Di Pietro interrogato a Perugia, sospetti su due appartamenti

L’ex pm se la prende con gli organi d’informazione, «basta finanziamenti pubblici»

Paolo Persichetti
Liberazione 8 giugno 2010

Antonio Di Pietro sarà ascoltato oggi dai magistrati di Perugia che indagano sulla lista Anemone, il lungo elenco di appartamenti “regalati” e lavori di ristrutturazione realizzati, si sospetta, in cambio di favori e appoggi per l’aggiudicazione di appalti e opere pubbliche. Nel corso del suo ultimo interrogatorio l’architetto Angelo Zampolini, che agiva per conto dell’imprenditore Diego Anemone e del super dirigente dei lavori pubblici Angelo Balducci, le due figure centrali di quella che gli inquirenti descrivono come una ramificata rete affaristica sorretta da un sistema «gelatinoso» di relazioni corrotte, ha chiamato in causa anche il grande fustigatore di Tangentopoli. Non è la prima volta che Di Pietro viene a trovarsi nei panni di Danton piuttosto che in quelli di Robespierre.Una figura, quella del capo girondino, che calza molto meglio alla sua biografia politica, ma poiché in Italia ad attaccare Di Pietro è quasi unicamente la stampa berlusconiana, l’ex pm viene di preferenza iscritto tra gli epigoni del giacobinismo. Al centro di scottanti inchieste già prima che lasciasse la magistratura, il fondatore dell’Idv è sempre uscito penalmente indenne dalle indagini e dai processi. Il che non vuol dire che non sussistano nei suoi confronti ben più gravi responsabilità o ambiguità morali e politiche. La vecchia immagine illibata di cavaliere senza macchia e senza colpa è ormai logora da tempo. Troppe coincidenze, troppe amicizie impresentabili, come i primi imputati delle sue inchieste. Tutti suoi ex compagni di merende, dal suo ex avvocato Lucibello, al finanziere Pacini Battaglia, a Paolo Pillitteri, cognato di Craxi e sindaco di Milano, a Giancarlo Gorrini (quello della Mercedes ceduta per pochi spiccioli), senza dimenticare Eleuterio Rea (comandante dei vigili urbani milanesi), fino all’imprenditore Antonio D’Adamo. E poi, in tempi più recenti, la scelta d’imbarcare gente come Sergio De Gregorio e Nello Formisano. E ancora, i finanziamenti pubblici intascati dall’associazione di famiglia per l’acquisto di un discreto impero immobiliare, la frequentazione con il responsabile italiano della Kroll, l’agenzia di sicurezza di Wall Street. Preistoria per un Paese e soprattutto una sinistra depressa che, avvinta dalla propria sindrome autoconsolatoria, seleziona tutto ciò che potrebbe disturbare la sua ipocrita memoria. Stavolta però qualcosa sembra essere cambiata. Di Pietro ha stancato anche i suoi fans, nell’Idv cresce il malessere. Di fronte alla delusione di tanti suoi elettori e seguaci, e alle ambizioni di notabili di vecchia scuola democristiana e voltagabbana, alcuni provenienti