Quando lo Stato ruba i bimbi Rom

Amatrice: Non riescono a riavere il figlio sequestrato per sbaglio dai carabinieri
Nonni scambiati per sciacalli perché sono Rom. E ora la burocrazia blocca il ragazzino

Falsi sciacalli

Nella tarda mattina del 29 agosto due pacifici signori romeni, di origine rom – Ion e Letizia, di 45 anni – sono stati fermati, vicino ad Amatrice, dai carabinieri mentre erano su un auto assieme al nipotino – si chiama Mario Jonut Marcelaru – di sei anni e mezzo.
Ne ha parlato, qualche giorno fa, Paolo Persichetti. Sono stati arrestati, perché considerati “sciacalli”. Secondo la versione delle forze dell’ordine – ripresa prontamente da tutte le agenzie stampa – la coppia di rom sarebbe gravata da numerosi precedenti penali, furti e altri reati contro il patrimonio. Ed è accusata di vari furti nelle abitazioni distrutte dal terremoto. Inoltre, all’interno della macchina, sarebbero stati rinvenuti degli oggetti utilizzati per effettuare gli scassi.
L’accusa contro di loro però si è sgretolata durante il rito per direttissima: arnesi da scasso si sono rivelati dei kit di soccorso presenti in ogni autovettura (diciamo che servivano a riparare le gomme). I precedenti penali non esistevano. Non solo. Nel corso dell’udienza la coppia, con molte difficoltà espressive nonostante la presenza dell’interprete, ha dichiarato di non sapere niente del terremoto. Passavano di lì per caso, diretti a Roma. E dentro la loro auto c’era tutto il necessario per potersi vestire, dormire, cucinare e i giocattoli per far passare il tempo al bambino. Tra i quali una pericolosissima pistola giocattolo di plastica.
Ma nonostante la loro evidente innocenza, la notizia del loro fermo ha scatenato indignazioni a non finire.
Primo tra tutti il leader della Lega Matteo Salvini che con un post su facebook (clicca qui) aveva deciso di mettere alla gogna la coppia di rom, utilizzando toni durissimi: «Ecco il video con i due sciacalli – scrive Salvini -, pregiudicati rumeni (con figlioletto al seguito…), trovati ad Amatrice con l’auto piena di refurtiva, denaro, attrezzi da scasso. Pare si fingessero turisti sfollati». Il suo post finisce con una chiosa: «Vergognatevi, fate schifo! ». Un post che ha scatenato commenti razzisti anche molto violenti.
Ma il calvario dei due poveri romeni, non è finito con la scarcerazione. Quando sono stati scarcerati, l’amara sorpresa: non hanno più ritrovato il nipotino perché era stato affidato ai servizi sociali di Rieti che nel frattempo lo avevano trasferito a quelli di Roma.
Sono due nonni, Ion e Letizia, che erano giunti in Italia in vacanza e durante il viaggio avevano programmato di andare a visitare una parente a Roma. Hanno portato con sé il nipotino e avevano anche una procura dei genitori. Quindi tutto regolare. Nel momento dell’arresto dei nonni, il bambino è stato sistemato in una comunità a Rieti, dopodiché la procura ha passato tutto al tribunale per i minorenni di Roma e il bambino è stato trasferito in una casa famiglia di Acilia, vicino a Ostia.
I genitori naturali sono intervenuti personalmente con istanza per poter riavere il figlio. La mamma è una giovane donna di 24 anni con un viso da adolescente, di nome Claudia Costantin, lavora come donna di pulizie e ha avuto il bimbo a 18 anni. Il papà si chiama Gabriel, anche lui ventiquattrenne, lavorava in una fabbrica per il legno ma ora ha perso il lavoro per venire in Italia a recuperare il figlio. Giunti in Italia sono ospiti dei parenti che risiedono nel campo rom attrezzato di Ponte Galeria. C’è poco spazio e, assieme ai nonni del piccolo Mario, dormono nella Passat da settimane.
Per tutto questo tempo, ovvero dal 29 agosto, hanno avuto la possibilità di vedere il loro figlio una sola volta. Soltanto venerdì 23 settembre. Tutto dovuto a lungaggini burocratiche: dopo aver letto la relazione dei servizi sociali, il magistrato aveva autorizzato ma con infinite lentezze determinate dall’assenza dell’assistente sociale e dalla necessità di una traduzione del certificato di nascita. I genitori hanno così potuto abbracciare una sola volta il loro figlio e hanno espresso molta preoccupazione circa lo stato psichico del bambino: era definito vivace anche dagli assistenti che l’avevano perso in incarico, ma ai genitori è apparso “spento”.
La prima udienza era stata programmata per giovedì 22 settembre, ma per mancanza dell’interprete è stata rinviata a domani. L’udienza è stata istruita dal giudice per l’affidamento provvisorio mettendo in discussione la capacità genitoriale del papà e della mamma perché non avrebbero dovuto mandare in vacanza il figlio con i nonni. E perché mai, visto che i nonni sono risultati essere due bravissime persone vittime di calunnia?

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I capri espiatori del sisma e la paura agitata dai media

Falsi sciacalli

Oltre a provocare vittime e distruzione i terremoti sembrano suscitare il malsano bisogno di capri espiatori. Tra le pieghe del dolore e dello strazio di chi ha perso figli, genitori, parenti o amici e ha visto la propria esistenza sbriciolarsi sotto il crollo della propria casa, perdendo tutto ma forze più di ogni altra cosa le tracce della propria memoria, ciò che compone l’io di ogni persona, ci sono anche delle vittime “collaterali”. L’allarme sciacalli ne ha provocate diverse in questi giorni. Alimentata dai media con storie costruite a tavolino fin dalle prime ore successive al sisma, la paura dello sciacallo si è insinuata subdolamente, complice anche l’atteggiamento di alcune forze di polizia che invece di infondere sicurezza e tranquillità nella popolazione scossa dalla tragedia hanno moltiplicato paure, diffuso dicerie come quella del falso prete che si aggira tra le frazioni colpite nascondendo sotto l’abito talare gli ori e gli argenti sottratti dalle case danneggiate. Abbiamo tutti letto la storia del pregiudicato napoletano che avrebbe preso il treno fino a Roma per poi recarsi ad Amatrice ed essere qui scoperto, non si capisce come e dove. Una vicenda confezionata ad arte al punto che lo stesso sindaco di Napoli aveva dichiarato che il comune partenopeo si sarebbe portato parte civile contro l’uomo arrestato. Peccato però che nessuno fosse finito in manette.

A sole 24 ore di distanza dal terremoto un quotidiano del Nord titolava «Maledetti sciacalli, stanno già rubando tutto», narrando di tre arresti, tra cui ovviamente l’immancabile «nomade», avvenuti tra le rovine di Pescara del Tronto, tanto che la Questura di Rieti è dovuta intervenire con un comunicato nel quale si riferiva che «allo stato non risulta alcun episodio di illegittima introduzione di persone nelle abitazioni evacuate, tantomeno di furti perpetrati». Sono stati eseguiti – proseguiva il testo – controlli su persone sospette o «semplicemente presenti all’interno di aree interdette o in procinto di entrarvi», ma tutte le verifiche «hanno avuto esito negativo e le persone sono state indirizzate ai competenti organismi di Protezione civile o semplicemente allontanate».

Ovviamente il comunicato è servito solo a quei pochi che lo hanno letto, non poteva certo arginare una psicosi da trauma se poi sul terreno c’è chi sobilla il sospetto, attrezza campi che sembrano ghetti, infantilizza le persone. La ricerca del capro espiatorio diventa allora un espediente rassicurante, una tecnica di governo del territorio che compatta le comunità disorientate verso un nemico esterno. Una ong francese ha rischiato di tornare indietro con il suo carico di preziose tende se non fosse stato per il buon senso di alcuni militari. L’esercito, oltre ai Vigili del fuoco sempre fedeli al loro motto ubi dolor ibi vigiles, ha dimostrato sul terreno di essere il corpo con la mentalità meno militare di tutti. Non stupisce dunque se due volontari di Platì, arrivati ad Amatrice con i propri mezzi e tanta solidarietà – come hanno raccontato a questo giornale – abbiano pagato il prezzo di questa fobia: accusati di esser dei potenziali sciacalli dopo le grida di una donna anziana che non li conosceva, nonostante lavorassero all’interno del campo messo in piedi dalla protezione civile, sono stati allontanati da Amatrice con il foglio di via.

Chi scrive ha assistito ad un episodio dal risvolto grottesco: l’inseguimento da parte di sei motociclisti dei carabinieri di un furgone, avvistato nei pressi della frazione di Preta, che poi si è rivelato trasportare una salma. Circostanza significativa del clima fobico, di una frenetica caccia alle streghe del tutto inutile, certamente non rispondente alle necessità degli sfollati rimasti a presidiare le tante frazioni che circondano Amatrice e che si aspettano dalle autorità ben altro: l’arrivo di bagni, di unità docce, di tende e case di legno per affrontare l’inverno, non di pattuglie eccitate dalla caccia ai fantasmi.

Non hanno avuto la stessa fortuna dei volontari di Platì i due cittadini romeni di etnia Rom fermati nella tarda mattinata del 29 agosto con l’infamante accusa di essere degli sciacalli. In un comunicato diffuso dai carabinieri si legge che una pattuglia del nucleo radiomobile di Roma, venuta in rinforzo nelle zone terremotate, avrebbe «sorpreso nella frazione di ‘Preta’ del comune di Amatrice, un uomo ed una donna rispettivamente di 44 e 45 anni, che a bordo di un’autovettura Wolkswagen Passat con targa tedesca, avevano perpetrato poco prima, alcuni furti nelle abitazioni distrutte dal terremoto». Dopo un’accurata perquisizione – riferiscono ancora i militi – sugli stessi e sulla citata autovettura, «venivano rinvenuti svariati capi di abbigliamento, alcuni oggetti domestici, la somma contante di oltre 300 euro, una pistola giocattolo sprovvista del prescritto “tappo rosso” ed alcuni arnesi da scasso. I soggetti, entrambi di nazionalità rumena e gravati da numerosi precedenti penali per reati contro il patrimonio, sono stati tratti in arresto con l’accusa di furto aggravato e trattenuti nelle camere di sicurezza dell’arma, in attesa della relativa convalida da parte dell’autorità giudiziaria».

