 2012 uscirono su Insorgenze.it le altre 4 puntate. (Leggi 2, 3, 4, 5 e ancora qui) Il depistaggio era stato smascherato tanto che lo stesso giorno si aprirono le prime crepe tra gli «esperti» di Raisi, gli «storici dilettanti» come una volta li aveva definiti lo stesso Fioravanti. Giunsero le prima caute prese di distanza, l’ondivaga consapevolezza che forse qualcosa non tornava nella pista Di Vittorio. Alcuni di loro tentarono anche di mettere mano sul diario di Mauro chiedendone copia ai familiari… il tempo alla fine è stato gentiluomo consentendo loro di farsi dimenticare.

Fioravanti e Mambrio giocano a palla con la vita dei familiari di Di Vittorio
Chi non fu mai scalfito dal dubbio, nonostante la quantità ormai non più aggirabile di evidenze, furono loro: Enzo Raisi (che non ha corretto nemmeno la seconda edizione del suo libro, uscita nel febbraio 2013), Giuseppe Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, i moschettieri della calunnia, i perversi persecutori di Anna Di Vittorio e Giancarlo Calidori.
Il 24 novembre 2012, come nulla fosse, giunge una seconda mail a casa Di Vittorio. Stavolta è Francesca Mambro ad inviarla. Il messaggio conteneva un link che rinviava agli interventi tenuti nella serata di presentazione del volume di Raisi dover si accusava Di Vittorio:

Oggetto: «Tutti gli interventi di bomba non bomba della serata del 19 novembre alla sala Baraccano di Bologna».

Il testo è laconico:

«Allego link di Radio Radicale che ha registrato tutti gli interventi della serata del 19. u.s. con intervento del magistrato Priore. Un carissimo saluto! Francesca».

Qui c’è da sottolineare un fatto: Rosario Priore, il giudice istruttore ormai in pensione citato nel testo, si era reso disponibile con Mambro e FIoravanti per raccogliere elementi a discarico e fornire la propria consulenza per la preparazione di una richiesta di revisione della condanna.

Passano altri due mesi e giunge una terza mail. E’ il 18 gennaio del 2013, a scrivere è ancora Francesca Mambro. Stavolta si tratta della presentazione in video del libro di Raisi che accusa sempre Mauro Di Vittorio per la strage di Bologna. Il testo è da scolpire:

«In attesa che sia restituita verità e giustizia. Cari saluti Francesca».

Si noti come Valerio Fioravanti, che nella prima mail del 21 giugno 2012 auspicava addirittura un possibile incontro con Raisi, ormai non scrive più.

Si arriva così al 18 ottobre 2013, dieci mesi dopo. Si fa sentire nuovamente Francesca Mambro che posta una inchiesta giornalistica uscita su Il tempo. Sei articoli sul 2 agosto 1980.

«A futura memoria. Cari saluti», sigla Francesca.

Sciacalli e agnelli, le mail di Fioravanti-Mambro a Anna Di Vittorio e Giancarlo Calidori sulla strage di Bologna /1

E’ nell’aprile del 2012 che l’allora parlamentare ex Msi Enzo Raisi, poi An e Fli, accenna per la prima volta al «ragazzo di Autonomia operaia» morto nella strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980. Nella intervista rilasciata a Gilberto Dondi sul Resto di Carlino quel giovane non veniva descritto come una vittima della esplosione ma come un possibile complice del massacro. Raisi fondava la sua convinzione sulla base di alcune testimonianze provenienti dall’interno dell’istituto di medicina legale bolognese. Tre medici che prestavano servizio nell’obitorio della città gli avevano riferito che nei giorni successivi all’esplosione due giovani erano entrati nell’istituto per visionare i corpi delle vittime ma giunti davanti al volto del presunto autonomo erano fuggiti immediatamente. I tre medici non erano presenti ma seppero dell’episodio anni dopo da Piergiorgio Sabattani, il primario che raccontava di essere corso dietro i due fuggitivi rimasti ignoti: una ragazza e un giovane dalle sembianze mediorientali, assieme al brigadiere Giancarlo Ceccarelli, morti entrambi nel frattempo e dunque nella impossibilità di confermare. Eppure in un istituto di medicina legale non si entra per effettuare delle ricognizioni senza declinare le proprie generalità.

Voci d’obitorio
Con una formula retorica Raisi si interrogava sull’identità dei due fuggiaschi ma subito dopo lasciava intendere di aver già trovato una risposta quando aggiungeva: «perché il giovane di Autonomia aveva in tasca un biglietto della metropolitana di Parigi, città dove all’epoca viveva Carlos?». Sei giorni dopo fu ancora più preciso rivelando il nome di Mauro Di Vittorio che da quel momento divenne «l’autonomo romano», su cui sarebbe ricaduto il sospetto di essere l’autore della strage. Si capì molto presto che quella identità politica era posticcia e la storiella dell’obitorio completamente falsa. Quella scena era presente in un romanzo di Loriano Machiavelli, uscito nel 1990 con uno pseudonimo, frutto di un gioco di fantasia – chiarì successivamente l’autore. Il carabiniere Ceccarelli non aveva mai stilato una relazione sull’accaduto e il primario non aveva mai rivelato alle autorità che conducevano le indagini quella vicenda. Il racconto dei tre medici depositari del segreto confidato solo a Raisi e taciuto per decenni a magistratura e inquirenti era dunque un classico de relato di una persona defunta. Davanti alla Procura bolognese, che aprì una inchiesta sulla pista palestinese dopo le forti pressioni della destra, Antonio Jesurum, uno dei tre medici ascoltati dopo le rivelazioni di Raisi, aggiunse un dettaglio ulteriore sull’abbigliamento di uno dei fuggitivi per connotarne meglio la provenienza politica: avrebbe portato un Eskimo in pieno agosto. (Leggi qui)

Il Perdono
In quei giorni di aprile Anna Di Vittorio, sorella di Mauro, e Giancarlo, suo marito, erano del tutto ignari della sortita di Raisi, nessuno li aveva ancora informati. Ci penserà con un messaggio di posta elettronica, il 24 giugno successivo, la persona meno adatta: Valerio Fioravanti. Francesca Mambro, moglie di Fioravanti e coimputata nel processo per la strage, aveva ottenuto appena quattro anni prima, nel settembre del 2008, la liberazione condizionale. Nel provvedimento si faceva esplicito riferimento al perdono ricevuto da Anna Di Vittorio, unico dei familiari delle vittime della strage bolognese ad averlo concesso e ritenuto dal Tribunale di sorveglianza una delle prove del percorso di ravvedimento e riconciliazione compiuto dalla donna. Il gesto era arrivato dopo uno scambio epistolare e degli incontri con la coppia condannata per la strage. Nonostante avessero sempre protestato la loro innocenza sulla vicenda, la coppia fece uso del perdono: la Mambro allegò la lettera, dal peso simbolico notevole, nella richiesta della condizionale.