dalle stesse file di Rifondazione e Sinistra e libertà, scappati come topi che lasciano precipitosamente il vascello che affonda per approdare su lidi più sicuri e soprattutto in grado di garantire posti da eletti, il leader indiscusso anche nell’ultimo recente congresso comincia a vacillare. Oggi davanti ai giudici dovrà dare delle spiegazioni, uscire dalle reticenze, dai silenzi e dai giochi di prestigio con i quali, per esempio, lo scorso 17 maggio davanti ai pm di Firenze che indagano su un altro filone dell’inchiesta sulle grandi opere, si autodefinì «teste d’accusa», persona che aveva spontaneamente scelto di mettere a disposizione degli ex colleghi la sua esperienza investigativa. Non era vero. I magistrati l’avevano convocato in qualità di “persona informata dei fatti”, una formula molto ambigua di cui gli inquirenti abusano troppo spesso. E’ nella stessa veste che oggi dovrà fornire chiarimenti sulle affermazioni di Zampolini. Secondo le dichiarazioni dell’architetto inquisito, Di Pietro avrebbe ricevuto da Angelo Balducci la disponibilità di due appartamenti situati nel centro di Roma e di proprietà dell’istituto religioso Propaganda fide. Uno, vicino piazza di Spagna, utilizzato dall’Idv, e l’altro vicino al Quirinale, inizialmente messo a disposizione di sua figlia ma poi finito alla tesoriera del movimento. In effetti risulta che l’appartamento in via della Vite venne affittato alla società editrice Mediterranea srl che in passato pubblicava anche la rivista del partito. Quanto all’appartamento di via dei Quattro venti, è tuttora in affitto alla tesoriera, e parlamentare dell’idv, Silvana Mura che ha però dichiarato di pagare un regolare affitto. Zampolini ha anche detto che quando Di Pietro divenne ministro dei Lavori pubblici, Balducci decise di abbandonare il ministero per sottrarsi alle incessanti pressioni dell’ex pm che voleva essere introdotto negli ambienti vaticani. Versione diametralmente opposta a quella raccontata da Di Pietro che si è sempre fatto vanto di aver cacciato i membri della “cricca”. Zampolini ha aggiunto dell’altro. La ferma opposizione del leader populista contro le grandi opere per i 150 anni dell’Unità d’Italia sarebbe improvvisamente venuta meno solo quando tra i progetti venne inserito l’Auditorium di Isernia. Appalto che in corso d’opera ha visto paurosamente lievitare i costi. Corruzione o clientelismo politico (il Molise è terra d’elezione di Di Pietro)? Quale che sia la verità, ce n’è abbastanza per riconoscere che il dipietrismo puzza da lontano e con lui i suoi fanatici incensatori, da Santoro a Travaglio. Indispettito da tanta informazione su queste vicende, (anche il Corriere della sera ha cominciato ad attaccarlo) Di Pietro se l’è presa con i finanziamenti pubblici all’informazione. Sembrava di sentire Berlusconi.