La versione dei fatti fornita dai carabinieri ha sollevato tuttavia alcuni dubbi, intanto perché il fermo di Ion C. e Letizia A., che a bordo della loro macchina trasportavano anche il nipotino di 7 anni, non è avvenuto nella frazione di Preta ma lungo la strada regionale 577 del lago di Campotosto, in uno slargo molto ampio nei pressi del bivio per Retrosi. Dunque in un luogo lontano da centri abitati. La scena è stata vista da chi scrive, insieme ad altre due persone, che dalla frazione di Capricchia, immediatamente sotto Preta, scendevano in macchina verso Amatrice. La Passat era ferma con il portellone posteriore alzato e gli stracci contenuti all’interno gettati a terra. L’uomo e la donna erano accanto al carabiniere che controllava i documenti. L’autorità giudiziaria dopo aver confermato il fermo ha disposto la scarcerazione dei due, sottoponendoli alla misura cautelare del divieto di entrare nelle province terremotate, rinviando l’esame sul merito delle accuse al prossimo 20 ottobre. Nel corso del rito per direttissima, ha spiegato l’avvocato Luca Conti, presidente dell’ordine degli avvocati di Rieti che ha assunto la difesa dei due romeni, è emersa l’inconsistenza dei capi di accusa (furto di biancheria e capi di abbigliamento, tutti di scarso valore) sui quali anche il pubblico ministero ha evitato di insistere. Gli arnesi da scasso si sono rivelati nient’altro che il kit di soccorso presente in ogni autovettura e i molteplici precedenti sono risultati inesistenti: la donna è sconosciuta ai servizi di polizia mentre l’uomo aveva solo una vecchia denuncia per possesso di arma impropria. Niente reati specifici come furti o rapine. I due non parlano una parola di italiano, la donna è totalmente analfabeta. Nel corso della udienza la coppia, con molte difficoltà espressive nonostante la presenza dell’interprete, ha dichiarato di essere ignara del terremoto e che stava soltanto traversando la zona. In macchina avevano tutto il necessario per dormire: un piccolo materasso, dei cuscini, coperte, biancheria varia e vestiti, alcuni piatti, bicchieri, posate, e i giocattoli del nipotino (tra cui la pistola di plastica), materiale povero, privo di qualsiasi valore. Salta agli occhi l’assenza di preziosi, gioielli, argenteria, materiale tecnologico… L’uomo aveva in tasca appena 305 euro, il minimo indispensabile per affrontare un viaggio. A Preta, come nella altre frazioni circostanti, nessuno ha lamentato furti.

Come se non bastasse, la coppia dopo essere stata scarcerata non ha più ritrovato il nipotino, inizialmente affidato ai servizi sociali di Rieti che nel frattempo lo avevano trasferito a quelli di Roma. Il terremoto può contare così un altro disperso. L’avvocato Conti ha cercato di sollecitare l’intervento urgente dell’ambasciata romena affinché il bimbo venisse restituito ai nonni, inoltre ha tenuto a precisare che il consiglio dell’ordine degli avvocati di Rieti ha promosso una raccolta di fondi i cui proventi verranno destinati ad opere di ricostruzione di edifici di interesse pubblico nei territori colpiti dal sisma (conto corrente denominato ”In aiuto delle popolazioni colpite dal sisma” Iban: IT37O0306914601100000005558).

No tav, No muos, sindacati di base e centri sociali lanciano la campagna per l’amnistia sociale. Aderisci anche tu!

manifesto 20130721nazionale-1Ormai siamo all’emergenza. L’intensità e la capillarità degli attacchi repressivi e preventivi mossi contro il semplice dissenso sociale crescono ogni giorno di più. Tutto ciò avviene mentre al deficit di legittimazione delle rappresentanze istituzionali si aggiunge anche la loro desovranizzazione di fronte all’azione di organismi sovranazionali come la Troika o le agenzie di rating che programmano il “pilota automatico”. Quanto più gli esecutivi sono svuotati di poteri reali (i parlamenti fanno parte del decoro da tempo), tanto più si incrementano i margini di intolleranza dei governi e si riducono gli spazi di agibilità politica per chiunque è costretto a dover subire le conseguenze di drastiche politiche economiche e sociali supportate da minacciose politiche penali. Sì, perché a quanto pare l’unica materia sovrana rimasta nelle mani dei governi è lo strumento della penalità. Perseguo, giudico e condanno, ergo come Stato nazionale esisto ancora.
E’ chiaro che di fronte ad una situazione del genere ogni forma di azione collettiva dovrà misurarsi, volente o nolente, con questo tipo di problema. Lo sa bene persino uno come Beppe Grillo che fresco di un 25% di consensi elettorali, cioè 2/3 di quelli espressi, ha dovuto rinunciare ad un presidio davanti a Montecitorio, vivamente sconsigliato dai vertici del Viminale. Un disegno di legge depositato in parlamento mira a sanzionare pesantemente ogni forma di contestazione sonora di piazza. Quanto basta per capire qual è il clima.
Se si vuole tornare a far respirare la società bisogna allargare il più possibile le maglie che la contengono. Non c’è critica dell’attuale società capitalista che possa aver successo senza una contemporanea rimessa in discussione dell’apparato penale che la sostiene. Riassorbire la legislazione d’emergenza nella quale si annidano le tipologie di reato più insidiose, ma ancor di più la forma mentis che ispira l’azione della magistratura, ovvero l’idea che la materia sociale, l’azione collettiva, sia una questione di ordine pubblico se non di chiara eversione. Per farlo bisogna scardinare l’impalcatura giustizialista costruita negli ultimi decenni. Da qui l’esigenza, condivisa oggi, di aprire una vertenza per l’indulto e l’amnistia in favore dei reati politici, sociali e per sfollare le carceri.

Clicca qui per il testo del manifesto che lancia la campagna per l’amnistia sociale

Chi è su facebook la può trovare cliccando qui
Qui sotto le condivisioni pervenute fino al 16 agosto 2013

Adesioni collettive
ACAD, Associazione contro abusi in divisa onlus, Acoustic Impact, gruppo musicale, Action Diritti in Movimento, Assalti Frontali, gruppo musicale, Assemblea Aversana per l’Autonomia, Associazione Senzaconfine, Roma, Associazione Solidarietà Proletaria (ASP), Astroestella Senza Fini e… Confini, ATTAC Italia, Azione antifascista Teramo, Banda Bassotti, gruppo musicale, Banda Jorona, gruppo musicale Baracca Sound, Blocchi Precari Metropolitani Roma, Centro Donato Renna-Liguria, Centro sociale 28 maggio, Rovato (BS), Circolo Che Guevara PRC Roma, COBAS PT – CUB, Collettivo Militant Roma, Comitato 3e32 L’Aquila, Comitato Amici e Familiari Davide Rosci, Comitato Antirazzista, COBAS – Palermo, Comitato di Quartiere Torbellamonaca Roma, Comitato Pace di Robassomero (TO), Comitato Piazza Carlo Giuliani Genova, Communia, Spazio di mutuo soccorso Roma, Confederazione dei Comitati di Base (COBAS), Confederazione COBAS Perugia, Confederazione COBAS Pisa, Confederazione COBAS Terni, Confederazione Unitaria di Base (CUB) Piemonte, Consiglio Metropolitano di Roma, Coordinamento regionale dei Comitati NoMuos, Coordinamento Regionale USB Umbria, CPOA Rialzo Cosenza, CSA Depistaggio Benevento, CSA Germinal Cimarelli, Terni, CSA Jan Assen (ex Asilo politico) Salerno, CSOA Angelina Cartella Reggio Calabria, CSOA La Strada Roma, CUB Scuola Università Ricerca, Ex Colorificio Liberato/Progetto Rebeldia Pisa, Fuori binario-giornale di Strada dei Senza Dimora di Firenze, Ginko (Villa Ada Posse) & Shanty Band gruppo musicale, ISM – Italia, Ital Noiz Dub System, gruppo musicale, L@p Asilo 31- Laboratorio per l’Autorganizzazione Popolare Asilo 31 Benevento, Lavoratori Autorganizzati Ministero dell’Economia e delle Finanze, Legal Team Italia, Liberi dall’ergastolo, LOA Acrobax, Roma, Madri per Roma città aperta, Movimento Disoccupati Autorganizzati, CSOA Ex Macello Acerra (NA), Movimento No Tav, Movimento No Tem, Occupazioni Precari Studenti OPS area Castelli romani, Officina Rebelde Castell’Umberto (ME), Oltremedia news, Osservatorio sulla repressione, P-Carc, PMLI, Radici nel cemento, gruppo musicale, Radio Maroon, gruppo musicale, RAT-Rete Antifascista Ternana, Redazione di Zeroviolenzadonne.it, Redgoldgreen, gruppo musicale, Rete Antirazzista Catanese, Rete Bresciana Antifascista, Rete 28 aprile Fiom-opposizione Cgil, Riscossa proletaria per il comunismo Torino, Romattiva.org, Senza calma di vento Perugia, Sindacato Lavoratori in Lotta (SLL), Spazio Popolare Occupato S. Ermete Pisa, Terradunione, gruppo musicale,Tribù Acustica, gruppo musicale, Unione Sindacale di Base (USB), USB Bergamo, Wu Ming – scrittori, 99 Posse gruppo musicale