Abiezione parte prima
Nella mail del 24 giugno 2012 inviata a Giancarlo Calidori, dopo una serie di convenevoli in cui forniva informazioni sulle condizioni della propria famiglia partita in vacanza per festeggiare la fine dell’anno scolastico, Fioravanti arrivava al dunque:

«Io sono rimasto qui, al computer, e sto leggendo le bozze dell’ultimo libro di Andrea Colombo incentrato sul “Lodo Moro”, e dell’ultimo libro di Enzo Raisi, deputato bolognese prima del Msi, poi di An, poi del Pdl e infine di Fli, che racconta di come lui abbia vissuto “da destra” il processo per la strage, ma soprattutto racconta le molte cose scoperte se solo si va a guardare gli archivi con un po’ di attenzione… c’è qualche riga dedicata anche la fratello di Anna, ma poi mi ha detto Raisi che si sta consultando con alcuni esperti per capire meglio alcuni passaggi che gli sembrano ambigui.forse un giorno, se ne avrete voglia e tempo, potreste incontrarlo. è vero che abbiamo tutti a cuore la trasparenza e la verità, am proprio in nome della trasparenza meno cose confuse si mettono in circolazione, meglio è! Ce ne sono già abbastanza di cose confuse!!!Intanto, spero di avere da voi se non notizie eccezionali, almeno “tranquillizzanti”! Un forte abbraccio, Valerio»

Il testo dell’ex appartenente ai Nar era sibillino e reticente nonostante la trasparenza invocata nel messaggio: non diceva tutto quel che già era uscito, in particolare sui social dove si era battagliato aspramente sul nome di Di Vittorio. L’accenno agli «esperti» consultati da Raisi è da tenere a mente, perché vedremo apparire una serie di nomi appoggiare, alcuni almeno solo inizialmente, la pista Di Vittorio: un avvocato romano e un gruppo di «sherpa», come verranno etichettati da Ugo Maria Tassinari nel suo blog, che insieme ad Insorgenze.net ne seguiranno attentamente tutta la vicenda smontandola completamente. Ma soprattutto le poche righe su Mauro erano in realtà un intero capitolo, il 10 bis, dove si lanciavano accuse pesantissime: Eccone un piccolo estratto:

«Questo collettivo in cui militava il povero Di Vittorio, era collegato, operativamente parlando, al Collettivo di Via dei Volsci, lo stesso dei tre arrestati a Ortona con Abu Saleh mantre trasportavano i lanciarazzi dell’Fplp Un collettivo che, come ci dimostrano gli atti di sequestro della Digos di Roma, in occasione della loro sede, era una vera e propria “succursale” dell’Fplp. So già che qualcuno si attiverà subito per spiegare quante quali differenze ci fossero tra quelli del Pigneto, di Centocelle e di Via dei Volsci. Ma la strage di Bologna, a mio avviso non è una storia di quartiere. La chiave per capire è un’altra, chiama in causa le ragioni, tuttora da appurare, per cui Di Vittorio si trovò alla stazione di Bologna la mattina dell’esplosione; nessuno ha mai dato una spiegazione logica in questo senso, nessuno ha mai indagato» (Enzo Raisi, Bomba o non bomba, alla ricerca ossessiva della verità, Minerva edizioni, ottobre 2012, p. 186).

Quale meccanismo possa spingere la psiche umana ad un comportamento del genere è difficile da spiegare. Cercarne una ragione nella malvagità e nel sadismo che può celarsi nell’animo o all’interno di personalità turbate sembra rivelarci solo una parte di verità plausibile. Dietro quella mail e le successive (che vedremo nella prossima puntata) emerge qualcosa di più sofisticato e ancora più perverso legato alla vicenda del perdono ricevuto e utilizzato. Girava voce in quel periodo che il gesto di Anna e Giancarlo celasse in realtà un sentimento di colpa per una verità indicibile: la piena consapevolezza della responsabilità di Mauro Di Vittorio nella strage.
Con quella mail la coppia condannata per la strage alla stazione, mal suggerita forse da qualche azzeccagarbugli, pensava di innescare una ammissione della colpa di Mauro Di Vittorio, o almeno il riconoscimento di un qualche dubbio, nella famiglia sul suo ruolo avuto nella strage. Circostanza che avrebbe clamorosamente riaperto la vicenda fornendo quella prova regina a discolpa che avrebbe consentito l’apertura di una procedura di revisione della condanna. Una prova di cinismo abissale che metteva in mostra anche delle personalità totalmente anetiche. Disposte a tutto, soprattutto ad infierire sui più fragili.

Fine prima puntata/continua

Raisi, il lezzo dei falsari di parola e la querela archiviata contro Anna Di Vittorio

Lo scorso ottobre 2022 il giudice per le indagini preliminari Angela Gerardi ha archiviato la querela presentata dall’ex vice segretario dei giovani missini e poi parlamentare di Alleanza nazionale e variabili successive, Enzo Raisi, contro Anna Di Vittorio, sorella di Mauro Di Vittorio, il ventiquattrenne romano ucciso insieme ad altre 84 persone dalla bomba esplosa il 2 giugno 1980 nella stazione di Bologna.

La notizia nel libro di Paolo Morando
A darne notizia è Paolo Morando nel suo libro appena uscito per le edizioni Feltrinelli, La strage di Bologna, Bellini, i Nar, i Mandanti e un perdono tradito. Un volume che riassume con grande perizia gli ultimi due processi sulla strage, le oltre duemila pagine della sentenza Cavallini, la memoria della procura generale e le udienze del processo Bellini (la sentenza non è stata ancora depositata), ma soprattutto racconta una «piccola storia ignobile» poco nota al grande pubblico. La storia di un tradimento, la definisce Morando, la storia di una manipolazione si potrebbe aggiungere: quella che Francesca Mambro e Giuseppe Valerio Fioravanti realizzarono sulle spalle di Anna Di Vittorio e suo marito Giancarlo Calidori. Storia che permise a Francesca Mambro di accedere alla liberazione condizionale grazie al perdono richiesto ad Anna Di Vittorio, per poi pugnalarla alle spalle. I due infatti sposarono la tesi, promossa da Enzo Raisi e altri esponenti della destra, che indicava il fratello di Anna come il responsabile della strage rimasto accidentalmente ucciso nell’attentato.

Le nuove calunnie contro Mauro Di Vittorio
La querela di Raisi traeva origine proprio da questa vicenda. In occasione del quarantennale della strage di Bologna l’ex missino era tornato ad accusare Mauro Di Vittorio di essere stato il trasportatore della bomba esplosa nella sala d’aspetto di seconda classe della stazione, il 2 agosto 1980. Una «ossessione» la sua al punto da aver ripetutamente chiesto negli anni precedenti al cadavere vilipeso di Di Vittorio di dimostrare la propria innocenza dopo avergli attribuito una identità politica di comodo, quella di «Autonomo», membro del collettivo del Policlinico, per poter sostenere i suoi legami con il palestinese Abu Saleh e la vicenda dei missili di Ortona; aver poi diffuso notizie non corrispondenti al vero sulle condizioni del suo corpo al momento del ritrovamento, affermando che fosse completamente carbonizzato. Con questa bugia voleva affermare che fosse vicinissimo alla bomba, per meglio dire che la tenesse con sé, così insinuando che la perizia giurata di ricognizione del cadavere presente negli atti giudiziari fosse falsa; sostenere, inoltre, che non avesse documenti d’identità ma che viaggiasse in incognito e che la carta d’identità ritrovata dai soccorritori fosse giunta intonsa all’obitorio dalle mani dell’anziana madre; così dicendo aveva dato del falso ideologico al verbale di riconsegna dei suoi effetti personali redatto dalla Polfer accusando di conseguenza la madre per la consegna della carta d’identità; aveva giurato che il diario di viaggio di Mauro fosse un clamoroso falso e che il biglietto della metropolitana parigina che aveva nella tasca dei pantaloni fosse la prova provata che egli non si sarebbe mai diretto a Londra ma avrebbe fatto tappa a Parigi per prendere in consegna da Carlos la valigia con l’esplosivo.
Affermazioni reiterate in un lunghissimo elenco di interviste, conferenze stampa, interventi sui social, interpellanze parlamentari, in un libro, Bomba o non bomba. Alla ricerca ossessiva delle verità, Minerva edizioni 2012. All’epoca non era stato il solo a sostenere cose del genere. Poi, davanti alle evidenze (chi prima, chi poi, chi in modo netto, chi in maniera subdola) nessun altro ebbe il coraggio di evocare il nome di Di Vittorio.
Una inchiesta a puntate pubblicata proprio su questo blog (leggi qui) aveva dimostrato, prove alla mano, la malafede di chi accusava Di Vittorio. Successivamente anche la procura di Bologna si era occupata del caso e nella archiviazione della indagine bis sulla strage aveva definito Di Vittorio «vittima oggettiva» della bomba. Nonostante ciò, nell’agosto del 2020 le calunnie di Raisi hanno trovato nuovo ascolto e sono state raccolte tra le dieci domande poste da un intergruppo di parlamentari del centrodestra , ‘La verità oltre il segreto’. Si tratta del quesito numero 9: «Perché sulla vittima Mauro Di Vittorio, legato ad ambienti dell’estrema sinistra romana che per tutti quel giorno doveva essere in Inghilterra, rimasto a lungo non identificato perché senza documenti e stranamente riconosciuto da madre e sorella che in teoria non sapevano della sua presenza a Bologna, non sono mai state fatte ricerche approfondite ma ci si è accontentati di una semplice dichiarazione della sorella che per altro ha dato diverse versioni su come sia arrivata a sapere della notizia della morte del fratello nella strage di Bologna?».