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L’inchiesta resta a Perugia. Il restroscena sul ritrovamento della lista dei “clienti” della cricca

Paolo Persichetti
Liberazione 15 maggio 2010

Mentre piovono un po’ da tutte le parti le smentite da parte di chi ha visto il proprio nome comparire nella “lista Anemone”, il promemoria ritrovato nel computer del costruttore figura centrale della “cricca” che lucrava grazie all’assegnazione di appalti concessi in deroga, vengono alla luce le circostanze che hanno portato al suo ritrovamento.
Era il 14 ottobre del 2008, e la lista di nomi più bollente d’Italia venne rinvenuta quasi per caso nel corso di un controllo fiscale di routine condotto dal commando provinciale della Guardia di finanza di Roma. In proposito esiste anche una intercettazione della segretaria, Anna, che allarmata telefonava al suo «capo» avvertendolo di quanto era successo: «Sembrerebbe, da quello che sono riuscita a vedere perché mi sono messa lì vicino con una scusa, che stampavano gli elenchi di personale vecchio, lavori, ‘ste cose qua». Sulla diffusione della lista 18 mesi dopo il suo rinvenimento, lista che sembra fosse sconosciuta alla procura di Perugia ed a quella di Roma, che ha diffuso ieri per nome del suo procuratore capo una nota nella quale afferma di non averne mai ricevuto copia (un modo per dire, «non siamo stati noi a renderla pubblica»), esistono anche dei retroscena.
Quello proposto da Franco Bechis su Libero evoca un scontro interno alla Guardia di finanza. Un regolamento di conti tra il generale Emilio Spaziante e Andrea De Gennaro, fratello dell’ex capo della polizia Gianni, rimosso poco tempo fa dalla direzione del comando provinciale della Capitale. Tra Spaziante, vicino all’ex capo del Sismi Pollari e al comandante generale Roberto Speciale (quello della guerra con Visco e delle spigole comprate con l’aereo), e Giovanni De Gennaro, capo dei Servizi interni, suo acerrimo rivale e fratello di Andrea, non sarebbe mai corso buon sangue. Da qui la vendetta contro il fratello finanziere che avrebbe innescato la reazione a catena che avrebbe portato alla diffusione della lista sugli organi di stampa.
Per nuocere a chi? Non si capisce bene. Il danno è bipartizan: nella lista ci sono decine di indirizzi pubblici e privati di ufficiali della Finanza, e sono indicati i lavori realizzati nelle caserme del corpo, al tempo stesso compaiono i nomi di Gianni De Gennaro, Antonio Manganelli e Nicola Cavaliere, come i lavori svolti per la polizia e il ministero dell’Interno. Retroscena a parte, un problema serio per la Guardia di finanza è rappresentato dalla posizione dell’ufficiale Francesco Pittorru, attualmente in forza nei Servizi, che sembra sia stato incastrato dallo stesso Anemone. I legali dell’imprenditore hanno smentito, tuttavia lo 007 pare che si sia trovato in difficoltà nel dimostrare l’origine degli assegni ricevuti dall’architetto Zampolini, al quale Anemone aveva delegato le operazioni di compravendita degli appartamenti da regalare a politici e funzionari sospettati di esser coinvolti nel sistema d’assegnazione fraudolenta degli appalti speciali. Sulle spalle di Pittorru gravano sospetti sull’origine dei due appartamenti ricevuti al centro di Roma e su tre ristrutturazioni realizzate da ditte di Anemone. Quello che viene fuori dalle inchieste in corso, sia a Perugia che a Firenze, è la ragnatela delle relazioni intessute dall’imprenditore e dal suo ispiratore, il potente gran comis dei lavori pubblici Balducci. Nel 2003, a soli 32 anni, grazie a Balducci, Anemone è proiettato nel giro delle commesse speciali. Ottiene fino al 2008 412 lavori. Grazie al Nos, il nulla osta sicurezza, ottiene tutti i pass necessari per lavorare nei ministeri sensibili: Interni, Difesa, Servizi, Presidenza del consiglio. Sotto la gestione Lunardi e Scajola, via il supertecnico Incalza, ottiene appalti come la costruzione del carcere di Sassari e i ripetuti interventi nel minorile di Casal del Marmo. Non lo ferma più nessuno. Con Bertolaso alla Protezione civile fa il botto. Ai tempi di Tangentopoli era stato coniato il termine di «corruzione ambiente». Da allora, nonostante il ciclone di Mani pulite e il presenzialismo giudiziario abbiamo mutato radicalmente il volto della politica, nulla è cambiato. Da sistemica la corruzione è divenuta molecolare. Giustizialismo e populismo hanno giovato solo a se stessi. C’è un’ambigua simbiosi che sorregge corruzione e retorica dell’anticorruzione. Intanto la sinistra ne muore. Sarebbe tempo di aprire una profonda riflessione.

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Tra i nomi anche Settembrino Nebbioso, capo di gabinetto del Guardasigilli Angelino Alfano