Adesioni individuali
Agrippino Gervasio (archeologo Napoli), Alessandra Magrini (AttriceContro Roma), Alessandra Schia (studentessa Napoli), Alessandro Dal Lago (Università di Genova), Alessia Montuori (Roma), Alfredo Tradardi (coordinatore ISM-Italia), Alfonso Di Stefano Comitato di base NoMuos/NoSigonella (Ct), Alfonso Perrotta (Roma), Amedeo Ciaccheri (Consigliere Municipio VIII Roma), Andrea Bianco (impiegato Napoli), Andrea Bitonto, Andrea Di Frenna (Napoli), Angela Scicchitano Villa San Giovanni (RC), Anna Balderi Ladispoli (RM), Anna Giannattasio (insegnante, Napoli), Anna Maria Bruni (giornalista, Roma), Anna Maria Liggeri (educatrice, Milano), Antimo Padula Casandrino (NA), Antonino Campenni (ricercatore Università della Calabria), Antonio Esposito (Napoli), Antonio Gentile Torre del Greco (NA), Antonio Molino (Napoli), Antonio Musella (giornalista Napoli), Assia Petricelli, Barbara Breyhan (danzatrice Sesto Fiorentino (FI), Barbara Chiocca (ambulante Napoli), Beppe Corioni, Bianca «la Jorona» Giovannini musicista, Carlo Bachschmidt (consulente tecnico processi G8), Carlo Curti (Lugano Svizzera), Carlo Giampetraglia (Napoli), Carlo Pellegrino (medico chirurgo Roma), Carlo Tompetrini, Carlotta Pappalardo studentessa Castellammare di Stabia (NA), Carmelo Eramo (insegnante), Carmine Lettieri Acerra (NA), Caterina Calia (avvocato Roma), Caterina Elendu (Napoli), Cesare Antetomaso (Giuristi Democratici), Checchino Antonini (giornalista di Liberazione), Chiara Morello (educatore professionale), Cinzia Ponticiello insegnante S. Antimo (NA), Ciro Polverino (operaio Napoli), Claudia Soprano (studentessa Napoli), Claudia Urzi (insegnante), Claudio Dionesalvi (insegnante), Claudio Guidotti (Roma), Claudio Infantino (insegnante), Cosimo Maio (Benevento), Cristiano Armati (scrittore), Cristiano Carloni (studente Università di Urbino), Cristiano Petricciolo (studente Napoli), Cristina Povoledo (Roma), Daniela Frascati (scrittrice), Daniela Pantaloni Comitato pace Robassomero (TO), Daniele Catalano, Daniele Sepe (musicista), Danilo Bianconi (Roma), Dario Rossi (avvocato Genova), David Augscheller (insegnante Merano), Davide Gennaro, Davide Rosci (detenuto per i fatti del 15 ottobre 2011), Davide Steccanella (avvocato Milano), Demetrio Conte (Counselor ed educatore Milano), Diana Lepre (disoccupata Napoli), Don Vitaliano Della Sala (parroco), Donatella Quattrone (blogger), Egle Piccinini (Asti), Elena Giuliani (sorella di Carlo Giuliani), Emanuela Donat Cattin (Milano), Emanuela Sangermano (studentessa Caserta), Emanuele Di Giulio Cesare (operaio Napoli), Emanuele Fiore (studente Napoli), Emidia Papi (USB), Enrico Contenti (ISM-Italia), Enrico Di Cola, Enrico Triaca, Roma (torturato dallo Stato nel 1978 e condannato per calunnia alle “forze dell’ordine”), Ermanno Gallo, scrittore, cittadino, Erri De Luca (scrittore), Fabio Giovannini (scrittore e autore televisivo), Federica Limpani Frattamaggiore (NA), Federico Mariani (Roma), Federico Micali, Francesca Panarese (Benevento), Francesco Barilli (coordinatore reti-invisibili.net), Francesco Caruso (ricercatore Università della Calabria), Francesco De Angelis (artigiano Napoli), Francesco De Vita (Roma), Francesco Giordano (Milano), Francesco Romeo (avvocato Roma), Francesco Verrengia (studente Napoli), Franca Gareffa (Dipartimento sociologia Università della Calabria), Franco Coppoli (COBAS Terni), Franco Iachetta (anarchico), Franco Piperno (docente di Fisica Università della Calabria), Fulvia Alberti (regista), Gabriella Grasso (Milano), 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D’Erme (Roma), Paola Staccioli (Osservatorio sulla repressione Roma), Paolo Caputo (ricercatore Università della Calabria), Paolo Di Vetta (Blocchi Precari Metropolitani), Paolo Persichetti (insorgenze.wordpress.com), Paolo “Pesce” Nanna (comico periferico), Pasquale Vilardo (avvocato Roma), Pierpaolo Surbera (Napoli), Pietro Saitta (ricercatore in Sociologia Università di Messina), Pino Cacucci (scrittore), Rasta Blanco (musicista), Renato Rizzo (segreteria romana Unione Inquilini), Riccardo Infantino (insegnante),Roberta Fusco (Napoli), Roberta Rivieccio (Torre del Greco (NA), Roberto Colarullo (Comitato pace Robassomero (TO), Roberto Ferrucci (scrittore), Roberto Giardelli, Roberto Niro, Roberto Vassallo (Direttivo CGIL Milano RSU FIOM Almaviva Milano), Rodolfo Graziani (Terni), Rosandra Papaleo, Ruggero D’Alessandro (Lugano Breganzona, Svizzera), Salvatore Chiosi (Napoli), Salvatore Palidda (Università di Genova), Serge Gaggiotti (Rossomalpelo), cantautore, Sergio Bellavita (portavoce nazionale Rete 28 aprile Fiom), Sergio Bianchi (casa editrice DeriveApprodi), Sergio Riccardi (Roma), Silvia Baraldini (Roma), Silvio Arcolesse (Campobasso), Simona Musolino (scrittrice), Simonetta Crisci (avvocato Roma), Sonia Verzegnassi (Roma), Stefania Di Liddo (operatrice sociale Bisceglie (BA), Stefano Ciccantelli (coordinatore circolo SEL Pineto (TE), Stefano Guazzo (disoccupato Napoli), Stefano Poloni (Milano), Stefano Ulliana (insegnante scuola pubblica Codroipo (UD), Tamara Bartolini (attrice), Tatiana Montella (avvocato), Tiziano Loreti (Bologna), Ugo Giannangeli (avvocato penalista Milano), Valentina Bucci, libraia (Ancona), Valentina Perniciaro (blogger baruda.net), Valentino Bombardieri (Brescia), Valeria Nocera (Napoli), Valerio Evangelisti (scrittore Bologna), Valerio Mastandrea (attore), Valerio Monteventi, Bologna, Vincenzo Brandi (ingegnere ISM-Italia), Vincenzo Miliucci (COBAS Roma), Vittorio Agnoletto, Wsw Wufer (musicista)

Un’amnistia per i reati sociali

manifesto 20130721nazionale-1Biblioteca dell’amnistia
Amedeo Santosuosso e Floriana Colao, Politici e Amnistia, Tecniche di rinuncia alla pena per i reati politici dall’Unità ad oggi, Bertani editore, Verona 1986, pp. 278
Stéphan Gacon, L’Amnistie, Seuil, Paris 2002, pp. 424
L’Amnistia Togliatti, Mimmo Franzinelli, Mondadori, Milano 2006, pp. 392
Une histoire politique de l’amnistie, a cura di Sophie Wahnich Puf, Parigi, aprile 2007, pp. 263

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Amnistia per le lotte sociali, il manifesto dei movimenti

Manifesto per l’amnistia sociale

genova02_tuttiliberiNegli ultimi mesi, fra alcune realtà sociali, politiche e di movimento, ma anche singoli attivisti e avvocati, è nato un dibattito sulla necessità di lanciare una campagna politica sull’amnistia sociale e per l’abrogazione di quell’insieme di norme che connotano l’intero ordinamento giuridico italiano e costituiscono un vero e proprio arsenale repressivo e autoritario dispiegato contro i movimenti più avanzati della società. Da tempo l’Osservatorio sulla repressione ha iniziato a effettuare un censimento sulle denunce penali contro militanti politici e attivisti di lotte sociali. Ora abbiamo la necessità, per costruire la campagna, di un quadro quanto più possibile completo, che porterà alla creazione di un database consultabile on-line. Ad oggi sono state censite 17 mila denunce.
Il nuovo clima di effervescenza sociale degli ultimi anni, che non ha coinvolto solo i tradizionali settori dell’attivismo politico più radicale ma anche ampie realtà popolari, ha portato a una pesante rappresaglia repressiva, come già era accaduto nei precedenti cicli di lotte. Migliaia di persone che si trovavano a combattere con la mancanza di case, la disoccupazione, l’assenza di adeguate strutture sanitarie, la decadenza della scuola, il peggioramento delle condizioni di lavoro, il saccheggio e la devastazione di interi territori in nome del profitto, sono state sottoposte a procedimenti penali o colpite da misure di polizia. Così come sono stati condannati e denunciati militanti politici che hanno partecipato alle mobilitazioni di Napoli e Genova 2001 e alle manifestazioni del 14 dicembre 2010 e del 15 ottobre 2011 a Roma.
Il conflitto sociale viene ridotto a mera questione di ordine pubblico. Cittadini e militanti che lottano contro le discariche, le basi militari, le grandi opere di ferro e di cemento, come terremotati, pastori, disoccupati, studenti, lavoratori, sindacalisti, occupanti di case, si trovano a fare i conti con pestaggi, denunce e schedature di massa. Un “dispositivo” di governo che è stato portato all’estremo con l’occupazione militare della Val di Susa. Una delle conseguenze di questa gestione dell’ordine pubblico, applicato non solo alle lotte sociali ma anche ai comportamenti devianti, è il sovraffollamento delle carceri, additate anche dalla comunità internazionale come luoghi di afflizione dove i detenuti vivono privi delle più elementari garanzie civili e umane. Ad esse si affiancano i CIE, dove sono recluse persone private della libertà e di ogni diritto solo perché senza lavoro o permesso di permanenza in quanto migranti, e gli OPG, gli ospedali di reclusione psichiatrica più volte destinati alla chiusura, che rimangono a baluardo della volontà istituzionale di esclusione totale e emarginazione dei soggetti sociali più deboli.
Sempre più spesso dunque i magistrati dalle aule dei tribunali italiani motivano le loro accuse sulla base della pericolosità sociale dell’individuo che protesta: un diverso, un disadattato, un ribelle, a cui di volta in volta si applicano misure giuridiche straordinarie. Accentuando la funzione repressivo-preventiva (fogli di via, domicilio coatto, DASPO), oppure sospendendo alcuni principi di garanzia (leggi di emergenza), fino a prevederne l’annichilimento attraverso la negazione di diritti inderogabili. È ciò che alcuni giuristi denunciano come spostamento, sul piano del diritto penale, da un sistema giuridico basato sui diritti della persona a un sistema fondato prevalentemente sulla ragion di Stato. Una situazione che nella attuale crisi di legittimazione del sistema politico e di logoramento degli istituti di democrazia rappresentativa rischia di aggravarsi drasticamente.
Non è quindi un caso che dal 2001 a oggi, con l’avanzare della crisi economica e l’aumento delle lotte, si contano 11 sentenze definitive per i reati di devastazione e saccheggio, compresa quella per i fatti di Genova 2001, a cui vanno aggiunte 7 persone condannate in primo grado a 6 anni di reclusione per i fatti accaduti il 15 ottobre 2011 a Roma, mentre per la stessa manifestazione altre 18 sono ora imputate ed è in corso il processo.
Le lotte sociali hanno sempre marciato su un crinale sottile che anticipa legalità future urtando quelle presenti. Le organizzazioni della classe operaia, i movimenti sociali e i gruppi rivoluzionari hanno storicamente fatto ricorso alle campagne per l’amnistia per tutelare le proprie battaglie, salvaguardare i propri militanti, le proprie componenti sociali. Oggi sollevare il problema politico della legittimità delle lotte, anche nelle loro forme di resistenza, condurre una battaglia per la difesa e l’allargamento degli spazi di agibilità politica, può contribuire a sviluppare la solidarietà fra le varie lotte, a costruire la garanzia che possano riprodursi in futuro. Le amnistie sono un corollario del diritto di resistenza. Lanciare una campagna per l’amnistia sociale vuole dire salvaguardare l’azione collettiva e rilanciare una teoria della trasformazione, dove il conflitto, l’azione dal basso, anche nelle sue forme di rottura, di opposizione più dura, riveste una valenza positiva quale forza motrice del cambiamento.
Nel pensiero giuridico le amnistie hanno rappresentato un mezzo per affrontare gli attriti e sanare le fratture tra costituzione legale e costituzione materiale, tra la fissità e il ritardo della prima e l’instabilità e il movimento della seconda. Sono servite a ridurre la discordanza di tempi tra conservazione istituzionale e inevitabile trasformazione della società incidendo sulle politiche penali e rappresentando momenti decisivi nel processo d’aggiornamento del diritto. È stato così per oltre un secolo, ma in Italia le ultime amnistie politiche risalgono al 1968 e al 1970.
Aprire un percorso di lotta e una vertenza per l’amnistia sociale – che copra reati, denunce e condanne utilizzati per reprimere lotte sociali, manifestazioni, battaglie sui territori, scontri di piazza – e per un indulto che incida anche su altre tipologie di reato, associativi per esempio, può contribuire a mettere in discussione la legittimità dell’arsenale emergenziale e fungere da vettore per un percorso verso una amnistia generale slegata da quegli atteggiamenti compassionevoli e paternalisti che muovono le campagne delegate agli specialisti dell’assistenzialismo carcerario, all’associazionismo di settore, agli imprenditori della politica. Riportando l’attenzione dei movimenti verso l’esercizio di una critica radicale della società penale che preveda anche l’abolizione dell’ergastolo e della tortura dell’art. 41 bis.
Chiediamo a tutti e tutte i singoli, le realtà sociali e politiche l’adesione a questo manifesto, per iniziare un percorso comune per l’avvio della campagna per l’amnistia sociale.