La risposta della sorella Anna
A quel punto Anna Di Vittorio ha preso carta e penna per qualificare su L’Alter-Ugo, il blog di Ugo Maria Tassinari, la condotta umana e civile di Raisi con parole che ne riassumevano, certamente per difetto, l’ostinato atteggiamento tenuto nei confronti del fratello: «mi appaiono in lui – oggettivamente – alcune difficoltà umane che lui, forse, non ha mai avuto il coraggio di affrontare e risolvere. Raisi è assolutamente incapace di saper leggere, saper scrivere, saper parlare in pubblico […] sono certa che Raisi sia – oggettivamente – “inconscio” a se stesso» e più avanti sottolineava la «sua impura malvagità».

Raisi l’offeso
L’ex parlamentare non gradì quelle parole e seguendo l’avventato suggerimento dell’avvocato Valerio Cutonilli, uno di quelli che avevano partecipato fin dall’inizio alla costruzione della pista Di Vittorio, e del deputato Federico Mollicone, definiti «primi soggetti percettori della portata offensiva della pubblicazione», e che pare avvertirono Raisi in una telefonata del primo agosto 2020, come indicato nel fascicolo, presentò querela negando, addirittura, di aver mai indicato Mauro Di Vittorio quale responsabile della strage. Il 2 gennaio del 2021, la procura ritenne infondata la denuncia e chiese l’archiviazione. A quel punto Raisi, reiterando la propria ossessione, impugnò la decisione. Il 19 ottobre 2022 il Gip ha chiuso la vicenda dando torto a Raisi.

Il lezzo della calunnia
Non sappiamo se Dante fosse un uomo di destra come ha sostenuto l’attuale ministro della cultura Sangiuliano, certo è che collocò i falsari di parola nell’ottavo cerchio dell’ultimo girone (canto XXX) condannati ad emanare dal più profondo dei pozzi un lezzo insopportabile.

Per chi volesse saperne di più qui l’intera storia
Strage di Bologna, il depistaggio di Raisi, Fioravanti, Pelizzaro & company contro Mauro Di Vittorio

Avvocato Cutonilli, Mauro Di Vittorio non deve dimostrare la sua innocenza, è Raisi che deve giustificare le sue accuse!

Presegue con questa quarta puntata la nostra inchiesta sulla infondatezza delle accuse mosse contro Mauro Di Vittorio, vittima della strage di Bologna accusato dal deputato di Fli Enzo Raisi, a 32 anni di distanza dal massacro, di essere uno degli artefici dell’esplosione della bomba. Un intervento dell’avvocato Valerio Cutonilli, apparso su FascinAzione, ci permette di fare chiarezza su ulteriori aspetti degli ultimi giorni di vita di Mauro, ma soprattutto di ristabilire una questione fondamentale: non è Di Vittorio che deve dimostrare la suo innocenza ma chi lo accusa che deve giustificare i suoi sospetti

di Paolo Persichetti

L’avvocato Cutonilli con un intervento inviato a FascinAzione, il sito gestito da Ugo Maria Tassinari divenuto uno dei più interessanti osservatori sulla destra italiana, ha rotto la consegna del silenzio che regnava da giorni dopo la pubblicazione sul manifesto del 18 ottobre della nostra inchiesta sulla vera storia di Mauro Di Vittorio, uno degli 85 morti della strage di Bologna del 2 agosto 1980 ingiustamente accusato dall’ex carabiniere missino Enzo Raisi, oggi deputato finiano, di essere uno degli artefici del massacro.
Va detto subito che Cutonilli, che ha scritto alcuni anni fa un libro sulla strage di Bologna, edito dalle edizioni Trecento, ed è stato anche l’autore insieme a Luca Valentinotti, pure lui avvocato, di un altro volume, Acca Larentia. Quello che non è stato mai detto, uscito nel 2010 sempre per le edizioni Trecento, in cui mostrava di non aver ben capito la dinamica magmatica di alcune aree dello spontaneismo armato romano, ha usato stavolta toni molto diversi dalle maniere tanto arroganti quanto imprudenti alle quali ci aveva abituato il parlamentare di Fli, colpito all’improvviso da afasia acuta.


Il metodo Raisi-Cutolilli: l’inversione dell’onere della prova

Tuttavia lo stile più dimesso, il ricorso ad alcune precauzioni semantiche e una più diplomatica attenzione alla memoria di Mauro Di Vittorio non hanno modificato la sostanza di un discorso che, pur integrando alcuni elementi obiettivi ristabiliti dalla nostra inchiesta, resta pressoché immutato nel suo originario impianto colpevolista.
Importa poco che Cutonilli si definisca personalmente – mi sia concesso l’uso metaforico del termine – “agnostico” rispetto alla posizione di Mauro Di Vittorio. La richiesta di accertamenti concreti da lui sollevata, e che affronteremo nel dettaglio in seguito (non saremo certo noi a temere una verifica concreta visto che è proprio grazie a questo metodo che siamo giunti ai risultati descritti nell’inchiesta), fa emergere una singolare concezione che porta a capovolgere l’onere della prova e fa di Mauro Di Vittorio il sospettato permanente, colui che deve dimostrare al mondo di non essere colpevole 32 anni dopo essere stato ucciso.
E no! Caro Cutonilli, non è Mauro Di Vittorio a dover confermare la propria innocenza, ma chi dubita di lui a dover provare il suo eventuale coinvolgimento, diretto o indiretto (stando alle elucubrazioni di Raisi), nella realizzazione della strage.
Questo non è avvenuto! Raisi ha lanciato accuse pesantissime senza mai avere nelle mani uno straccio di indizio, niente di niente, soltanto una verità ideologica e molta presunzione, pregiudizio, sprezzo e faziosità.
Troppo facile, ora che sono emersi i documenti negati e testimonianze multiple, invocare delle verifiche supplementari. I riscontri andavano cercati prima di spararle così grosse. Cutolilli tanto rigore lo doveva esigere in precedenza, ma da Raisi. La lezioncina sul metodo non va certo rivolta a chi ha messo l’incauto responsabile della comunicazione di Fli con le spalle al muro di fronte all’evidenza delle sue sciocchezze, per non utilizzare altri termini molto più appropriati.