Paolo Persichetti
Liberazione 14 maggio 2010

La «cricca» comprava la complicità di politici, ministri e sottosegretari del governo, e di altri personaggi situati in posizioni d’influenza, offrendo interventi di ristrutturazione o addirittura regalando facoltose abitazioni, come si sospetta sia accaduto con l’appartamento, vista Colosseo, acquistato, «a sua insaputa», dall’ex ministro per lo sviluppo economico Claudio Scajola? Se questa è una nuova Tangentopoli, vuol dire che la politica si svende per un piatto di lenticchie. Almeno nella prima repubblica si finanziavano partiti e correnti. Dopo la lista delle consulenze d’oro ritrovata in casa di Mauro Della Giovampaola, il funzionario del ministero dell’Infrastrutture e coordinatore dell’Unità tecnica di missione della presidenza consiglio dei ministri,  nella quale comparivano figli di funzionari o magistrati che potevano agevolare l’attribuzione di appalti, ricompensati con incarichi a “tempo determinato”, ora è uscita fuori anche la lista dei lavori, circa 370 interventi, svolti dalle società di Anemone per esponenti del mondo della politica, di magistrati con incarichi di governo, di prelati della Curia vaticana, funzionari Rai e registi. Uno spaccato impressionante del sistema di relazioni costruito dalla «cricca». Ministeri, salotti, caserme. La lista, trovata nel 2009 dalla Guardia di finanza nel computer del costruttore, sembra che non fosse conosciuta della procura di Perugia che sta indagando sulla vicenda degli appalti straordinari per i grandi eventi. Per questo motivo i magistrati stanno valutando l’opportunità di avviare un’inchiesta. Le otto pagine che stanno facendo tremare l’establishment conterrebbe una quarantina di nomi per foglio, con indicato sulla sinistra il numero progressivo e l’anno dei lavori e sulla destra il nominativo o l’indirizzo. Ampi stralci della lista sono apparsi ieri su molti quotidiani e subito sono piovute smentite e precisazioni. In effetti il testo di per sé non prova nulla. Si tratta di un promemoria dei lavori condotti dalle ditte di proprietà di un imprenditore, certamente molto addentro alle relazioni con il mondo che conta. Saranno gli inquirenti a dover svolgere un paziente lavoro di verifica sulla regolarità degli interventi svolti. Compaiono i nomi di politici e sottosegretari, come Settembrino Nebbioso, attuale capo di gabinetto del ministro della Giustizia Angelino Alfano e a suo tempo anche dell’ex guardasigilli Roberto Castelli, che però ha subito smentito ogni coinvolgimento. Pm della procura romana, figurerebbe nella lista col diminutivo di «Rino Nebbioso». Forse si tratta di una disgraziata omonimia, certo è che nel vasto portafoglio clienti di Anemone cruciali sono gli appalti di edilizia carceraria per la costruzione del nuovo carcere di Sassari e del reparto 41 bis. Non è andata allo stesso modo per Ercole Incalza, il super funzionario del ministero delle Infrastrutture che dopo l’accusa di aver ricevuto mezzo milione di euro da uno dei membri della «cricca», l’architetto Angelo Zampolini già coinvolto nella storia degli assegni versati per l’acquisto dell’appartamento di Scajola, ha offerto le sue dimissioni. Ex amministratore dell’Alta velocità, Incalza è già finito 14 volte sotto inchiesta e pure in carcere quando lavorava con Lunardi, salvato alla fine da ripetute prescrizioni. Tra i nomi compare quello di Nicola Mancino, vicepresidente del Csm, citato per dei lavori avvenuti nella sua casa quando era ministro dell’Interno. Ci sono poi quelli dell’attuale capo della polizia Antonio Manganelli e del suo predecessore Gianni De Gennaro, oggi ai vertici dei Servizi. C’è Guido Bertolaso, nei confronti del quale sono indicati tre interventi e non uno solo, come da lui anticipato nei giorni scorsi. C’è il generale della Guardia di finanza, Francesco Pittorru, ci sono i coimputati di Anemone, Claudio Rinaldi e Mauro Della Giovanpaola. Compare l’alto funzionario Rai Giancarlo Leone, figlio dell’ex presidente della repubblica Giovanni Leone, e un paio di registi. Sembra infatti che Angelo Balducci, il potente dirigente dei lavori pubblici che calamitava gli appalti verso le ditte di Anemone, per favorire la carriera cinematografica del figlio elargisse favori a molti personaggi del cinema. La lista contiene anche riferimenti all’immensa mole di appalti ottenuti per palazzi istituzionali, ministeri, caserme, chiese e sedi politiche.

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