A coloro che hanno a disposizione dati per il censimento chiediamo di compilare
la scheda che può anche essere scaricata dal sito www.osservatoriorepressione.org
Schede e adesioni vanno inviate a: osservatorio.repressione@hotmail.it oppure amnistiasociale@gmail.com

Giugno 2013

Puoi scaricare la scheda qui

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Qui sotto le condivisioni pervenute fino al 25 settembre 2013
Chi è su facebook la può trovare cliccando qui

Adesioni collettive
ACAD, Associazione contro abusi in divisa onlus, Acoustic Impact, gruppo musicale, Action Diritti in Movimento, Assalti Frontali, gruppo musicale, Assemblea Aversana per l’Autonomia, Associazione Senzaconfine, Roma, Associazione Solidarietà Proletaria (ASP), Astroestella Senza Fini e… Confini, ATTAC Italia, Azione antifascista Teramo, Banda Bassotti, gruppo musicale, Banda Jorona, gruppo musicale Baracca Sound, Blocchi Precari Metropolitani Roma, Centro Donato Renna – Liguria, Centro sociale 28 maggio, Rovato (BS), Circolo Che Guevara PRC Roma, COBAS PT – CUB, Collettivo Militant Roma, Comitato 3e32 L’Aquila, Comitato Amici e Familiari Davide Rosci, Comitato Antirazzista, COBAS – Palermo, Comitato di Quartiere Torbellamonaca Roma, Comitato Pace di Robassomero (TO), Comitato Piazza Carlo Giuliani Genova, Communia, Spazio di mutuo soccorso Roma, Confederazione dei Comitati di Base (COBAS), Confederazione COBAS Perugia, Confederazione COBAS Pisa, Confederazione COBAS Terni, Confederazione Unitaria di Base (CUB) Piemonte, Consiglio Metropolitano di Roma, Coordinamento regionale dei Comitati NoMuos, Coordinamento Regionale USB Umbria, Contropiano.org giornale comunista online, CPOA Rialzo Cosenza, CSA Depistaggio Benevento, CSA Germinal Cimarelli, Terni, CSA Jan Assen (ex Asilo politico) Salerno, CSOA Angelina Cartella Reggio Calabria, CSOA Corto Circuito Roma, CSOA La Strada Roma, CSOA Spartaco Roma, CUB Scuola Università Ricerca, Ex Colorificio Liberato/Progetto Rebeldia Pisa, Fuori binario-giornale di Strada dei Senza Dimora di Firenze, Ginko (Villa Ada Posse) & Shanty Band gruppo musicale, ISM – Italia, Ital Noiz Dub System, gruppo musicale, L@p Asilo 31- Laboratorio per l’Autorganizzazione Popolare Asilo 31 Benevento, Lavoratori Autorganizzati Ministero dell’Economia e delle Finanze, Legal Team Italia, Liberi dall’ergastolo, LOA Acrobax, Roma, Madri per Roma città aperta, Movimento Disoccupati Autorganizzati, CSOA Ex Macello Acerra (NA), Movimento No Tav, Movimento No Tem, Occupazioni Precari Studenti OPS area Castelli romani, Officina Rebelde Castell’Umberto (ME), Oltremedia news, Osservatorio sulla repressione, P-Carc, PMLI, Radici nel cemento, gruppo musicale, Radio Maroon, gruppo musicale, RAT-Rete Antifascista Ternana, Redazione di Zeroviolenzadonne.it, Redgoldgreen, gruppo musicale, Rete Antirazzista Catanese, Rete Bresciana Antifascista, Rete 28 aprile Fiom-opposizione Cgil, Rete per la difesa salute ambientale Sardigna, Riscossa proletaria per il comunismo Torino, Romattiva.org, Senza calma di vento Perugia, Sindacato Lavoratori in Lotta (SLL), Spazio Popolare Occupato S. Ermete Pisa, Terradunione, gruppo musicale,Tribù Acustica, gruppo musicale, Unione Sindacale di Base (USB), USB Bergamo, Usb Sulcis, Wu Ming – scrittori, 99 Posse gruppo musicale