Le patacche dell’onorevole

Esemplare di quaderno Pigna nero con bordi rossi di moda negli anni 80, un po’ come i moleskine attuali

1) Secondo Raisi la scheda biografica di Mauro Di Vittorio presente sul sito dell’associazione familiari conteneva «informazioni non veritiere». I virgolettati presenti al suo interno erano «un’azione di depistaggio per coprire qualcosa». Che cosa? il tentativo di fornire un alibi, post mortem, a Di Vittorio. Quindi il diario non sarebbe mai esistito perché – a suo dire – non ve n’è traccia nel fascicolo giudiziario. Che dunque quei virgolettati non provenivano dall’articolo di Fabio Negro del Resto del carlino, che a sua volta li aveva estrapolati dal testo integrale pubblicato su Lotta continua del 21 agosto precedente, ma da una qualche mano che in questo modo voleva sviare dalla verità, lasciando intendere l’esistenza di un complotto che per coprire la responsabilità dei “rossi” (autonomi romani, palestinesi dell’Fplp e Carlos più Rz tedesche e compagnia bella) avrebbe favorito l’indirizzo delle indagini verso la pista nera.

Abbiamo visto che le cose non stanno affatto così! Il diario di Di Vittorio esiste, si tratta di tre paginette scritte in un quaderno Pigna dalla copertina nera, riportate integralmente su Lotta continua del 21 agosto 1980, e consegnato dalla Polfer alla sorella di Mauro, Anna, il 12 agosto 1980, il giorno successivo al primo riconoscimento del corpo, quando giunse anche la madre di Mauro, insieme alla borsa Tolfa dove era riposto con la carta d’identità. Il tutto, come prevedono le procedure legali, accompagnato da un verbale di consegna.
Non si tratta affatto di rivelazioni, queste circostanze sono state riportate in gran parte da Anna Di Vittorio nella sua testimonianza presente nel libro di Giovanni Fasanella e Antonella Grippo, I silenzi degli innocenti (Bur, 2006). Di seguito le pagine 199-202: il racconto, prodotto 26 anni dopo la tragedia, presenta alcune imprecisioni mnemoniche di dettaglio, come il biglietto della metropolitana che non era di Londra ma di Parigi. Affronteremo meglio la questione più avanti. Mentre il pasaggio sulla «misteriosa telefonata» – pagina 201 – è stato sempre smentito da Anna. Smentita ribadita anche durante la nostra inchiesta e che trova conferma nelle circostanze riportate in tempo reale dall’articolo di Luciana Sica di Paese sera del 13agosto 1980.
Nel libro di Fasanella, Anna impiega un altro aggettivo, «strana». La sua frase è: «Il 6 agosto, ricevemmo a casa una strana telefonata e iniziammo a insospettirci.», e dopo il punto aggiunge, «Dalla stazione di Bologna ci avvertirono che era stata ritrovata la carta d’identità di Mauro». Il punto inopinatamente introdotto tra le due frasi interrompe la consecutio, lasciando intendere che potrebbe trattarsi di due momenti diversi e che non si stesse parlando dello stesso episodio. Fasanella è un noto dietrologo e non è improbabile che abbia voluto introdurre forzatamente un alone di mistero su una vicenda che al contrario è chiarissima: la telefonata, che non è affatto anonima come si potrebbe intendere dal modo in cui viene descritta e come sostiene anche Raisi, giunge dagli uffici di polizia che stanno conducendo le prime indagini probabimente dalla questura stessa, che per un eccesso di delicatezza evita di accennare al ritrovamento del documento d’identità tra le macerie della stazione. L’episodio, unito ad altre circostanze, condusse i familiari di Mauro alla rottura delle relazioni con il giornalista.
Nel corso della conferenza stampa, ripressa dal Resto del Carlino del 29 luglio 2012, Raisi riuscirà a dire che Anna Di Vittorio sul libro di Fasanella-Grippo avrebbe detto: «la famiglia ha ricevuto una telefonata anonima da Bologna».

Ora Cutonilli chiede la perizia calligrafica del testo manoscritto presente sul diario. Magari vorrà anche la perizia merceologica per vedere se il quaderno risale al 1980! Constatiamo che si sta chiedendo ancora una volta a Mauro Di Vittorio di dimostrare di essere Mauro Di Vittorio. Ma quelle pagine erano in possesso dell’autorità di polizia, sono state loro ad averle consegnate su ordine della magistratura dopo aver vagliato la loro inutilità ai fini dell’inchiesta. Dobbiamo periziare anche i verbali di consegna?
Stabiliranno i legittimi proprietari del quaderno modi e tempi di una tale verifica che spetta alla sola autorità competente, la magistratura, di cui si regista un singolare silenzio!

2) Sempre Raisi ha detto che nemmeno la carta d’identità sarebbe stata ritrovata tra le macerie ma che a portarla a Bologna sarebbe stata addirittura la madre di Di Vittorio che si sarebbe presentata all’obitorio «con una carta di identità intonsa in mano» (Resto del carlino, 29 luglio 2012).

Come abbiamo già visto, è falso! Perché Raisi dichiara una cosa del genere? Perché ha disperato bisogno che tra le vittime della strage ci sia un clandestino, qualcuno che si aggirava per la stazione senza i suoi documenti addosso e con una valigia piena di esplosivo, altrimenti crollerebbe l’intera impalcatura della sua variante. Sì, perché quella di Raisi è una variante venuta in soccorso dell’originario teorema della pista palestinese, sostenuto da Gian Paolo Pelizzaro, Gabriele Paradisi, François de Quengo de Tonquédec e Lorenzo Matassa, da tempo in crisi per non essere riuscita ad indicare con un sufficiente margine di certezza i possibili autori e formulare un movente credibile. Lo stesso Raisi ha evidenziato durante la conferenza stampa di fine luglio l’insostenibilità della rappresaglia palestinese contro Bologna, gemellata con una città della Palestina. Da qui il bisogno di trovare dei complici italiani optando per l’ipotesi dell’incidente di trasporto e in subordine del sabotaggio.

3) Secondo Raisi anche la telefonata della questura sarebbe un falso. Per farlo cita un passaggio della testimonianza di Anna Di Vittorio nel libro di Fasanella. A chiamare, lascia intendere, sarebbero stati i complici di Mauro, quegli stessi «giovani dei collettivi di sinistra» che avrebbero fatto il riconoscimento in obitorio fuggendo pirma di essere identificati, oppure la fantomatica ragazza accompagnata da un mediorientale (sicuramente piccola e biondina, magari di nome Christa, come suggerisce Gabriele Paradisi nell’intervista a Loriano Machiavelli, associando del tutto abusivamente il nome della Fröhlich a quello della protagonista del romanzo). Una descrizione proveniente, scrive Cutonilli, da «colloqui diretti» che Raisi avrebbe tenuto «con il personale medico di Bologna», dell’obitorio si suppone.

Singolari testimoni che ritrovano la memoria a 32 anni di distanza. Una memoria in sintonia coi tempi, dalle caratteristiche tipicamente neocon, del genere clash of the civilisations, roba da islamofobia post-11 settembre.
La vicenda della telefonata giunta a casa Di Vittorio ci dice, in realtà, che Raisi conosce perfettamente la testimonianza di Anna Di Vittorio resa nel 2006. Dunque la storia della Tolfa con il diario e la carta d’identità consegnata dalla Polizia ferroviaria. Nonostante ciò, egli la ignora completamente e senza mai confutarla, senza mai chiedere spiegazioni ad Anna, anzi lasciando supporre che non dica il vero, lancia le sue accuse gratuite contro il fratello Mauro.
E’ un po’ tardivo, come fa Cutonilli alla fine del suo testo, pretendere di salvarsi in corner chiedendo lumi all’autorità giudiziaria. Forse il vero problema in tutta questa vicenda è rappresentato dal signor Enzo Raisi. E’ lui che dovrebbe dare prova della sua onestà intellettuale e delle sue capacità di esercitare correttamente la funzione pubblica che svolge. Non certo Mauro Di Vittorio, che non può più difendersi, o i suoi familiari!


Il viaggio di ritorno e il biglietto del metrò parigino

Mauro Di Vittorio tra gli effetti personali aveva un biglietto del metro parigino, stazione di Barbès-Rochechouart. Così dicono alcune agenzie dell’epoca riprese dai quotidiani. Questa circostanza è bastata a Raisi per sostenere che Di Vittorio in realtà non è mai andato a Londra ma avrebbe fatto tappa a Parigi per incontrarsi con Carlos e prendere in consegna la valigia carica di esplosivo poi deflagrata nella stazione di Bologna. Il diario non dice nulla del viaggio di ritorno, il cui tragitto si può ipotizzare a partire da due circostanze: il biglietto della metropolitana sopracitato; la multa elevata sul treno a Di Vittorio perché trovato senza biglietto e pervenuta ai familiari dopo i funerali.
Respinto alla frontiera di Dover, Di Vittorio con pochi spiccioli in tasca (tra gli effetti personali vengono trovate solo 300 lire. Anna racconta che aveva lasciato gran parte dei suoi soldi a Peppe per aiutarlo a pagare la multa che aveva portato al sequestro della macchina alla frontiera tedesca), torna indietro e giunge a Parigi via gare du Nord. Parigi non ha una stazione centrale ma un sistema ferroviario a stella con stazioni che fanno capo alle diverse linee ferroviarie che si dirigono verso i quattro punti cardinali del Paese. La linea che congiunge Parigi a Londra, nel 1980 come oggi, è la gare du Nord. Non lontano dal quartiere di Barbès, dove è situata la stazione della metropolitana indicata nel biglietto ritrovatogli addosso. Stazione del metrò che si può raggiungere anche compiendo una semplice passeggiata a piedi. Da Barbès, Di Vittorio aveva due possibilità: salire le scale che portano alla linea 2 che traversa in sopraelevata i quartieri nord del capitale francese, da lì salire sui vagoni in direzione Nation, verso est, per incrociare la storica linea 1, aperta all’inizio del 1900, che l’avrebbe condotto alla vicina gare de Lyon, da dove all’epoca partivano tutti i treni per l’Italia. Oppure scendere e prendere la linea 4 sotterranea per incrociare la linea 1 nel labirinto di gallerie di Châtelet-Les Halles.
La presenza di quel biglietto è dunque assolutamente compatibile con il viaggio di ritorno, un viaggio condotto in modo rocambolesco perché senza biglietto. C’è dunque da supporre che Mauro sia dovuto scendere più volte dai treni, obbligato a percorsi contorti che l’hanno portato verso Bologna, probabilmente passando per Milano.

4/Continua

Link
Strage di Bologna, Mauro Di Vittorio viveva a Londra tra ganja, reggae, punk, indiani d’India e indiani metropolitani
Vi diciamo noi chi era Mauro Di Vittorio, le parole dei compagni e degli amici su Lotta continua dell’agosto 1980
L’ultimo depistaggio, la vera storia di Mauro Di Vittorio. Crolla il castello di menzogne messo in piedi da Enzo Raisi
Strage di Bologna, il diario di viaggio di Mauro Di Vittorio
Stazione di Bologna 2 agosto 1980, una strage di depistaggi
Strage di Bologna, la storia di Mauro Di Vittorio che Enzo Raisi e Giusva Fioravanti vorrebbero trasformare in carnefice
Strage di Bologna, in arrivo un nuovo depistaggio. Enzo Rais, Fli, tira in ballo una delle vittime nel disperato tentativo di puntellare la sgangherata pista palestinese
Daniele Pifano sbugiarda il deputato Fli Enzo Raisi: Mauro Di Vittorio non ha mai fatto parte del Collettivo del Policlinico o dei Comitati autonomi operai di via dei Volsci

Strage di Bologna, ancora una testimonianza in favore di Mauro Di Vittorio che viveva a Londra tra «ganja, reggae, punk, indiani d’India e indiani metropolitani»

Terza parte/continua
Le memorie riaffiorano lentamente dalle brume di un tempo lontano ormai 32 anni.

Dopo il salutare scossone provocato dalla nostra inchiesta in difesa della storia di Mauro Di Vittorio, l’ultima delle vittime ad essere stata identificata nella strage della stazione di Bologna del 2 agosto 1980, apparsa sul manifesto del 18 ottobre (leggi qui) scorso e nella quale abbiamo smontato il castello di menzogne costruito nel corso di questi ultimi mesi dal parlamentare finiano Enzo Raisi che ha accusato Di Vittorio di essere uno degli artefici dell’attentato, tornano i ricordi, si fanno più nitidi i contorni, si precisano meglio i dettagli.
Si incrina il muro dell’oblio, per questo ci auguriamo che altri ancora diano il loro contributo. Questo blog è pronto a pubblicarli.
Per mesi abbiamo cercato testimonianze che dessero conferma a quanto avevamo già verificato, al materiale documentale raccolto, parole nuove che reincarnassero quelle carte, tornassero a dare loro un’anima, trasformando in un sentimento caldo la memoria di Mauro.

Non è stato facile. 32 anni sono tanti, troppi, soprattutto per doversi difendere all’improvviso da un’accusa che ti prende alle spalle, a tradimento, perché così è dopo che l’incuria del tempo cancella i ricordi, fa scomparire i testimoni, seppellisce le carte sotto cumuli di polvere, in cassetti dimenticati.
Si parla molto delle vittime in Italia. In questo blog ci sono diversi post e articoli apparsi su alcuni quotidiani che affrontano il tema del paradigma vittimario. Ci sembra che questa vicenda stia dimostrando – se ancora ce ne fosse stato bisogno – come quello delle vittime sia solo un tema strumentale, da mercato politico e giudiziario. Non s’è levata in giro nessuna voce da parte dei “professionisti del dolore” in difesa della memoria di Mauro, nessuno si è preoccupato tra i tanti politici e vertici istituzionali di chiamare Anna Di Vittorio e suo marito Giancarlo Calidori mentre un intero schieramento parlamentare appoggiava l’iniziativa di Raisi nel silenzio complice e ipocrita del presidente della camera Gianfranco Fini. E dalle redazioni dei giornali, fatte salve alcune rare eccezioni purtroppo confinate nella locale, solo tanta sufficienza verso quel che accadeva.
Dopo le lettere dei compagni e amici dell’epoca (qui), dopo la testimonianza di Luciano Di Santo (qui), amico di Marcello, fratello minore di Mauro, indebolito da una malattia che gli impedisce di lottare per difendere la memoria del fratello, ci arriva un ricordo puntuale di Marco Boccitto, giornalista del manifesto, grande amico di Marcello, che ha conosciuto Mauro fino a subirne il fascino, come si capisce da quel che scrive.