Adesioni individuali
Agrippino Gervasio (archeologo Napoli), Alessandra Magrini (AttriceContro Roma), Alessandra Schia (studentessa Napoli), Alessandro Dal Lago (Università di Genova), Alessia Montuori (Roma), Alfredo Tradardi (coordinatore ISM-Italia), Alfonso Di Stefano Comitato di base NoMuos/NoSigonella (Ct), Alfonso Perrotta (Roma), Amedeo Ciaccheri (Consigliere Municipio VIII Roma), Andrea Bianco (impiegato Napoli), Andrea Bitonto, Andrea Di Frenna (Napoli), Andrea Fioretti (coordinamento nazionale Comunisti Uniti, Roma), Angela Scicchitano Villa San Giovanni (RC), Anna Balderi Ladispoli (RM), Anna Giannattasio (insegnante, Napoli), Anna Maria Bruni (giornalista, Roma), Anna Maria Liggeri (educatrice, Milano), Antimo Padula Casandrino (NA), Antonino Campenni (ricercatore Università della Calabria), Antonello Repetto (Comitato “No radar” Capo sandalo, Carloforte), Antonello Tiddia, operaio Carbosulcis (Carbonia), Antonio De Lellis (Termoli CB), Antonio Esposito (Napoli), Antonio Gentile Torre del Greco (NA), Antonio Molino (Napoli), Antonio Musella (giornalista Napoli), Assia Petricelli, Barbara Breyhan (danzatrice Sesto Fiorentino (FI), Barbara Chiocca (ambulante Napoli), Beppe Corioni, Bianca Bracci Torsi (partigiana Roma), Bianca «la Jorona» Giovannini (musicista), Carlo Bachschmidt (consulente tecnico processi G8), Brega Trashmilano
Solid Crew (Milano), Carlo Curti (Lugano Svizzera), Carlo Giampetraglia (Napoli), Carlo Pellegrino (medico chirurgo Roma), Carlo Tompetrini, Carlotta Pappalardo studentessa Castellammare di Stabia (NA), Carmelo Eramo (insegnante), Carmine Lettieri Acerra (NA), Caterina Calia (avvocato Roma), Caterina Elendu (Napoli), Cesare Antetomaso (Giuristi Democratici), Checchino Antonini (giornalista di Liberazione), Chiara Morello (educatore professionale), Cinzia Ponticiello insegnante S. Antimo (NA), Ciro Polverino (operaio Napoli), Claudia Soprano (studentessa Napoli), Claudia Urzi (insegnante), Claudio Dionesalvi (insegnante), Claudio Guidotti (Roma), Claudio Infantino (insegnante), Cosimo Maio (Benevento), Cristiano Armati (scrittore), Cristiano Carloni (studente Università di Urbino), Cristiano Petricciolo (studente Napoli), Cristina Povoledo (Roma), Daniela Frascati (scrittrice), Daniela Pantaloni Comitato pace Robassomero (TO), Daniele Catalano, Daniele Sepe (musicista), Danilo Barreca (lavoratore precario, attivista per i diritti dei migranti, Reggio Calabria), Danilo Bianconi (Roma), Dario Rossi (avvocato Genova), David Augscheller (insegnante Merano), Davide Gennaro, Davide Rosci (detenuto per i fatti del 15 ottobre 2011), Davide Steccanella (avvocato Milano), Demetrio Conte (Counselor ed educatore Milano), Diana Lepre (disoccupata Napoli), Don Vitaliano Della Sala (parroco), Donatella Quattrone (blogger), Egle Piccinini (Asti), Elena Giuliani (sorella di Carlo Giuliani), Emanuela Donat Cattin (Milano), Emanuela Sangermano (studentessa Caserta), Emanuele Di Giulio Cesare (operaio Napoli), Emanuele Fiore (studente Napoli), Emidia Papi (USB), Enrico Contenti (ISM-Italia), Enrico Di Cola, Enrico Triaca, Roma (torturato dallo Stato nel 1978 e condannato per calunnia alle “forze dell’ordine”), Ermanno Gallo, scrittore, cittadino, Erri De Luca (scrittore), Eugenio Losco (avvocato penalista Milano), Fabio Giovannini (scrittore e autore televisivo), Fausto Piras (operaio Carbisulcis), Federica Limpani Frattamaggiore (NA), Federico Mariani (Roma), Federico Micali, Francesca Panarese (Benevento), Francesco Barilli (coordinatore reti-invisibili.net), Francesco Caruso (ricercatore Università della Calabria), Francesco De Angelis (artigiano Napoli), Francesco De Lellis, Francesco De Vita (Roma), Francesco Giordano (Milano), Francesco Piras (operaio Carbosulcis), Francesco Romeo (avvocato Roma), Francesco Verrengia (studente Napoli), Franca Gareffa (Dipartimento sociologia Università della Calabria), Franco Coppoli (COBAS Terni), Franco Iachetta (anarchico), Franco Piperno (docente di Fisica Università della Calabria), Fulvia Alberti (regista), Gabriella Grasso (Milano), Gabriele Usai (operaio Carbosulcis), Gennaro Massimino (infermiere COBAS Sanità Università e Ricerca), Gabriella Mattiello (presidio No Dal Molin, Vicenza), Gianni Piazza (ricercatore universitario), Gianpiero Bonvicino (Coordinatore PRC valli Brembana e Imagna), Gigi Malabarba, Gilberto Pagani (avvocato presidente Legal Team Italia), Giorgia Listì (Palermo), Giovanni Chirichella (Napoli), Giovanni Croce (studente, Napoli), Giovanni Russo Spena (responsabile giustizia PRC), Giulia Inverardi (scrittrice), Giulio Bass (musicista), Giulio Laurenti (scrittore), Giulio Mojo (studente Portici (NA), Giuseppe Rinforzi (operaio, Quarto (NA), Giuseppina Massaiu (avvocato Roma), Gualtiero Alunni (portavoce Comitato No Corridoio Roma-Latina), Guido Lutrario (USB Roma), Haidi Gaggio Giuliani (Comitato Piazza Carlo Giuliani), Igor Papaleo (Partito dei Carc, Napoli), laria Montecchiani (studentessa, Urbino), Italo Di Sabato (Osservatorio sulla repressione), Jacopo Ricciardi (Segreteria Provinciale PRC, La Spezia), Jenni Caselli (disoccupata, Napoli), Laura Donati, Laura Rasero, Lello Voce (poeta), Letizia Romeo (Lucca), Livia Fenaroli, Lorenzo Guadagnucci (giornalista Comitato Verità e Giustizia per Genova), Lorenzo Santinelli (impiegato, Genova), Luca Fontana (segretario circolo PRC Che Guevara), Luca Merlino (Torre Del Greco (NA), Luciana De Pascale (Napoli), Luciano Matta (operaio Carbosulcis), Luciano  Muhlbauer, Ludovica Formoso (praticante avvocato, Roma), Luigi Brambillaschi (Melzo (MI), Luigi Fucchi (coordinamento regionale USB Umbria), Luigi Lubrano (studente, Napoli), Luigi Oliva (Torre del Greco (NA), Luigia Pasi (Milano), Luisella Consumi (RSU Università degli studi di Firenze) Manlio Calafrocampano (musicista), Manuela Masi (studentessa, Napoli), Mara Nerbano (docente ABA, Carrara), Marco Arturi (Rete 28 Aprile, Torino), Marco Bersani (Attac Italia), Marco Calabria (giornalista), Marco Chianese (disoccupato, Napoli), Marco Clementi (storico), Marco Di Renzo (Roma), Marco Grimaldi (studente, Napoli), Marco Pittalis (Buenos Aires), Marco Rovelli (scrittore e musicista), Marco Spezia (Tecnico della sicurezza su lavoro, Sarzana (SP), Maria Luisa Loche, insegnante (Oristano), Mario Battisti (Roma), Mario Pompeo, Mario Pontillo (responsabile carceri PRC), Marina Farina (docente, Napoli), Martina Grifoni (Narni), Massimo Cappitti (insegnante), Massimo Carlotto (scrittore), Massimo Lombardi (Avvocato Penalista, La Spezia), Massimo Lo Sciuto, operaio informatico, Matteo Squadrani (studente, Università di Urbino), Mattia Pellegrini (artista), Mattia Serafino (disoccupato Brescia), Mauro Gentile (detenuto politico per gli scontri del 15 ottobre 2011, Mauro Manola (Napoli), Mc Shark (Terradunione musicista), Michele Baronio (attore), Michele Capuano (regista-scrittore), Michele Clemente (referente nodo ALBA (Alleanza Lavoro Benicomuni Ambiente), Asti, Michele Vollaro (storico e giornalista), Mingo Fante, brigante (Torricella Peligna (CH), Mino Massimei (Presidente Circolo ARCI Montefortino 93 Artena (RM), Miriam Lombardo (studentessa, Napoli), Miriam Marino (scrittrice Rete ECO, AMLRP), Nando Grassi (insegnante Palermo), Niccolò Benvenuti (disoccupato Grosseto), Nicola D’Agosto (Napoli), Nicoletta Bernardi (Passignano sul Trasimeno), Nicoletta Crocella (responsabile edizioni Stelle Cadenti), Nunzio D’Erme (Roma), Paola Staccioli (Osservatorio sulla repressione Roma), Paolo Caputo (ricercatore Università della Calabria), Paolo Di Vetta (Blocchi Precari Metropolitani), Paolo Persichetti (insorgenze.wordpress.com), Paolo “Pesce” Nanna (comico periferico), Pasquale Vilardo (avvocato Roma), Pierpaolo Surbera (Napoli), Pietro Saitta (ricercatore in Sociologia Università di Messina), Pino Cacucci (scrittore), Rasta Blanco (musicista), Renato Rizzo (segreteria romana Unione Inquilini), Riccardo De Angelis (rsu CUB telecom Italia – Roma), Riccardo Infantino (insegnante),Roberta Fusco (Napoli), Roberta Rivieccio (Torre del Greco (NA), Roberto Colarullo (Comitato pace Robassomero (TO), Roberto Ferrucci (scrittore), Roberto Giardelli, Roberto Niro, Roberto Vassallo (Direttivo CGIL Milano RSU FIOM Almaviva Milano), Rodolfo Graziani (Terni), Rosandra Papaleo, Ruggero D’Alessandro (Lugano Breganzona, Svizzera), Salvatore Chiosi (Napoli), Salvatore Palidda (Università di Genova), Serge Gaggiotti (Rossomalpelo), cantautore, Sergio Bellavita (portavoce nazionale Rete 28 aprile Fiom), Sergio Bianchi (casa editrice DeriveApprodi), Sergio Riccardi (Roma), Silvia Baraldini (Roma), Silvio Arcolesse (Campobasso), Simona Musolino (scrittrice), Simonetta Crisci (avvocato Roma), Sonia Verzegnassi (Roma), Stefania Di Liddo (operatrice sociale Bisceglie (BA), Stefano Ciccantelli (coordinatore circolo SEL Pineto (TE), Stefano Guazzo (disoccupato Napoli), Stefano Poloni (Milano), Stefano Ulliana (insegnante scuola pubblica Codroipo (UD), Tamara Bartolini (attrice), Tatiana Montella (avvocato), Tiziano Loreti (Bologna), Ugo Giannangeli (avvocato penalista Milano), Valentina Bucci, libraia (Ancona), Valentina Perniciaro (blogger baruda.net), Valentino Bombardieri (Brescia), Valeria Nocera (Napoli), Valerio Evangelisti (scrittore Bologna), Valerio Mastandrea (attore), Valerio Monteventi, Bologna, Vincenzo Brandi (ingegnere ISM-Italia), Vincenzo Miliucci (COBAS Roma), Vittorio Agnoletto, Wsw Wufer (musicista)

Amnistia per le lotte sociali, insieme al censimento avviata la raccolta di adesioni