Ecco chi era Mauro Di Vittorio
di Marco Boccitto

Ho conosciuto Mauro Di Vittorio all’inizio dell’estate 1980 tramite suo fratello Marcello, uno dei miei primi e “migliori amici”.
Mi colpì subito per le vibrazioni lunghe e serene che emanava, l’approccio libero e disilluso alle lacerazioni che viveva all’epoca il movimento, la filosofia senza smanie di chi sa vivere bene con poco. La decrescita felice non sapevamo neanche cosa fosse, ma lui la praticava con buonissimi esiti. Se ne stava a Londra, in cerca di niente e in attesa di tutto. Diceva che era fantastico, che era pieno di squat in cui vivere e se pure non trovavi lavoro ti davano un sussidio con cui tirare avanti. Parlava di ganja, amicizie intercontinentali, indiani d’India e indiani metropolitani, dei suoi vicini ghanesi e giamaicani, di come il reggae incontrava il punk, insomma l’Inghilterra vista da Brixton, il sobborgo in cui abitava. Difficile mettere d’accordo quei suoi racconti con le rivolte che incendieranno il quartiere di lì a un anno. Difficile anche associare quel suo approccio a un concetto negativo come quello di «riflusso». Ma ancor più difficile è ipotizzare un suo essere altro da questo. «Sai che c’è – gli dissi – se è davvero così ti vengo a trovare…». E lui: «Magari! Da fine luglio sarò di nuovo lì, se vieni puoi stare da me».
Non me lo feci ripetere.  Una sera d’inizio agosto ero davanti alla porta di casa sua, in un fatiscente condominio di squat, a Barrington Road. Con Mauro vivevano una ragazza sarda che forse studiava, un ragazzo veneziano che faceva il cuoco e un altro ancora di cui non ricordo. Di nessuno rammento i nomi. Aperta la porta mi spiegarono che Mauro non c’era, che anche in base a quel che sapevano loro sarebbe dovuto essere lì già da qualche giorno. Chissà, decidemmo, si sarà perso in qualcuno dei suoi giri sconvolgenti. Arriverà. «Intanto puoi dormire nella sua stanza», mi dissero. E così feci. Mi sistemai tra le sue poche cose felici, tra i cylum e gli economici Feltrinelli della beat generation, e malgrado fossi al verde provai a godermi la vacanza in sua attesa.
Qualche tempo dopo gli lasciai un biglietto, qualcosa del tipo «bella sòla che sei, chissà in che trip ti sei perso, grazie comunque x l’ospitalità e alla prossima». Tornato in Italia, il fratello mi parlò del diario bruciacchiato ritrovato sotto le macerie e della storia che conteneva. La spiegazione assurda, ma più che plausibile – anche e me avevano fatto un sacco di storie a Dover perché in tasca avevo solo pochi spicci – del perché Mauro non fosse lì dove doveva stare.

Per saperne di più
Vi diciamo noi chi era Mauro Di Vittorio, le parole dei compagni e degli amici su Lotta continua dell’agosto 1980
L’ultimo depistaggio, la vera storia di Mauro Di Vittorio. Crolla il castello di menzogne messo in piedi da Enzo Raisi
Strage di Bologna, il diario di viaggio di Mauro Di Vittorio
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«Vi diciamo noi chi era Mauro Di Vittorio», le parole dei compagni e degli amici su Lotta continua dell’agosto 1980

Seconda parte/continua


Dopo l’inchiesta apparsa sul manifesto del 18 ottobre (leggi l’articolo) che scagiona Mauro Di Vittorio, morto il 2 agosto 1980, insieme ad altre 84 persone, per l’esplosione di una bomba piazzata nella sala d’aspetto di seconda classe della stazione di Bologna, dall’accusa lanciata 32 anni dopo i fatti dal parlamentare postfascista Enzo Raisi, di essere stato uno degli artefici di quella orrenda strage; dopo la pubblicazione del suo diario di viaggio (leggi qui), ritrovato in una borsa tra le macerie della stazione insieme alla sua carta d’identità che la violenza dell’esplosione aveva separato dal corpo; pubblichiamo la testimonianza di Luciano Disanto, amico e compagno di liceo del fratello minore Marcello che frequentava la casa di via Anassimandro a Torpignattara.

Le due lettere pubblicate su Lotta continua giovedi 21 e domenica 24 agosto 1980, che potete leggere qui sotto, e la testimonianza di Di Santo ci aiutano a tratteggiare alcuni aspetti fondamentali della personalità di Mauro Di Vittorio che dimostrano la sua incompatibilità con i sospetti avanzati dall’ex carabiniere missino, oggi deputato finiano, Enzo Raisi

di Paolo Persichetti

La testimonianza di Luciano Di Santo
Per Mauro Di Vittorio «la ricchezza stava nelle relazioni umane, nella scoperta degli altri. Era fatto così», racconta Luciano Di Santo, amico fraterno di Marcello, il fratello più piccolo di Mauro. E per descrivere meglio il personaggio racconta un episodio: «eravamo andati tutti e tre, io, Marcello e Mauro, al mio  paesino d’origine, Sante Marie, in provincia di L’Aquila, non lontano da Tagliacozzo. Ad un certo punto ci siamo persi Mauro, l’abbiamo cercato per ore. Niente, era scomparso, non si trovava finché l’abbiamo scovato con dei vecchieti del posto. Si era seduto al loro tavolo e discuteva con loro da ore davanti ad un bicchiere di vino, sorridente. Si era dimenticato di noi, del tempo».
«Per noi – continua ancora Luciano – era come un tutore, guardavamo affascinati quel suo modo di rivolgersi al mondo. Aveva lasciato la scuola, deciso di vivere viaggiando. Stava a Londra. Noi più giovani eravamo agguerriti, c’era il 77 in corso e lui raffreddava i nostri bollenti spiriti spiegandoci che le rivoluzioni non si facevano così, non con la violenza. Lui era convinto che i processi di mutamento dovessero passare per i cambiamenti personali, attraverso le relazioni. Se posso usare un’immagine presa dal cinema, dico che era una specie di Forrest Gump, uno spirito libero in cerca delle radici umane, semplici e genuine di ogni essere umano, una voce fuori dal coro».

Le lettere dei compagni e degli amici di Mauro Di Vittorio apparse su Lotta continua del 21 e del 24 agost0 1980

La doppia pagina uscita su Lotta continua giovedì 21 agosto 1980 con il diario di viaggio di Mauro Di Vittorio e una lettera di compagni del suo quartiere, Torpignattara

Qui sotto il testo di un’altra lettera, apparsa sempre su Lotta continua la domenica successiva, 24 agosto, nella pagina della corrispondenza

Lotta continua del 24 agosto 1980, pagina delle lettere (ocr)


Su Mauro Di Vittorio

L’ultimo depistaggio, la vera storia di Mauro Di Vittorio. Crolla il castello di menzogne messo in piedi da Enzo Raisi
Strage di Bologna, il diario di viaggio di Mauro Di Vittorio
Stazione di Bologna 2 agosto 1980, una strage di depistaggi
Strage di Bologna, la storia di Mauro Di Vittorio che Enzo Raisi e Giusva Fioravanti vorrebbero trasformare in carnefice
Strage di Bologna, in arrivo un nuovo depistaggio. Enzo Rais, Fli, tira in ballo una delle vittime nel disperato tentativo di puntellare la sgangherata pista palestinese
Daniele Pifano sbugiarda il deputato Fli Enzo Raisi: Mauro Di Vittorio non ha mai fatto parte del Collettivo del Policlinico o dei Comitati autonomi operai di via dei Volsci

Strage di Bologna: la vera storia di Mauro Di Vittorio. Crolla il castello di menzogne messo in piedi da Enzo Raisi e Valerio Fioravanti

L’inchiesta/prima parte – L’ultimo depistaggio sulla bomba esplosa alla stazione di Bologna il 2 agosto 1980 tira in ballo una delle vittime dell’eccidio: Mauro Di Vittorio, ventiquattrenne romano originario del popolare quartiere di Torpignattara. Pur di renderlo funzionale al teorema della pista palestinese i suoi accusatori non hanno esitato a riscrivere cinicamente il suo passato. Il grossolano tentativo di modificare quanto era già emerso 32 anni fa, nei giorni immediatamente successivi all’esplosione, fallisce clamorosamente di fronte alle testimonianze dei familiari di Di Vittorio e alla mole di materiali documentali esistenti

Paolo Persichetti
il manifesto 18 ottobre 2012

Mauro Di Vittorio, Lotta continua 21 agosto 1980

«Prendo un passaggio da un ragazzo tedesco che come salgo mi offre di accendere una pipetta di fumo mi tranquillizza un po’, ma alla seconda pipa nella quale c’erano minimo due grammi di nero mi sconvolgo in modo veramente pauroso. Con la terza la tensione è salita di molto e mi sento male, molto male. Ho un trip violentissimo e delle visioni allucinanti, e per fortuna sono molto stanco per cui mi metto a dormire. Quando il tipo mi sveglia sto meglio e ho fatto molta strada. La sera dopo un passaggio di un belga molto simpatico arrivo a Liegi. Sono contento perché la strada da fare è poca, per cui penso di arrivare il giorno dopo». (Leggi il testo integrale).

L’Europa in autostop
È il 30 luglio 1980, Mauro Di Vittorio sta attraversando l’Europa in autostop diretto a Londra, inconsapevole di avere pochi giorni di vita davanti a sé. Giunto a Dover gli inglesi lo rimandano indietro perché non ha con sé sufficienti garanzie di reddito. Costretto a rientrare in Italia, tre giorni più tardi salta in aria insieme ad altre 300 persone (85 morirono) nella sala d’aspetto di seconda classe della stazione di Bologna. Oltre venti chili di gelatinato e compound b, una micidiale miscela nascosta molto probabilmente in una valigia, mettono fine per sempre al suo ritorno.
Il racconto degli ultimi giorni di vita di Mauro è in un quaderno in cui sono annotate le tappe e gli incontri del viaggio, probabilmente scritto durante il rientro. Dopo 30 anni le pagine di questo diario sono diventate un affaire di Stato, un presunto mistero – secondo il parlamentare Enzo Raisi, già membro della commissione Mitrokhin – che sulla loro veridicità solleva dubbi insinuando che dietro vi sia una manipolazione per nascondere la responsabilità diretta, anche se involontaria, dello stesso Di Vittorio nella strage.

La fabbrica delle patacche ispirata dalla trama di un romanzo
Per il parlamentare di Fli, che sulla vicenda ha depositato un’interpellanza parlamentare urgente annunciando anche la prossima uscita di un libro, il giovane sarebbe stato un appartenente «all’area di Roma sud dell’Autonomia Operaia», incaricato di trasportare per conto di un gruppo palestinese, l’Fplp di George Habash in contatto con Carlos, la valigia poi esplosa per un incidente o forse addirittura per una trappola architettata all’insaputa del giovane. Episodio che, sempre secondo Raisi, andrebbe iscritto tra i retroscena del lodo Moro (l’accordo segreto tra Sismi e guerriglia palestinese per salvaguardare l’Italia da attentati in cambio del transito di armi), come un incidente di percorso o come una rappresaglia per la sua violazione l’anno precedente, quando davanti al porto di Ortona furono arrestati, perché trovati in possesso di un lanciamissili destinato alle forze palestinesi, tre esponenti dell’Autonomia romana e successivamente Abu Anzeh Saleh, responsabile dell’Fplp in Italia.
Raisi fonda i suoi sospetti sul fatto che nel fascicolo delle indagini, «non sembrerebbe risultare verbalizzato alcun rinvenimento di documento d’identità o agenda del Di Vittorio». Non è affatto vero ma al parlamentare non interessa al punto da sollevare ombre anche sulla scheda biografica presente nel sito web dell’Associazione familiari vittime del 2 agosto 1980, nella quale sono riportati alcuni brani virgolettati del diario.
A rafforzare i dubbi di Raisi ci sarebbero delle nuove testimonianze che riferiscono lo strano comportamento di una ragazza e di un uomo dalle sembianze mediorientali che avrebbero realizzato una ricognizione del cadavere di Di Vittorio all’obitorio di Bologna, fuggendo intimoriti prima che «il primario e il maresciallo presenti sul posto riuscissero a raggiungerli per identificarli».
Sarà soltanto una coincidenza ma il castello di sospetti avanzato da Raisi ricalca senza molta originalità la fantasiosa trama del romanzo Strage, di Loriano Machiavelli (circostanza segnalata dal sempre attento Ugo Maria Tassinari nel suo sito FascinAzione.info), uscito sotto pseudonimo e tra mille polemiche nel 1990 per Rizzoli e ripubblicato due anni fa da Einaudi, nel quale si narra la storia di una coppia di giovani che gravitano nell’area dell’Autonomia, si riforniscono di armi tra Parigi e la Cecoslovacchia fino a quando uno dei due salta in aria alla stazione di Bologna con una valigia di esplosivo attivata a sua insaputa da un sofisticato congegno trasportato da un’emissaria dei “poteri occulti”. Guarda caso anche qui la ragazza si reca all’obitorio con altri compagni.

Una forzatura di troppo
Il deputato post-missino, citando una testimonianza rilasciata 26 anni dopo i fatti dalla sorella maggiore di Di Vittorio, Anna, a Giovanni Fasanella e Antonella Grippo nel libro “I silenzi degli innocenti” (Bur, 2006), lascia intendere che la «strana telefonata» che informò i familiari del rinvenimento a Bologna della carta d’identità di Mauro, non proveniva dalla questura ma da probabili complici del giovane. Sempre Anna, alcuni anni fa concesse il perdono a Francesca Mambro e Valerio Fioravanti, membri dei Nar condannati per la strage, con una lettera che facilitò l’accesso della Mambro alla liberazione condizionale. Lo scorso 2 agosto, come se nulla fosse, anche Fioravanti, ormai libero, ha ipotizzato in un articolo apparso sul Giornale un ruolo dell’«autonomo» Di Vittorio nella strage. Ma su questo argomento, Anna Di Vittorio e suo marito Gian Carlo Calidori, anche lui colpito negli affetti dalla strage, non hanno intenzione di scendere in polemica. Ritengono che ognuno debba rispondere alla propria coscienza: «Chi siamo noi due per giudicare gli altri?». In realtà, come ci ha spiegato Anna Di Vittorio, «non è mai esistita nessuna telefonata misteriosa». D’altronde quanto riportato nel libro non trova riscontro nelle dichiarazioni rilasciate dagli altri familiari il giorno del riconoscimento ufficiale della salma di Mauro. Luciana Sica di Paese sera, in una cronaca apparsa il 13 agosto 1980, racconta le ore passate nella casa di via Anassimandro, nel quartiere romano di Torpignattara. Descrive il clima attonito di una famiglia che per dieci lunghi giorni non ha voluto credere ai ripetuti segnali che annunciavano la tragica fine del loro congiunto, come la telefonata della questura felsinea del 3 agosto che – forse per un eccesso di cautela – riferiva soltanto del generico ritrovamento della sua carta d’identità in città. La cronista raccoglie le prime dichiarazioni del fratello più piccolo, Marcello, e quelle della zia che ancora non riescono a capacitarsi di quella rimozione. Riferisce dell’interessamento dei vicini che invece hanno sentito in televisione la descrizione dei corpi ancora non identificati ed hanno subito capito; finalmente Anna dopo una telefona all’obitorio decide di partire verso la capitale emiliana insieme a due amici. E’ lunedì 11 agosto, giunta all’istituto di medicina legale entra, sono le nove di sera e all’interno c’è poca luce, i suoi amici non resistono all’odore, tutt’intorno ci sono resti di cadaveri, Anna «vede il corpo del fratello, esce e dice di non averlo riconosciuto». Chiama Marcello a Roma per sapere se Mauro avesse dei pantaloni di velluto grigio. La risposta non offre scampo: «E’ lui».