Manifesto per un censimento delle denunce e l’amnistia per le lotte sociali

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Foto Baruda

Negli ultimi mesi, fra alcune realtà sociali, politiche e di movimento, ma anche singoli attivisti e avvocati, è nato un dibattito sulla necessità di lanciare una campagna politica sull’amnistia sociale e per l’abrogazione di quell’insieme di norme che connotano l’intero ordinamento giuridico italiano e costituiscono un vero e proprio arsenale repressivo e autoritario dispiegato contro i movimenti più avanzati della società. Da tempo l’Osservatorio sulla repressione ha iniziato a effettuare un censimento sulle denunce penali contro militanti politici e attivisti di lotte sociali. Ora abbiamo la necessità, per costruire la campagna, di un quadro quanto più possibile completo, che porterà alla creazione di un database consultabile on-line. Ad oggi sono state censite 17 mila denunce.
Il nuovo clima di effervescenza sociale degli ultimi anni, che non ha coinvolto solo i tradizionali settori dell’attivismo politico più radicale ma anche ampie realtà popolari, ha portato a una pesante rappresaglia repressiva, come già era accaduto nei precedenti cicli di lotte. Migliaia di persone che si trovavano a combattere con la mancanza di case, la disoccupazione, l’assenza di adeguate strutture sanitarie, la decadenza della scuola, il peggioramento delle condizioni di lavoro, il saccheggio e la devastazione di interi territori in nome del profitto, sono state sottoposte a procedimenti penali o colpite da misure di polizia. Così come sono stati condannati e denunciati militanti politici che hanno partecipato alle mobilitazioni di Napoli e Genova 2001 e alle manifestazioni del 14 dicembre 2010 e del 15 ottobre 2011 a Roma.
Il conflitto sociale viene ridotto a mera questione di ordine pubblico. Cittadini e militanti che lottano contro le discariche, le basi militari, le grandi opere di ferro e di cemento, come terremotati, pastori, disoccupati, studenti, lavoratori, sindacalisti, occupanti di case, si trovano a fare i conti con pestaggi, denunce e schedature di massa. Un “dispositivo” di governo che è stato portato all’estremo con l’occupazione militare della Val di Susa. Una delle conseguenze di questa gestione dell’ordine pubblico, applicato non solo alle lotte sociali ma anche ai comportamenti devianti, è il sovraffollamento delle carceri, additate anche dalla comunità internazionale come luoghi di afflizione dove i detenuti vivono privi delle più elementari garanzie civili e umane. Ad esse si affiancano i CIE, dove sono recluse persone private della libertà e di ogni diritto solo perché senza lavoro o permesso di permanenza in quanto migranti, e gli OPG, gli ospedali di reclusione psichiatrica più volte destinati alla chiusura, che rimangono a baluardo della volontà istituzionale di esclusione totale e emarginazione dei soggetti sociali più deboli.
Sempre più spesso dunque i magistrati dalle aule dei tribunali italiani motivano le loro accuse sulla base della pericolosità sociale dell’individuo che protesta: un diverso, un disadattato, un ribelle, a cui di volta in volta si applicano misure giuridiche straordinarie. Accentuando la funzione repressivo-preventiva (fogli di via, domicilio coatto, DASPO), oppure sospendendo alcuni principi di garanzia (leggi di emergenza), fino a prevederne l’annichilimento attraverso la negazione di diritti inderogabili. È ciò che alcuni giuristi denunciano come spostamento, sul piano del diritto penale, da un sistema giuridico basato sui diritti della persona a un sistema fondato prevalentemente sulla ragion di Stato. Una situazione che nella attuale crisi di legittimazione del sistema politico e di logoramento degli istituti di democrazia rappresentativa rischia di aggravarsi drasticamente.
Non è quindi un caso che dal 2001 a oggi, con l’avanzare della crisi economica e l’aumento delle lotte, si contano 11 sentenze definitive per i reati di devastazione e saccheggio, compresa quella per i fatti di Genova 2001, a cui vanno aggiunte 7 persone condannate in primo grado a 6 anni di reclusione per i fatti accaduti il 15 ottobre 2011 a Roma, mentre per la stessa manifestazione altre 18 sono ora imputate ed è in corso il processo.
Le lotte sociali hanno sempre marciato su un crinale sottile che anticipa legalità future urtando quelle presenti. Le organizzazioni della classe operaia, i movimenti sociali e i gruppi rivoluzionari hanno storicamente fatto ricorso alle campagne per l’amnistia per tutelare le proprie battaglie, salvaguardare i propri militanti, le proprie componenti sociali. Oggi sollevare il problema politico della legittimità delle lotte, anche nelle loro forme di resistenza, condurre una battaglia per la difesa e l’allargamento degli spazi di agibilità politica, può contribuire a sviluppare la solidarietà fra le varie lotte, a costruire la garanzia che possano riprodursi in futuro. Le amnistie sono un corollario del diritto di resistenza. Lanciare una campagna per l’amnistia sociale vuole dire salvaguardare l’azione collettiva e rilanciare una teoria della trasformazione, dove il conflitto, l’azione dal basso, anche nelle sue forme di rottura, di opposizione più dura, riveste una valenza positiva quale forza motrice del cambiamento.
Nel pensiero giuridico le amnistie hanno rappresentato un mezzo per affrontare gli attriti e sanare le fratture tra costituzione legale e costituzione materiale, tra la fissità e il ritardo della prima e l’instabilità e il movimento della seconda. Sono servite a ridurre la discordanza di tempi tra conservazione istituzionale e inevitabile trasformazione della società incidendo sulle politiche penali e rappresentando momenti decisivi nel processo d’aggiornamento del diritto. È stato così per oltre un secolo, ma in Italia le ultime amnistie politiche risalgono al 1968 e al 1970.
Aprire un percorso di lotta e una vertenza per l’amnistia sociale – che copra reati, denunce e condanne utilizzati per reprimere lotte sociali, manifestazioni, battaglie sui territori, scontri di piazza – e per un indulto che incida anche su altre tipologie di reato, associativi per esempio, può contribuire a mettere in discussione la legittimità dell’arsenale emergenziale e fungere da vettore per un percorso verso una amnistia generale slegata da quegli atteggiamenti compassionevoli e paternalisti che muovono le campagne delegate agli specialisti dell’assistenzialismo carcerario, all’associazionismo di settore, agli imprenditori della politica. Riportando l’attenzione dei movimenti verso l’esercizio di una critica radicale della società penale che preveda anche l’abolizione dell’ergastolo e della tortura dell’art. 41 bis.
Chiediamo a tutti e tutte i singoli, le realtà sociali e politiche l’adesione a questo manifesto, per iniziare un percorso comune per l’avvio della campagna per l’amnistia sociale.

A coloro che hanno a disposizione dati per il censimento chiediamo di compilare
la scheda che può anche essere scaricata dal sito www.osservatoriorepressione.org
Schede e adesioni vanno inviate a: osservatorio.repressione@hotmail.it oppure amnistiasociale@gmail.com

Giugno 2013

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Terremoto di L’Aquila, l’ambiguo rapporto tra scienza e politica. Il caso della condanna dei membri della commissione grandi rischi

L’intervista – Sentenza di L’Aquila contro i membri della Commissione grandi rischi. Parla Valerio Lucarini fisico, docente di meteorologia teorica presso l’università di Amburgo, esperto di prevenzione dei rischi geoambinetali

Paolo Persichetti
Gli Altri 2 novembre 2012

L’Aquila che resiste

Ha creato molto scalpore la sentenza del giudice monocratico del tribunale di L’Aquila, Marco Brilli, che lo scorso 22 ottobre ha condannato a 6 anni di carcere (due di più di quelli richiesti dalla pubblica accusa) e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici per omicidio colposo plurimo e lesioni colpose, il vice direttore della Protezione civile Bernardo De Bernardinis e i sei membri della Commissione grandi rischi, tra cui figurano nomi come Franco Barberi ed Enzo Boschi, massimi esperti mondiali nel campo della sismologia.
Molto dure le reazioni del mondo scientifico che hanno visto nella sentenza un ritorno dei processi alle streghe mentre il ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, auspicando un ribaltamento del verdetto in appello ha chiamato in causa il precedente della condanna di Galileo.
In attesa delle motivazioni della sentenza, ad esser note per il momento sono solo le giustificazioni utilizzate dall’accusa per chiedere le condanne. Argomenti, a dire il vero, molto diversi dalle interpretazioni della sentenza apparse sui media. I pm Fabio Picuti e Roberta D’Avolio, dopo aver ricordato che la scienza attuale non dispone di conoscenze e strumenti per la previsione deterministica dei terremoti, hanno sostenuto che agli imputati non poteva essere addebitata «la mancata previsone della scossa distruttiva del 6 aprile 2009» o il fatto di «non aver lanciato allarmi di forti scosse imminenti», cosa che in realtà gli esperti avevano fatto, o «non aver ordinato l’evacuazione della città», ma per essersi prestati ad una operazione politica voluta dal capo della protezione civile. Bertolaso aveva chiesto di rassicurare la popolazione aquilana allarmata dal lungo sciame sismico e dalle denuncie di Giampaolo Giuliani, fondate sulla misurazione delle emissioni di gas radom dal terreno. Un metodo contestato dalla comunità scientifica.
Ha senso dunque parlare di una condanna contro la scienza? In realtà la sentenza sembra sollecitare un altro tipo di dibattito più complesso e meno manicheo, come il rapporto tra scienza e politica o ancora sul grado di indipendenza e autorevolezza dei pareri tecnici rispetto alle amministrazioni e più in generale alla società. Ne parliamo con Valerio Lucarini, fisico, docente di meteorologia teorica presso l’università di Amburgo, esperto di prevenzione dei rischi geoambinetali, uno dei nostri migliori cervelli “in fuga” dall’Italia.

Professore, suppongo che questa sentenza non susciti in lei nessuna nostalgia per l’Italia?
Decisamente no, per una lunga serie di ragioni. Certamente questa sentenza e tutta questa vicenda mettono in luce il difficilissimo rapporto che esiste in Italia fra scienza, politica, opinione pubblica, e rendono chiaro quanto sia difficile per un esperto operare con serenità ed esercitare la proprie competenze in situazioni in cui l’incertezza è intrinsecamente grande e seri sono i rischi per persone, beni pubblici e privati. Naturalmente non dobbiamo pensare solo al rischio sismico, ma, ad esempio, anche al rischio idro-meteo-climatico – il mio ambito di competenze – cui l’Italia è fortissimamente esposta.

L’inchiesta ha accertato che gli scienziati all’inizio hanno fatto correttamente il loro lavoro, avvertendo della possibilità di altre scosse, anche forti. Poi c’è stata quella conferenza stampa, «l’evento mediatico» di cui parla Bertolaso nella intercettazione. Come si spiega un fatto del genere? Gli esperti si sono lasciati strumentalizzare dalla politica?
Io direi che è emersa una situazione di fondamentale debolezza per la Commissione grandi rischi. Da un lato si sono trovati schiacciati dalle pressioni di Bertolaso, e dal suo peculiare modo d’interpretare il ruolo della Protezione civile come mano operativa della Presidenza del consiglio dei ministri, con tutte le implicazioni politiche e mediatiche del caso. Dall’altro, si sono trovati schiacciati da un’opinione pubblica presa dal panico prodotto dallo sciame sismico prolungato ma anche dall’allarme diffuso da personaggi privi di qualsiasi credibilità scientifica. Giuliani, che è un tecnico senza laurea dei laboratori del Gran Sasso, aveva preannunciato un terremoto anche a Sulmona che poi non c’è stato. Incredibilmente, la denuncia per procurato allarme che Bertolaso ha – giustamente – effettuato contro Giuliani è stata respinta dal giudice dopo il terremoto di L’Aquila. Perché il fatto non sussiste. Come se l’allarme di Giuliani fosse stato giustificato! Purtroppo la tendenza ad affidarsi a teorie del complotto, per cui la scienza ufficiale nasconde la “vera verità” per fini secondi o terzi è molto radicata. Quindi la Commissione era in realtà assai debole in termini di comunicazione.

Dunque non un errore di previsione ma di comunicazione provocato dal tentativo di diffondere un messaggio antipanico?
Italia c’è da sempre una cattiva comunicazione e un bassissimo livello di ricezione scientifica. Cosa che non avviene altrove. Negli Usa è diffusa in tutti gli strati sociali un’alta capacità di ricezione dell’informazione scientifica, per esempio in materia di rischio idrometeorologico. Tutti sono in grado di decodificare informazioni come “esiste l’X% di probabilita’ che in questa regione Y si possano avere delle precipitazioni piu’ intense di Z”. E nessuno si stupisce o si scandalizza se le precipitazioni in Y sono meno intense di Z o se alla fine in una regione K vicino a Y si osservano precipitazioni molto intense. Al contrario in Italia è successo in passato che i bagnini della Romagna e della Versilia abbiano chiesto di non pubblicare le previsioni del tempo nelle località balneari per non scoraggiare i turisti. Dimenticandosi di quelli che venendo al mare “sperando” nel bel tempo e trovandosi in mezzo a condizioni avverse, perderebbero soldi, tempo, o anche la vita.
Tuttavia la risposta nel caso di L’Aquila non è così facile: cosa vuol dire, infatti, “rassicurare”, soprattutto in quel contesto traversato da voci allarmistiche e su una materia come quella sismica? Bisognava dare un messaggio immediato e forte di fronte a situazioni di vero e proprio procurato allarme. Il panico non aiuta a diffondere informazioni importanti in situazione di grande incertezza. Esiste nell’opinione pubblica e nei media italiani la capacità di dare e recepire un’informazione del tipo: questo sciame sismico implica/non implica un aumento della possibilità di una scossa più forte entro questo segmento spaziale e temporale, con questa incertezza?

A quanto pare no, ma ciò giustifica la “narcotizzazione del rischio”?
Il rischio sismico è dato dalla combinazione tra quanto si scuote la terra e la capacità di resistenza di ciò che esiste sopra il suolo. Non basta che la terra tremi (pericolosità sismica), occorre conoscere la situazione socio-urbana dei territori. Faccio un esempio: il centro di Tokio è ad altissima pericolosità sismica ma a rischio assai basso grazie alle infrastrutture antisismiche, al livello di organizzazione sociale e alla preparazione dei singoli cittadini. Ma non limitiamoci al Giappone, come caso limite. Certi standard sono ormai comuni in moltissimi paesi, inclusi quelli molto più poveri dell’Italia. A Messina o in altre parti d’Italia, in presenza di una pericolosità sismica forte, il rischio è altissimo a causa del basso livello di prevenzione socio-urbana. La mappatura della pericolosità sismica italiana è stata accuratamente svolta anni fa dall’Ingv, ente allora guidato proprio da Boschi.

Professore, sta dicendo che la narcotizzazione del rischio è avvenuta molto prima?
Certo. Quanto è comodo prendersela con dei meravigliosi capri espiatori, come gli esperti, perché non hanno saputo impedire il terremoto, come se lo scienziato fosse uno stregone. E’ paradossale ma si guarda alla scienza in modo ancora superstizioso, come se possedesse proprietà divine. Così dal cono di luce della tragedia viene tolto chi ha costruito male, chi non ha controllato, tutti gli interessi locali e nazionali, gli imprenditori, gli amministratori e anche la società che si è adagiata su tutto questo. Una somma di responsabilità diluite nel tempo che hanno impedito la riduzione del rischio. Per le comunità locali chiudersi a riccio ed esportare verso l’esterno ogni colpa è la soluzione più comoda. In questo senso, il modo in cui i media esteri hanno riportato la sentenza, “L’Italia condanna sette esperti per non essere stati capaci di prevedere il terremoto”, è piu’ corretta di quanto le carte letteralmente dicano.

Le sue sono parole forti.
Non c’è altra soluzione. Mappare sempre più accuratamente la pericolosità sismica, minimizzare il rischio ottimizzando la gestione del territorio con rigorose misure antisismiche, preparando socialmente e culturalmente gli abitanti ad affrontare razionalmente il rischio facendo convivere sapere scientifico e vita quotidiana. Non esistono miracoli. Lo stesso discorso vale per il rischio idro-meteo-climatico, vogliamo ricordare Sarno e Messina?

Quindi lei assolve i tecnici?
Ma io non faccio il giudice. Dico che il rapporto tra esperti, politica e amministrazione dovrebbe essere diverso. Problemi molto seri non sono presenti solo in Italia. Penso a quanto è accaduto nel 2006 nel Regno Unito: una commissione di medici di altissimo livello propose una revisione della calssificazione delle droghe, normalmente suddivisa in tre categorie per ordine di pericolosità. Provocatoriamente, ma seguendo alla lettera i fatti medici, questa commissione mise nella prima fascia l’alcool, il tabacco, e l’eroina. Le droghe chimiche (oltre che ovviamente la cannabis), contro le quali si rivolge attualmente la repressione poliziesca e su cui si concentrano i media, finirono in ultima fascia. Questo perché, se non ricordo male, ogni anno ci sono molte decine di migliaia di morti per alcool, alcune decine di migliaia per tabacco, alcune migliaia per eroina, poche decine per il resto.

Come andò a finire?
Ovviamente il governo ignorò fragorosamente gli esperti asserendo che politica aveva la supramazia assoluta su tali questioni. Si veda http://www.official-documents.gov.uk/document/cm69/6941/6941.pdf

Sentenza Grandi Rischi: un’interpretazione dolosamente distorta

Il commento del sito www.3e32.com

24 ottobre  2012

In questi giorni i media nazionali stanno mettendo in atto una vergognosa operazione mediatica, diffondendo una interpretazione completamente distorta della sentenza e del processo stesso alla Commissione Grandi Rischi.
Secondo gran parte dei mezzi di informazione – che seguono pedissequamente la tesi espressa anche dai vertici della Protezione Civile – gli imputati sarebbero stati condannati per non aver previsto il terremoto. Si tenta così di ribaltare il senso stesso del processo che non tratta affatto della capacità di previsione della scienza, ma che, lo ricordiamo per chi parla senza sapere, è basato sul fatto che i membri della Commissione hanno rassicurato la popolazione.
E’ vergognoso constatare come attraverso questa operazione mediatica si stia tentando di raccontare l’ennesima bugia, in Italia e all’estero (dopo, per esempio, la favola del “miracolo aquilano”), arrivando alla follia di sostenere che adesso la Protezione Civile non potrà più lavorare liberamente, come afferma senza pudore in comunicato del Dipartimento stesso.
Al presidente dimissionario della grandi rischi Maiani che ha affermato che “non c’è nessuna indagine su chi ha costruito in maniera non adeguata”, vorremmo ricordare che pochi giorni prima della sentenza di lunedì era arrivata la condanna per l’Ing. De Angelis, giudicato responsabile per il crollo della palazzina in via generale Rossi, dove lui viveva, e dove ha perso la vita anche sua figlia.
E’ triste inoltre che anche la politica debba esprimere giudizi di merito anche su questo, smascherando ancora una volta come dietro a degli incarichi tecnici, si cerchi di utilizzare arbitrariamente un potere tutto politico, come ha fatto e continua a fare il Capo della Protezione Civile (ed ex prefetto de L’Aquila) Gabrielli.
I membri della Commissione Grandi Rischi avrebbero dovuto dimettersi il 31 marzo 2009, quando piegarono il proprio operato ed il proprio giudizio scientifico al potere del Governo e del Capo della Protezione Civile Bertolaso, prestandosi all’intercettata “operazione mediatica” tesa a tranquillizzare i cittadini del cratere.
Abbiamo vissuto sulla nostra pelle quale sia l’enorme potere che passa trasversalmente attraverso il Dipartimento della Protezione Civile.
Un potere capace anche di modificare a proprio interesse l’oggettività dei fatti attraverso i media. Ma questa volta si è davvero passato il segno. La coraggiosa sentenza del giudice stabilisce evidentemente una verità non in sintonia con questo potere a cui da subito come 3e32 ci siamo opposti nel quotidiano del nostro territorio.
La sentenza apre finalmente una breccia di civiltà e riscatto nella cappa di ingiustizie e disagio in cui questa città sembra rimanere ancora come paralizzata.
Una breccia importante da cui può finalmente iniziare quel difficile processo di elaborazione collettiva di quanto realmente accaduto a partire dal terremoto. Un’elaborazione scomoda, finora impedita a tutti i costi e che però è l’unica cosa che può salvarci dal baratro.
La strada da percorrere ce la stanno mostrando prima di tutto la dignità vera, il coraggio e la tenacia dimostrate dai parenti delle vittime che in questi anni hanno continuato a battersi nel silenzio di gran parte della città e contro ogni manipolazione.

Minzolini e Travaglio, due lati di una stessa medaglia

L’Aquila: i terremotati protestano. Contestata la rete ammiraglia della Rai. Niente più cartoline addolcite di una città ripulita all’istante dalle mortali ferite del sisma, di tendopoli ordinate e pacificate, di famigliole felici che ricevono case nuove di zecca con tanto di fiori, tendine, elettrodomestici e champagne in frigorifero. Dissolta la magia del grande circo goebbelsiano, fatto d’appalti e propaganda, messo in piedi da Guido Bertolaso, l’uomo immagine di Silvio Berlusconi

Paolo Persichetti
Liberazione
24 febbraio 2010

L’improvvisa irruzione del reale con tutte le sue rugose asperità ha squarciato lo schermo incantato sul quale scorrevano le mirabili imprese della protezione civile di Guido Bertolaso. L’incantesimo si è rotto domenica scorsa a L’Aquila. Una manifestazione di cittadini ha dissolto la magia del grande circo goebbelsiano, fatto d’appalti e propaganda, messo in piedi dall’uomo immagine di Silvio Berlusconi. Niente più cartoline addolcite di una città ripulita all’istante dalle mortali ferite del sisma, di tendopoli ordinate e pacificate, di famigliole felici che ricevono case nuove di zecca con tanto di fiori, tendine, elettrodomestici e champagne in frigorifero. Le perquisizioni del 10 febbraio e poi il diluvio d’intercettazioni finito sui quotidiani hanno dato agli abruzzesi l’immagine reale del comitato d’affari che lucrava sul sangue dei sepolti, sulla vita ridotta in polvere dei terremotati ancora senza tetto. Nella notte, mentre la terra veniva squarciata dai movimenti sussultori, alcuni imprenditori si sfregavano le mani in vista delle lucrose commesse, della manna degli appalti che sarebbero venuti dal giro degli amici, dalla banda Bertolaso. Domenica scorsa, durante la manifestazione “1000 chiavi per la città”, una troupe di Tv7 , il settimanale d’approfondimento del Tg1, guidata dalla giornalista Maria Luisa Busi, è stata accolta al grido di «Scondinzolini», dal nome del direttore Augusto Minzolini, accusato di avere diffuso un’immagine falsata del dopo terremoto. Di fronte alle colonne di macerie rimaste intatte dalle 3,32 di quel 6 aprile 2009, la Busi si è difesa dicendo di non poter «rispondere dell’informazione a livello generale che il Tg1 ha fatto nel corso di questi dieci mesi dal terremoto», aggiungendo anche che quello che ha visto all’Aquila, in questi giorni con i suoi occhi, «è molto più grave di come talvolta è stato rappresentato: migliaia di persone sono ancora in albergo, le case non bastano e la ricostruzione non è partita». Una presa di distanza molto netta dalla testata per cui lavora e che ha subito raccolto il sostegno del comitato di redazione, dell’Usigrai (sindacato dei giornalisti Rai) e dell’associazione stampa romana. Tuttavia nel corso di una riunione la redazione ha sconfessato la Busi con un documento in cui si legge che a nessuno «è consentito di offendere i giornalisti del Tg1 accusandoli di avere fatto e di fare un’informazione incompleta e faziosa». Una presa di posizione contestata da altri membri della redazione che hanno fatto trapelare una ricostruzione un po’ diversa dell’accaduto. Secondo questa versione il documento sarebbe stato messo al voto nel corso di una riunione che aveva come odg altre questioni, approfittando del fatto che buona parte dei giornalisti erano già andati via. Insomma non sarebbe interamente rappresentativo. Delle divisioni e lotte interne al Tg1 importa poco. Scriveva Guy Debord che lo spettacolo non è un insieme d’immagini ma «un rapporto sociale fra individui mediato dalle immagini». Quando però nelle immagini irrompe la realtà, grazie al protagonismo dei soggetti in carne ed ossa, il teatrino dello spettacolo entra in tilt. Ci interessa di più sottolineare questo aspetto della vicenda che sembra dimostrare come esista ancora la possibilità di una via fatta d’autonomia e azione contro la passività e l’assoggettamento al «monologo autoelogiativo che l’ordine presente tiene su se stesso». I facitori dell’opinione non amano le contraddizioni del reale, come ha dimostrato lo stesso Marco Travaglio nell’ultima puntata di Anno zero . Minzolini e Travaglio, due lati di una stessa medaglia.