Il mistero inesistente del diario
A chiarire invece il mistero del diario ci pensa Lotta continua che il 21 agosto 1980 ne pubblica il testo integrale insieme a una lettera firmata «I compagni di Mauro». Nel resoconto del viaggio Di Vittorio racconta di essere partito da Roma in automobile insieme a un amico di nome Peppe, probabilmente il 28 luglio. Due giorni dopo alla frontiera di Friburgo i doganieri tedeschi trattengono la macchina di Peppe perché due anni prima era stato trovato senza biglietto sulla metropolitana di Monaco e non ha ancora pagato la multa. Mauro gli lascia tutti i suoi soldi e prosegue solo, in autostop, con la speranza di arrivare rapidamente a Londra, nello squat di Brixton dove viveva, per trovare altro denaro da inviare a Peppe. I numerosi dettagli riportati offrono facili possibilità di riscontro sulla veridicità intrinseca del racconto e se ancora non bastasse c’è l’importo del biglietto del treno non pagato da Mauro durante il viaggio di ritorno che arrivò alla famiglia, quasi come una beffa, dopo la morte. Ancora più interessante è la lettera dei suoi compagni, dalla quale si capisce che Mauro non era un militante e non era mai stato vicino all’Autonomia. Gli autori del testo sono ex di Lotta continua del circolo di Torpignattara, ancora aperto nel 1980 – come accadde anche per altre sedi del gruppo – punto di riferimento per una parte di quella fragorosa comunità politico-esistenziale che non si era rassegnata allo scioglimento dell’organizzazione quattro anni prima. Mauro, che dopo la morte prematura del padre aveva lasciato la scuola per aiutare la famiglia, era molto conosciuto, amato e stimato. I suoi compagni lo descrivono come «Una persona, un compagno inestimabile che sapeva dare tutto a tutti. Capace di dare se stesso in qualsiasi momento. La persona che tutti avrebbero voluto vicino per qualsiasi cosa: per un viaggio, per parlare di se stessi, della vita, delle contraddizioni e dei problemi che ci si presentano quotidianamente».

Un indiano metropolitano a Londra
La domenica successiva, sempre su Lotta Continua, appare un’altra lettera che è quasi una seduta pubblica d’autocoscienza. In polemica con i toni ritenuti troppo politici della prima, i suoi autori che si firmano «Alcuni amici di Mauro» sostengono che «per Mauro la parola compagno era diventata vuota e priva di senso come lo è diventata per noi, perché questa maturazione l’avevamo vissuta insieme e insieme avevamo smesso di illuderci e insieme avevamo visto crollare miti, ideologie e propositi rivoluzionari. Quindi, oggi, il minimo che possiamo fare è rispettare il suo modo di vedere, le sue disillusioni. Evitare quindi cose che suonano speculative, evitare analisi che lui non avrebbe fatto, evitare termini in cui non si riconosceva più, evitare inni alla rivolta di cui tutti conosciamo la falsità e la vuotezza».
C’è l’intera parabola di quel che accadde in un pezzo del movimento del 77 in queste frasi che annunciano l’epoca del grande riflusso, dove le grandi narrazioni cedono spazio a traiettorie più intimistiche e personali, in ogni caso situate a una distanza siderale dall’immagine del giovane dalla doppia vita con la valigia piena di esplosivo suggerita da Enzo Raisi. Mauro Di Vittorio con i suoi lunghi capelli neri che sembrano anticipare la moda dei dread, la barba folta e l’aspetto freak, era un’altra persona. Chi lo descrive oggi come l’autore della strage di Bologna lo ha ucciso una seconda volta.
«Quest’accusa – replica Gian Carlo Calidori – ci sta facendo vivere un’esperienza sgradevole, ma nonostante ciò continuiamo a confidare, come sempre, nelle Istituzioni della Repubblica Italiana».
E Anna aggiunge: «Nell’agosto del 1980 sono andata a Bologna. Ho visto il cadavere di mio fratello Mauro: era intatto; non carbonizzato; con una sola ferita, mortale, nel costato. Poi, ho incontrato la Polizia Ferroviaria che, molto umanamente, mi ha consegnato gli effetti personali di mio fratello, tra cui il diario di Mauro».

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L’ultimo viaggio di Mauro Di Vittorio

da Lotta Continua, 21 agosto 1980

Parto con la sensazione di dover fare qualcosa di buono. Tante idee per la testa, chissà cosa combino. Dopo una grattachecca e una controllatina alla macchina comincia il viaggio. Peppe vuol fare la strada più lunga, cioè l’Aurelia, per vedere se ci sono due ragazze del Belgio in Toscana, ma dopo quattro ore di viaggio arriviamo e non le troviamo. Peccato.
Decidiamo di proseguire anche se è notte e arriviamo a Milano. Qui la macchina comincia a fare i capricci e cambiata la candela andiamo un po’ avanti un po’ più nervosi. Il giorno dopo, alla frontiera con la Svizzera ci tengono fermi due ore, ma il morale è  intatto. Ogni tanto ci fermiamo per far riposare la  macchina. Peppe comunque è un ottimo guidatore e sono abbastanza sicuro. Andando avanti cominciano le difficoltà serie con la macchina perché la strada è in salita e c’è molto traffico. Comunque la Svizzera è bella, specialmente al passo del San Gottardo dove ancora c’è la neve e ci fermiamo a bere.
Dopo la Svizzera italiana c’è la Svizzera tedesca e in mezzo a un traffico tremendo e molte parolacce la sera siamo alla frontiera.
Già stavo pensando di arrivare il giorno dopo a Londra e tutto contento facevo i miei progetti, quando è successo l’imprevisto. I doganieri tedeschi dopo averci perquisito la macchina e visto i documenti arrestano Peppe perché due anni prima a Monaco non aveva  pagato la metropolitana.
Peppe è molto abbattuto perché non gli spiegano che cosa gli faranno, allora decidiamo che io vado in autostop ed eventualmente gli mando dei soldi da Londra. La macchina la lasciamo alla frontiera e Peppe viene portato via. Rimango in attesa per tre ore aspettando invano il suo ritorno insieme a due ragazze tedesche che mi offrono della cioccolata dopo due giorni che non mangio altro.
La mattina parto e prendo subito un passaggio in una Mercedes che però mi lascia fuori dell’autostrada. Sono abbastanza giù, anche perché qui parlano solo tedesco e per capire è un vero problema. Comunque sono abbastanza fortunato e cammino abbastanza velocemente, poi prendo un passaggio da un ragazzo tedesco che come salgo mi offre di accendere una pipetta di fumo mi tranquillizza un po’, ma alla seconda pipa nella quale c’erano minimo due grammi di nero mi sconvolgo in modo veramente pauroso. Con la terza la tensione è salita di molto e mi sento male, molto male. Ho un trip violentissimo e delle visioni allucinanti, e per fortuna sono molto stanco per cui mi metto a dormire. Quando il tipo mi sveglia sto meglio e ho fatto molta strada.
La sera dopo un passaggio di un belga molto simpatico arrivo a Liegi. Sono contento perché la strada da fare è poca, per cui penso di arrivare il giorno dopo.
Questa mattina mi sono svegliato bene e dopo un caffé mi sono messo in marcia. Un passaggio dopo l’altro e sono arrivato a Ostenda. Mi permetto pure una colazione e all’una prendo il traghetto. Londra, eccomi. Faccio un giro sul traghetto e tre ore passano subito. Dover con le sue bianche scogliere mi sta di fronte.

Il racconto del viaggio di Mauro Di Vittorio apparso su Lotta continua el 21 agosto 1980. Il diario venne consegnato dalla polizia ferroviaria ad Anna Di Vittorio, sorella di Mauro, dopo il riconoscimento del corpo

Leggi (qui) l’inchiesta che smonta le accuse contro Mauro Di Vittorio lanciate dal parlamentare finiano Enzo Raisi

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