Terremoto, sfollato il carcere di L’Aquila

«In trappola come topi», era fondato l’allarme delle prime ore di agenti e detenuti del carcere di L’Aquila evacuato in piena notte.
Tensione anche a Sulmona: i reclusi dormono fuori dalla celle

Paolo Persichetti
Liberazione 9 aprile 2009

«I reclusi erano in preda a tensioni comprensibili e si sentivano dei topi in trappola», con queste parole il presidente del consiglio Silvio Berlusconi ha spiegato le ragioni che hanno portato all’evacuazione del carcere di L’Aquila.
I toni rassicuranti apparsi nel primo comunicato diffuso dal ministero della Giustizia, dopo la scossa devastante che domenica notte ha squassato l’Aquila e i paesini circostanti, erano soltanto uno schermo. Che fosse un tentativo di prendere tempo per organizzare lo sfollamento del carcere, mantenendo la riservatezza per ovvie ragioni di sicurezza, dopo che il sisma aveva reso inagibile la caserma del corpo di custodia, distrutto le abitazioni di una trentina di agenti della polizia penitenziaria e danneggiato le celle dove erano ubicati i detenuti, anche se non in modo strutturale come più volte ribadito dall’amministrazione, si era capito subito. Diversi agenti erano stati inviati dalle carceri del nord per rimpiazzare i locali. Voci allarmate provenienti dallo stesso personale di custodia descrivevano una realtà molto diversa da quella dipinta nei comunicati ufficiali.
Insomma la gestione del carcere, una struttura ritenuta particolarmente “sensibile” nella mappatura degli istituti di pena italiani per la presenza di un importante reparto di massima sicurezza e di un’area riservata nella quale erano rinchiuse due donne, tra cui Nadia Lioce, era diventata problematica. L’ininterrotto sciame sismico (354 scosse registrate, 182 soltanto nella giornata di martedì, e una sessantina di magnitudo superiore al 3 della scala Richter) ha accresciuto col passar dei giorni le tensioni. Detenuti e personale di custodia non tolleravano più la loro presenza sul posto.
D’altronde se la popolazione della città era stata evacuata dalle zone a rischio, non v’era nessuna altra ragione che giustificasse la permanenza all’interno dell’Istituto penitenziario dei reclusi, obbligando gli stessi agenti di custodia a correre dei rischi notevoli. I sindacati di polizia penitenziaria hanno sicuramente fatto la voce grossa. Così dopo l’ultima violenta scossa di martedì sera è partito nella notte il piano di evacuazione. Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, ha avviato le procedure subito dopo la mezzanotte. I primi mezzi hanno lasciato il carcere delle Costarelle verso le due.
Ovviamente un piano del genere non s’improvvisa. Dal Dap con una nota ufficiale hanno fatto sapere che si è trattato della «più grande operazione di traduzione di detenuti che si ricordi», dopo quella – aggiungiamo noi – che diede avvio al “circuito dei camosci”, la rete di carceri speciali voluta dal generale Dalla Chiesa.
Nella notte tra il 16 e il 17 luglio 1977, in grande segretezza e con ampio spiegamento di forze e mezzi dell’Arma dei carabinieri, facendo anche uso di elicotteri birotore Chinook, alcune centinaia di detenuti politici furono trasferiti nelle prime carceri di massima sicurezza appena allestite, tra cui la famigerata sezione Fornelli nell’isola dell’Asinara.
Per il trasferimento dei detenuti ristretti nel carcere aquilano sono stati impiegati, secondo le cifre fornite dal ministero della Giustizia, 200 uomini, molti dei quali appartenenti al Gom (il reparto speciale della polizia penitenziaria impiegato per la custodia dei reparti di massima sicurezza e per le operazioni speciali, noto per il famigerato comportamento tenuto contro i manifestanti nella caserma di Bolzaneto, nel 2001) per un totale di 70 mezzi, di cui 40 furgoni blindati e 40 autovetture della polizia penitenziaria. Le due donne rinchiuse nell’area riservata sono state tradotte nel carcere femminile di Rebibbia a Roma; gli 81 ristretti nella sezione 41 bis sono finiti nel reparto di massima sicurezza della casa di reclusione di Spoleto, mentre i detenuti assegnati al circuito della media sicurezza sono stati inviati nella casa circondariale di Pescara. L’intera operazione, sottolinea ancora il comunicato del ministero, «è avvenuta senza incidenti».esterne071312460704131438_big
Tensione c’è anche nel carcere di Sulmona, dove i 464 detenuti presenti (292 nella reclusione e 172 internati nella casa lavoro) si sono rifiutati di dormire nelle celle e hanno trascorso la notte nei passeggi e nelle sezioni. Anche se l’istituto penitenziario non ha subito danni, tra i detenuti circola un comprensibile stato di ansia. Per questa ragione la direzione ha rafforzato i turni di sorveglianza esterna al carcere e sospeso i riposi degli agenti penitenziari in servizio.
Il terremoto ha fermato anche l’udienza del maxiprocesso alla mafia tirrenica. Un imputato, detenuto in regime di 41 bis nel carcere di Avezzano, durante il collegamento in videoconferenza ha avuto un attacco di panico a causa delle scosse d’assestamento.

Link
Abruzzo, la terra trema anche per i dimenticati in carcere

Abruzzo: La terra trema anche per i dimenticati in carcere

Evacuato il carcere minorile di L’Aquila. Timori per l’agibilità della casa di reclusione di massima sicurezza

Paolo Persichetti
Liberazione 8 aprile 2009

«Dopo aver effettuato un’approfondita verifica, possiamo affermare che le carceri delle zone interessate dal terremoto hanno complessivamente tenuto», è stato questo il messaggio rassicurante reso noto subito dopo il sisma dal ministro della Giustizia Alfano. Ma quella tipica precauzione semantica che si cela dietro l’avverbio complessivamente accende più di un dubbio. Infatti accanto alle case crollate col passar delle ore sono emerse anche le prime crepe nella versione ufficiale diffusa dal ministero di via Arenula.
Se è vero che la gran parte degli istituti penitenziari abruzzesi non hanno subito danni alle strutture, molto diverso invece è stato l’impatto delle scosse sulle carceri aquilane. L’istituto penale minorile è stato evacuato. I tredici ragazzi presenti sul posto sono stati trasferiti in altre sedi. Sei di loro nel carcere minorile romano di Casal del Marmo, gli altri sette nei minorili di Potenza, Bari e Firenze. È quanto reso noto dall’ufficio del Garante dei detenuti del Lazio.
Nonostante il tentativo di minimizzare la situazione, importanti sarebbero i danni inferti dal sisma alla casa di reclusione di L’Aquila. Un istituto penitenziario particolarmente sensibile perché ospita un’intera sezione di massima sicurezza, dove sono rinchiusi i detenuti sottoposti al regime del 41 bis (massime restrizioni e isolamento) e un’area riservata, cioè un regime detentivo ancora più aspro e nel quale l’isolamento, anche sensoriale, è praticamente assoluto. Non a caso poche ore dopo il sisma, il capo del Dap Franco Ionta ha inviato sul posto il direttore del Gruppo operativo mobile (il reparto speciale della polizia penitenziaria che gestisce i reparti di massima sicurezza), generale Alfonso Mattiello. Lo stesso Ionta è arrivato a L’Aquila nella serata di lunedì. In un comunicato ufficiale, emesso ieri, si dice che nella caserma del carcere sono state rilevate «solo lievi lesioni»; ma la versione che viene dall’interno dell’istituto aquilano è un po’ diversa. Secondo la testimonianza rilasciata a Irene Testa, segretaria dell’associazione “Il detenuto ignoto”, da un agente di servizio la notte del terremoto, l’edificio sarebbe inagibile, parte degli appartamenti della polizia penitenziaria sarebbero crollati mentre nel resto della struttura e nelle celle vi sarebbero danni «non rilevanti». Nel frattempo sei detenuti, di cui quattro in regime di 41 bis, più un ex collaboratore di giustizia e un “comune”, tutti bisognosi di cure cliniche, sono stati trasferiti, alcuni a Roma. Il crollo dell’ospedale aquilano non permetteva più di fornire loro l’assistenza medica adeguata. Altre tre traduzioni sarebbero in attesa.
Sembra invece che il protocollo d’emergenza previsto in questi casi abbia funzionato bene. Almeno è quanto rivelano fonti dell’amministrazione penitenziaria. Dopo la scossa anche i detenuti della massima sicurezza sarebbero stati raccolti per gruppi e portati nei cortili del passeggio, dove forniti di coperte hanno trascorso la notte. Anche a Sulmona è stato seguito un protocollo analogo. Solo un detenuto è stato colto da malore a causa di una crisi d’ansia. Nelle situazioni d’emergenza (terremoti, incendi, alluvioni) ogni carcere segue un suo specifico protocollo dettato dalle caratteristiche dell’istituto: tipologia architettonica e requisiti di sicurezza.
Ma intanto la terra continua a tremare per questo c’è chi chiede l’evacuazione completa dell’istituto di pena.

Link
https://insorgenze.wordpress.com/2009/04/08/come-topi-in-gabbia/